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La Biennale del Mosaico arriva anche nel Labirinto Effimero con il Mito di Fetonte

L’opera, realizzata da Greta Tosi, Steven Bortolussi e Riccardo Mariotti, è il frutto di un lungo lavoro di ricerca e preparazione di calchi anatomici e frammenti di un carro agricolo

Divampa anche fuori Ravenna la Biennale di Mosaico Contemporaneo 2019. Inaugurata domenica 6 ottobre ad Alfonsine l’installazione dedicata al Mito di Fetonte a cura dell’Associazione Dis-Ordine. L’evento, in collaborazione con lo studioso di storia locale Luciano Lucci, propone una interpretazione dell’episodio mitologico attraverso il segno di un cerchio, una ruota del carro del sole, dal quale si irradiano fasci luminosi in  granoturco e tessere d’oro verso gli arti dello sventurato Fetonte precipitato sulle terre alfonsine esattamente nel punto dalle coordinate 44° e 12°. 

L’opera, realizzata da Greta Tosi, Steven Bortolussi e Riccardo Mariotti con la supervisione di Mariella Busi, Elena Pagani, Marcello Landi e Federico Zanzi è il frutto di un lungo lavoro di ricerca e preparazione di calchi anatomici combinati con frammenti di un carro agricolo di Maddalena Venturi. In particolare il lavoro si è concentrato sui calchi con impronte di mani, piedi e facce dei giovani artisti del Dis-Ordine per attinenza con l’età di Fetonte. 

Secondo le ricerche di Lucci il giovane semidio atterra rovinosamente sulle piatte terre alfonsine, le allora rive dell’antico Eridano, nel punto che oggi è il centro di un labirinto, unico al mondo, costruito con 30.000 canne palustri appese a un reticolato di filo in dialogo costante tra terra e cielo attraverso le vibrazioni incessanti dei riflessi di ombra e luce: un’opera di Land Art concepita da Carlo Galassi nell’omonima Azienda: il labirinto effimero sospeso dedicato a Dante, da ora inserito dal Comune di Ravenna tra i luoghi delle celebrazioni dantesche in vista del 2021.

Dante ricorda più volte nella sua Commedia il mito ovidiano di Fetonte: nell’Inferno, XVII, 107-108; nel Purgatorio, IV, 71-72; Purgatorio, XXIX, 118-120; e nel Paradiso, XXXI, 125. Lo associa alla paura nella discesa all’Inferno sul dorso del demone Gerione indagando la diversa sorte che il viaggio riserva all’imprudente Fetonte abbandonato dal padre al suo destino in sella al potente mezzo che lo farà inevitabilmente precipitare a terra.

Fetonte si spaventa e abbandona le redini, giovane e incauto, solo, senza strada e senza meta. I cavalli impauriti e imbizzarriti alla vista dello Scorpione non lo proteggono e rotola giù attraversando il cielo come una stella cadente verso la foce dell’Eridano, leggenda narra nei pressi dell’attuale Alfonsine, a quei tempi selva di sterpi e canne palustri. Le Eliadi, sorelle di Fetonte, disperate per la perdita del fratello, saranno trasformate dal padre in pioppi e le loro lacrime in ambra. Ancora oggi si favoleggia sui piumini dei pioppi che in primavera volteggiano fino a terra come neve. 

L’Alfonsine di oggi si trova su quel territorio che in un tempo lontano era un intrico di dune sabbiose e vie d’acqua, dorsali ghiaiose e valli, un territorio povero di materiali che deve il suo destino, fin dal tempo delle migrazioni greche 1500/1000 a.C., al passaggio commerciale dei traffici dell’ambra, sacra al Dio Sole, e all’attività di caccia e pesca, contese prima dalle tribù celtiche che tentarono una prima bonifica poi, dopo secoli di vicissitudini, dall’antica Schola Piscatorum, oggi Casa Matha ancora proprietaria di diversi fondi in zona e in seguito da veneziani, padroni a Ravenna, dai Calcagnini di Fusignano e infine dagli Estensi di Ferrara.

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