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Crisi sull'offshore ravennate, i sindacati: "Eni faccia da traino per i settori più strategici"

E' quanto affermano i funzionari sindacali di categoria Alessandro Mongiusti di Filctem Cgil, Daniele Grotti di Femca cisl e Roberto Palmarini di Uiltec Uil

"L’intero sistema delle aziende legate al polo produttivo Eni di Marina di Ravenna sta soffrendo pesantemente le conseguenze dell’attuale crisi petrolifera internazionale e le scelte strategiche di Eni, comprese quelle che interessano l’area ravennate dove la produzione è totalmente di gas naturale, che non ha subito certo gli stessi ribassi del petrolio". E' quanto affermano i funzionari sindacali di categoria Alessandro Mongiusti di Filctem Cgil, Daniele Grotti di Femca cisl e Roberto Palmarini di Uiltec Uil, evidenziando "che il rischio di delocalizzazione di intere linee di business da parte delle multinazionali è sempre più evidente".

"L’impianto Adriatic 1, di proprietà di Nabors Drilling International, il "fast move" di piccole dimensioni installato direttamente a bordo delle piattaforme, che operava ininterrottamente a Ravenna da diversi anni, e strategico per il mantenimento produttivo del polo ravennate di Eni, è stato inspiegabilmente “congelato” fino a fine anno - affermano i sindacati -. Le aziende contrattiste, direttamente collegate alle operazioni di drilling, già dagli inizi dell'anno hanno fatto richiesta di ammortizzatori sociali, avviato procedure di mobilità e iniziato il dirottamento di lavoratori sul mercato internazionale, in quanto i contratti siglati per il 2015 (fortemente al ribasso rispetto ai precedenti) non consentivano l'impiego di tutte le maestranze; la scelta di Eni di congelare le ultime attività sta avendo ripercussioni allarmanti per la tenuta occupazionale del polo ravennate e per i riflessi negativi che potrebbero ricadere anche sulla sicurezza".

Chiosano i rappresentanti di Filctem Cgil, Femca Cisl e  Uiltec Uil: "Martedì Schlumberger italiana, che a Ravenna occupa oltre un centinaio di lavoratori di alta professionalità, ha convocato i delegati aziendali e le strutture provinciali per comunicare le decisioni del management, che a fronte dei risultati di bilancio negativi nel 2015 estenderà la cassa integrazione straordinaria, già avviata a inizio anno per un comparto operativo di circa 12 persone, anche ai reparti amministrativi, di staff e di manutenzione. Probabilmente alcune attività di preparazione tecnica strumentale verranno dirottate verso le basi di Aberdeen in Scozia e Stavanger in Norvegia". I sindacati hanno espresso "tutta la contrarietà alle operazioni dichiarate e riuniranno nei  prossimi giorni i lavoratori in assemblea dove verranno valutate insieme le azioni da adottare in contrasto alle decisioni manageriali".

"Anche Halliburton, altro colosso nel sistema oil&gas internazionale, ha avviato nei giorni scorsi una procedura di mobilità conseguente alla dismissione di una linea di business che occupa 16 lavoratori - aggiungono i sindacati -. Il crollo del prezzo del greggio, sceso dai 150  dollari nel 2008 agli attuali 45 dollari, sta generando in tutto il mondo una reazione a catena lungo tutta la filiera. Le compagnie petrolifere stanno reagendo tagliando gli investimenti e sospendendo i progetti di sviluppo mentre le services company multinazionali stanno riorganizzandosi a livello mondiale a colpi di licenziamenti e acquisizioni di società concorrenti, come nel caso di Halliburton che ha acquisito il gruppo Baker Hughes per 35 miliardi di dollari e che ha successivamente dichiarato tagli di personale nell'ordine di migliaia di lavoratori. Quest'ultima operazione è ancora al vaglio dell'antitrust statunitense e si realizzerà presumibilmente a fine anno per cui effetti, ad oggi, in Italia non si sono concretizzati".

"Ovviamente questa instabilità internazionale, ma soprattutto le decisioni del management di Eni, rischiano di sgretolare tutto il sistema legato alla perforazione, mettendo in difficoltà anche altre aziende  italiane quali Enel  e Stogit", concludono le organizzazioni sindacali, evidenziando "che Eni è per circa il 30% dello Stato e altre aziende coinvolte di totale proprietà di cassa depositi prestiti, e continuano a sostenere con forza che quest'azienda non può esimersi dalle responsabilità di costituire un motore di traino per i settori più strategici e qualificanti dell'industria italiana nel solo nome del profitto".

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