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Cronaca Russi

La mafia foggiana punta sul vitivinicolo ravennate: sequestrati beni

Secondo le accuse, i capiclan delle principali organizzazioni criminali foggiane si sarebbero accordati per riciclare nel Nord Italia il danaro proveniente da truffe e da altre attività illecit

Ha interessato anche la provincia di Ravenna un'operazione congiunta svolta dalla Squadra Mobile di Foggia e dal Gico della Guardia di Finanza di Bari, che ha contestato a vario titolo i reati di associazione per delinquere, estorsione, usura, emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche destinate ad aziende vitivinicole, con l'aggravante di aver agevolato un'associazione mafiosa.

Secondo le accuse, i capiclan delle principali organizzazioni criminali foggiane si sarebbero accordati per riciclare nel Nord Italia il danaro proveniente da truffe e da altre attività illecite. Ad alcuni indagati vengono sequestrati beni per 20 milioni di euro, alcuni dei quali ad un'importante azienda vitivinicola del ravennate.

La mafia foggiana aveva scelto di "sfondare" nel settore della viticoltura, tanto da riuscire ad alterare il mercato nazionale grazie anche alla complicità di un imprenditore ravennate molto noto fra gli addetti ai lavori. Quest'ultimo a Russi è proprietario di un grande e importante stabilimento che produce Mosto Concentrato Rettificato (uno zucchero d'uva che viene ricavato, appunto, dal mosto ed ha grande commercializzazione).

Ingegnoso e complesso il modus operandi: la mafia foggiana metteva in circuito denaro liquido che veniva trasportato al Nord Italia attraverso l’azienda vincola ravennate per un importo corrispondente a una serie di fatture false emesse da cartiere foggiane legate all’organizzazione, al netto dell’Iva.

Il denaro, maggiorato dell’Iva, veniva poi restituito alla criminalità organizzata attraverso bonifici dell’azienda ravennate in favore delle cartiere foggiane, a pagamento delle false fatturazioni.  Grazie alle operazioni commerciali fittizie - per un fatturato di oltre 35 milioni di euro -, l’azienda ravennate era riuscita ad ottenere indebiti rimborsi fiscali per oltre 11 milioni di euro e illeciti contributi comunitari per più di 18 milioni di euro.

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