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Economia

"In 10 anni il 20% di negozi in meno: basta con i centri commerciali"

E' la critica di Confesercenti Ravenna: "Bisogna smetterla con nuovi insediamenti di grandi strutture commerciali. Se vive il commercio, vivono le città"

"A dieci anni dalla crisi e mentre l’ennesimo consiglio comunale lo scorso martedì a Russi approvava emblematicamente il baratto di una rotonda con un nuovo supermercato, il settore del commercio evidenzia il suo andamento economico e numerico con dati che parlano da soli e che devono, anzi, dovrebbero fare riflettere, non essendoci peraltro nessuna cassa integrazione". Sono parole dure quelle usate da Confesercenti Ravenna nell'elencare alcuni dati, decisamente non positivi, relativamente alla crisi dell'imprenditoria. "A fine 2007 in provincia avevamo registrate 5.732 attività di commercio al dettaglio e 3.142 tra bar, ristoranti e alberghi, mentre a fine giugno 2017 ne abbiamo rispettivamente 4.585 e 3.452 (dati del Registro Imprese della Camera di Commercio). Un calo verticale di ben 1.147 attività registrate nel commercio al dettaglio, mentre bar e ristoranti crescono di 310 unità. Nel commercio in Provincia il calo, ben il 20% rispetto al 2007, è il più alto di tutte le città della Regione e anche della media nazionale. Il dato peraltro non risente ancora del recente raddoppio dell’Esp. La grande recessione, accompagnata dalle politiche di liberalizzazione che hanno favorito la grande distribuzione organizzata, stanno modificando il volto delle nostre città e dei paesi in particolare. Calano i negozi e le vetrine restano vuote, oppure aprono attività della ristorazione e dei bar come tanti bed and breakfast e affittacamere, mentre la ripresa della spesa delle famiglie tarda ad arrivare e soprattutto a farsi sentire".

"Se vive il commercio, vive la città"

"Un cambiamento dovuto alle modificate abitudini, ai diversi stili di vita, alla “composizione” dei nuclei famigliari, al lavoro “sempre meno fisso e stabile”, ai pasti sempre più consumati al di fuori delle mura domestiche, all’avvento di internet e dell’online - spiega Confesercenti - ma anche al fatto che la piccola impresa, quella famigliare, quella che ha reso la nostra rete commerciale la più bella e più varia del pianeta ha subìto e pagato, con l’impossibilità di automantenersi, le politiche di liberalizzazione e la mancanza di una vera politica di sostegno. È il segno che la ripresa del commercio deve passare attraverso il sostegno dell’innovazione: misure vere, inserite nel quadro di Impresa 4.0, che permettano di modernizzare, più che di sanzioni per la mancanza del Pos. Perdere le attività di vicinato sarebbe un danno per tutti, non solo per i commercianti: i negozi sono infatti un elemento fondamentale per la qualità della vita dei cittadini e per il valore turistico e la fruibilità del territorio. Lo diciamo da anni: se vive il commercio, vivono le città”.

La spesa delle famiglie

"La trasformazione del panorama delle attività urbane, come dei paesi, è stato dettato, in primo luogo, dagli effetti della recessione sui bilanci degli italiani che, in dieci anni, ancora non si sono ripresi. E mentre i consumi alimentari hanno più o meno resistito, i non alimentari sono crollati. Si salvano solo le spese per l’istruzione e dei servizi ricettivi e di ristorazione, cui è chiaramente legato l’exploit del settore turistico e di bar e ristoranti. Per il resto, ad aumentare consistentemente sono solo le spese fisse: quelle per gli affitti, il condominio e le bollette dell’acqua e dell’energia e per i servizi locali. Nonostante alcuni indicatori economici segnalino che la nostra economia si sta rafforzando e nonostante l’accenno di ripresa dei consumi, l’aumento di spesa delle famiglie va a beneficio soprattutto di settori diversi dal commercio al dettaglio in sede fissa. Infine, a dimostrazione di come stia proseguendo, inesorabile, il trasferimento di quote di mercato dai piccoli alla Grande distribuzione organizzata dovuto in primo luogo alla liberalizzazione, insostenibile per le imprese familiari e che deve essere ripensata – mentre luglio segna un recupero di tutti i format della Grande distribuzione; per le imprese operanti su piccole superfici rileviamo, invece, una diminuzione di 0,6 punti in valore, stimando l’1,4% in meno in volume. Per le imprese fino a 5 addetti le variazioni in questa parte dell’anno raggiungono, addirittura, il -2,4% e il – 3,2% in volume".

"Ci auguriamo e chiediamo che all’interno delle Legge di Stabilità si mettano in campo misure volte a ridurre gli squilibri tra piccoli esercizi di vicinato e Gdo che hanno trasformato e distorto profondamente il volto delle nostre città a partire dai paesi attraverso un regime di deregulation dei giorni e degli orari di apertura – introdotto a partire da gennaio 2012 dal Governo Monti – insostenibile per i piccoli e che ha favorito solo la grande distribuzione. Inoltre occorre rafforzare i consumi delle famiglie per consolidare la ripresa. Mentre a livello locale bisogna smetterla con nuovi insediamenti di grandi strutture commerciali come se non bastassero i dati che riportiamo, con tutti gli effetti che si portano dietro (il futuro di chi chiude, dei collaboratori, dei territori, dei servizi per la popolazione). Ci si occupa giustamente di certe crisi aziendali del territorio: e di questa crisi e di queste chiusure chi si preoccupa?".

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