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Economia

Agroindustria ravennate, l'indagine della Cgil: in 5 anni produzione per oltre 4 miliardi di euro

Ne hanno preso parte Umberto Franciosi, segretario generale regionale della Flai Cgil, Everardo Minardi, sociologo, l'assessore regionale all'agricoltura Simona Caselli, Davide Gentilini dell'Ufficio studi e ricerche Cgil Ravenna.

Nella seconda giornata del festival Opera la Cgil e la Flai hanno presentato lo studio, condotto dall'Ufficio studi e ricerche della Camera del lavoro di Ravenna, “Expò 2015 Nutrire il pianeta - energia per la vita. Il contributo fondamentale dei lavoratori perché non sia solo una fiera”. Si sono indagate le dinamiche del settore agroindustriale della provincia di Ravenna. La ricerca è stata al centro di un incontro che si è svolto in piazza Marsala, venerdì. Ne hanno preso parte Umberto Franciosi, segretario generale regionale della Flai Cgil, Everardo Minardi, sociologo, l'assessore regionale all'agricoltura Simona Caselli, Davide Gentilini dell'Ufficio studi e ricerche Cgil Ravenna.

L'incontro è stato introdotto da Raffaele Vicidomini, segretario generale della Flai di Ravenna, che ha spiegato l'idea di affrontare i temi proposti da Expo 2015, evidenziando l'importanza del contributo dei lavoratori e del tessuto socio-economico dei territori. E' stata l'occasione per fare una fotografia del Ravennate. Il settore agroindustriale del territorio mostra potenzialità importanti (in termini di imprese, prestazioni del territorio e lavoro) anche se non sempre sono espresse al meglio. Dall'indagine condotta dall'Ufficio studi e ricerche emerge che diverse aziende possono essere definite resilienti, in virtù di un valore della produzione che cresce nel tempo. Aziende che sanno evolvere e si adattano ai cambiamenti e li affrontano in maniera positiva. Hanno una forte propensione all'export. Tutto ciò le ha aiutate ad affrontare un periodo che continua a essere complicato.

“Il settore agroindustriale non ha attraversato indenne gli ultimi sei anni di crisi – dice Vicidomini - ma ha saputo reagire meglio di altri, grazie al suo tessuto industriale caratterizzato da significative dotazioni finanziarie, da tecnologia, da una logistica con rilevanti potenzialità di sviluppo e con le professionalità e la cultura del lavoro che costituiscono, a tutti gli effetti, la spina dorsale sulla quale si regge il vero patrimonio della nostra provincia. L'indagine  rappresenta anche una provocazione rispetto al fatto che l'ambizioso traguardo di nutrire il pianeta che l'evento milanese si pone, possa e, a nostro avviso, debba essere affrontato a partire dal territorio, da una dimensione locale, attraverso un'analisi che ne individui lo stato di salute, le potenzialità di sviluppo, le peculiarità che lo possono candidare ad essere parte attiva e integrata nel percorso diretto verso quel traguardo”.

L'indagine ha preso in esame i bilanci, dal 2008 al 2013, di 209 imprese di cui 203 con sede legale all’interno della provincia di Ravenna e 6 con sede legale in altre province dell’area regionale ed extraregionale,con unità locali in quella di Ravenna. Le 209 imprese nel corso dell'ultimo esercizio, hanno prodotto un valore della produzione pari a oltre 4 miliardi e 900 milioni di euro: 1 miliardo e 550 milioni nel Faentino, 1 miliardo e 800 milioni nel Lughese e 1 miliardo e 550 milioni nel Ravennate. E' utile sapere che l'universo delle società di capitale in provincia, di tutti i settori, rappresentato da oltre 5.200 imprese, ha realizzato nello stesso anno un valore della produzione di circa 24 miliardi. Il campione del settore agricolo e agroindustriale individuato rappresenta il 20% del totale dei fatturati in provincia.

Nelle 209 imprese, nel 2013 hanno lavorato 11.794 persone e nel corso del periodo di indagine l'occupazione è sempre stata sopra alle 11mila unità e in progressiva crescita fino al 2012 quando si è toccato il picco di 11.848 unità. Del totale del 2013, 8.151 erano occupati nel comparto industriale (dato stazionario dal 2008), 1,768 nel comparto dei servizi (incremento di circa 500 unità rispetto al 2008) e 1.881 nel comparto agricolo (in flessione di 120 unità rispetto al 2008). Le imprese del settore che, nell’arco di tempo dell’indagine, hanno fatto ricorso agli ammortizzatori sociali sono 47, su un numero complessivo del territorio che ha visto coinvolte 1.868 attività lavorative e ponendo in riduzione di orario e di retribuzione 758 lavoratori a fronte di una platea generale di lavoratori di 30.233 unità.

L’impatto della crisi nell’agroindustria è minore che in altri settori. Seppure in particolare nel comparto agricolo l’accesso agli ammortizzatori sociali non è contemplato, si è registrato nell’intervallo considerato, non una riduzione, bensì un incremento di lavoratori con contratto agricolo. Questi ultimi hanno prestato lavoro in una dimensione sempre maggiore delle 15.000 unità e per un complessivo di circa 1.400.000 giornate, oltre 90 medie pro capite. Le giornate lavorative medie pro capite prestate passano da 86,5 del 2008 alle attuali 91,6 con un picco massimo di 96,2 registrato nel corso del 2012.

“Ci auguriamo – dice Vicidomini – che l'analisi funga da pungolo per aprire e dare seguito a un dibattito che si sviluppi su direttrici tracciate dall'esigenza di una soluzione per ridurre gli sprechi alimentari e per valorizzare il lavoro. Un metaforico sasso che, lanciato, infranga la subdola tentazione di trasformare l'Expo in un'operazione di marketing che trascuri o affronti con slogan superficiali, la necessità di innovazioni di prodotto, di processo e di ricerca anche in agricoltura; di un indirizzo strategico che ancora la politica agricola comune non riesce a esprimere; dell'ormai insopportabile assenza di politiche energetiche a livello nazionale che, in maniera organica, consegnino alle nuove generazioni il valore della sostenibilità, delle tutele ambientali e del rispetto degli assetti idrogeologici del nostro Paese".

"Necessità imprescindibili, queste, per uno sviluppo qualitativamente accettabile sia a livello locale che globale. Così com'è imprescindibile e forte il legame tra legalità e qualità del cibo, che passa, inesorabilmente, anche attraverso la sostenibilità del lavoro. Se è vero che non solo le contraffazioni ma anche il rischio di queste può mettere in pericolo l'intera economia di un territorio, è altrettanto vero che questo rischio è più frequente in quelle imprese dove imperversa il "lavoro nero" o "grigio", dove non vengono rispettati i diritti sindacali, le norme di sicurezza sul lavoro, dove viene costantemente umiliata la dignità dei lavoratori, spesso sfruttando vigliaccamente e in maniera cinica, la loro condizione sociale. La stessa che li rende soggetti ricattabili”, chiude.

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