Sangue dal ballatoio alla cantina, bastone e impronte: tutte le prove che per il pm inchiodano Cagnoni
Dopo la prima parte di martedì mattina, intorno alle 15 ha ripreso la requisitoria-fiume del pubblico ministero Cristina D'Aniello del processo a Matteo Cagnoni
Dopo la prima parte di martedì mattina, intorno alle 15 ha ripreso la requisitoria-fiume del pubblico ministero Cristina D'Aniello del processo a Matteo Cagnoni, il dermatologo ravennate accusato di avere ucciso la moglie Giulia Ballestri, dalla quale si stava separando, il 16 settembre 2016. E si riparte proprio dalla villa di via Padre Genocchi, il luogo del delitto dove nella notte tra domenica 18 e lunedì 19 settembre 2016 venne ritrovato il cadavere di Giulia, brutalmente assassinata. Il pm ricostruisce il "filo rosso" che va dal ballatoio della villa - dove la vittima venne aggredita - fino alla cantina, dove venne ritrovato il cadavere. La D'Aniello vuole sfatare l'ipotesi della difesa, ovvero che Giulia sia stata uccisa da qualcuno entrato nella villa tramite la finestra di un terrazzo, che per Cagnoni era aperta mentre per l'accusa, come già spiegato in mattinata, era assolutamente chiusa.
Tracce su tracce
“Da nessuna parte nella villa ci sono tracce di sangue, se non lungo quel “filo rosso” che dal ballatoio porta alla cantina”, spiega il pubblico ministero. L'implicito è: come avrebbe fatto un eventuale omicida, presumibilmente sporco di sangue dopo l'efferato omicidio, a fuggire dalla finestra del balcone dal quale era entrato senza lasciare traccia? Al contrario le tracce che inchiodano il dermatologo sono tante, e il pm le snocciola una dopo l'altra: la scheggia di legno insanguinata che apparterrebbe al bastone con cui è stata uccisa Giulia ritrovata nei jeans di Cagnoni (jeans a loro volta imbrattati del sangue di Giulia); la torcia macchiata del sangue di Giulia trovata sulla Mercedes di Cagnoni; gli ormai tristemente celebri cuscini delle poltrone presenti sul ballatoio, ritrovati nella villa di Firenze, su cui è stato trovato il sangue di Giulia, “unico vero elemento che conduce in maniera indissolubile Firenze all'omicidio di Ravenna”, per l'accusa; lo stesso bastone del delitto trovato nella villa, che proverrebbe dal garage di via Giordano Bruno dove c'erano altre cataste di rami dello stesso tipo e su cui da una parte (quella insanguinata) è stato trovato il dna di Giulia, dall'altra (quella afferrata dall'assassino) il dna del ramo maschile dei Cagnoni - vale a dire Matteo, il padre Mario, il fratello Stefano o il figlio di Giulia e Matteo. Quel bastone che, per la difesa, sarebbe uno degli elementi principali che testimonierebbero la premeditazione dell'imputato, mentre per Cagnoni sarebbe stato portato nella villa dalla stessa Giulia per difendersi da eventuali malintenzionati: "Altro che Giulia fabulante, il fabulante qui è Cagnoni", chiosa il pm.
Impronte insanguinate, oggetti spariti e avvistamenti "fantasma"
La "prova regina" del processo potrebbe essere rappresentata proprio dalle due impronte ritrovate sul luogo del delitto: la cosiddetta "palmare muro", un'impronta di mano destra. "Chi ha ucciso Giulia si è appoggiato premendo il palmo al muro, mentre con la mano sinistra teneva Giulia per i capelli sbattendole ripetutamente e violentemente il volto contro lo spigolo", ricostruisce il pm asserendo alla crudeltà dell'omicidio. "Poi l'assassino si volta e appoggia l'altra mano sul frigorifero", lasciando così la seconda impronta, la cosiddetta "palmare frigo". La D'Aniello ricorda alla Corte che Cagnoni è mancino, e quindi per sbattere la testa di Giulia avrebbe logicamente usato la mano dominante appoggiandosi al muro con la destra. Ma indizio è anche ciò che manca, ossia gli oggetti assenti, spariti nel nulla: come le scarpe Hogan e la giacca che Cagnoni indossava il giorno dell'omicidio, o gli abiti che indossava Giulia, insieme alla celebre borsa bianca. Quella borsa che, per il pm, si vede chiaramente nel video delle telecamere di videosorveglianza della villa di Firenze, portata da Cagnoni in casa e ricaricata in auto imbustata per essere smaltita insieme al resto degli oggetti; cosa che, secondo quanto ha raccontato in aula la madre di Giulia, avrebbe confessato anche il padre di Cagnoni alla nipotina, che aveva chiesto al nonno di poter avere le cose della mamma e alla quale "Cagnoni senior" avrebbe detto che il padre Matteo le aveva buttate via in un sacco. E un'altro indizio, per l'accusa, è il fatto che Cagnoni abbia scritto a un amico che il suo avvocato aveva trovato un testimone che, giovedì 16 settembre, aveva visto Giulia in vita dopo l'accesso in villa (che dimostrerebbe che Giulia sarebbe effettivamente tornata nella villa in un secondo momento, senza il marito); "Ma il mio avvocato lo tiene per sè e non lo dice alla Procura, che utilizza mezzi mafiosi", scriveva Cagnoni all'amico. Per il pm l'imputato stava cercando di "manipolare gli amici e la stessa realtà". In realtà, nessuno vide più Giulia dopo il suo ingresso in villa: tranne Cagnoni, che dice di averla incontrata sotto casa alle 12.15; ma naturalmente la rilevanza di questa testimonianza è nulla, provenendo dallo stesso imputato.
Sabato 17 settembre, il giorno dopo l'omicidio, per l'accusa Cagnoni - "come nei migliori thriller" - parte da Firenze e torna sul luogo del delitto: alle 13.43 dal telefono fisso di casa di via Giordano Bruno (dove abitavano Giulia e Matteo) parte una chiamata verso villa Cagnoni a Firenze, e un'altra chiamata identica parte un paio d'ore dopo: chi è che chiama da quella casa in teoria deserta, se non Cagnoni? Inoltre le telecamere comunali riprendono poco dopo, tra via Alberoni e via Santi Baldini (strada che porta in via Padre Genocchi), una Chrysler di passaggio identica a quella di Cagnoni, e anche i chilometri segnati sul gps dell'auto testimonierebbero questo passaggio. La stessa auto che, il giorno prima dell'omicidio, si ferma in via Padre Genocchi, con l'autista che scende e ci ritorna dopo 7 minuti e 6 secondi: per fare cosa? Secondo l'accusa è Cagnoni che, avendo già architettato tutto, porta nella villa il bastone, la tanica d'acqua per ripulire e un borsone con un cambio di vestiti. La stesso Chrysler su cui, è vero, non sono state trovate tracce di sangue: ma dalla quale il tappetino lato guida è sparito. "Forse - suppone l'accusa - perchè era sporco di sangue". Infine il pm cerca di smontare un elemento su cui, presumibilmente, i legali di Cagnoni insisteranno molto durante l'arringa difensiva: il dna "del mistero" ritrovato sotto le unghie di Giulia, appartenente a un uomo ignoto che non può essere Cagnoni. "Da questo dna si è sviluppata la fantasia di un consulente della difesa, che si è lanciato in alcune ipotesi - spiega il pm - ad esempio che l'assassino abbia tentato di strangolare la donna e Giulia abbia reagito graffiando il suo aggressore”. Ricostruzione non basata su elementi scientifici, per il pubblico ministero.
Il calendario delle prossime udienze
La requisitoria del pubblico ministero si concluderà giovedì 14, e l'ipotesi che si fa sempre più probabile è quella della richiesta di ergastolo con le aggravanti di premeditazione e crudeltà. Poi nella stessa giornata verranno sentite le parti civili (famiglia Ballestri, Comune di Ravenna, Linea Rosa, Unione Donne in Italia e Dalla parte dei minori), mentre il 18 sarà il turno dell'avvocato Trombini per l'arringa difensiva. Infine, il 22 giugno, potrebbe essere il giorno del giudizio: dopo le eventuali repliche, la Corte si riunirà in camera di consiglio e potrebbe emettere la sentenza già in giornata.