Al Chiostro della Classense "Nomadi del jazz", fra poesia e canzoni popolari
«Partire è un po’ morire / rispetto a ciò che si ama / poiché lasciamo un po’ di noi stessi / in ogni luogo ad ogni istante». La poesia da cui sono tratti questi versi, “Rondel de l’adieu” (Partire è un po’ morire) ha reso celebre l’autore, Edmondo Haraucourt più di tutta la sua produzione complessiva. Probabilmente perché, come ogni lirica riuscita, riesce a sintetizzare una realtà e una sensazione. Lo sa bene chi deve lasciare la propria terra, per qualsiasi ragione, e fermarsi “altrove”. Ma chi sperimenta, non solo fisicamente, questa esperienza, sa anche che si può (forse si deve) portare dentro si sé le proprie radici.
Lo dimostra il percorso della giovane cantante Elina Duni, che si è formata nel solco di Miles Davis, John Coltrane, Billie Holiday, Shirley Horn, Sidsel Endresen, attratta dalla poesia e dalla duttilità degli idiomi albanesi e delle altre lingue in cui canta le proprie canzoni. E il pubblico di Ravenna Festival potrà apprezzarlo ascoltando il concerto “Songs from a No Man’s Land”, che eseguirà con il proprio quartetto (composto oltre a lei da Norbert Pfammatter alla batteria, Colin Vallon al piano e Lukas Traxler contrabbasso), arricchito dalla presenza del sax di Roberto Ottaviano, un altro specialista nell’intrecciare percorsi musicali, tra jazz e mondo mediterraneo. Nel corso del concerto Elena Duni proporrà sue composizioni tratte dall’album appena uscito per la Ecm Records, “Dallenyshe” (la rondine). È un’altra finestra sui “Canti nomadi”, e si aprirà sabato, alle 21.30, nel Chiostro della Biblioteca Classense.
Elina Duni è una stella nascente nel panorama jazz europeo, la sua voce ipnotizza con antiche canzoni albanesi interpretate in chiave jazz, grazie alla sua superba voce e alla grande intensità dei suoi musicisti. La musica è soffice, intimamente meditativa e appassionata. Con uno guardo alle proprie radici, ma da un punto di vista attuale. La sua conoscenza del jazz vocale entra in una comunione sensuale e vibrante, con un amore non negoziabile delle tradizioni musicali secolari del suo paese natale, l’Albania. Il risultato è da mozzare il fiato. La sua voce-strumento è naturale, libera e lontana dagli svolazzi glamour così alla moda in questi tempi. Il canto di Elina è una carezza, ma tutt’altro che evanescente: è una voce intensa e struggente, raffinata eppure viscerale. Alla straordinaria estensione vocale associa quella capacità interpretativa che poche altre cantanti possono vantare: rigorosa, con un naturale vibrato che le consente tutte le coloriture che vuole.
«Quando il pubblico europeo sente parlare di musica dei Balcani – commenta Elina Duni - ha l’immagine di una musica da orchestra di ottoni, alla Bregovic. La nostra proposta ha il vantaggio di aver diversificato la sonorità. La particolarità del lavoro è data dal coinvolgimento dei musicisti eccezionali che compongono il gruppo. Ognuno di loro ha portato il proprio bagaglio culturale in modo personale, e questo ci ha permesso di guardare al jazz e all’improvvisazione come a una possibilità per trasformare dei brani tradizionali molto belli, ma anche difficili da reinterpretare».
Il programma preparato da Elina, dai suoi compagni “storici” e dal grande sassofonista jazz Roberto Ottaviano, pur partendo dal repertorio dell’ultimo album dell’artista albanese, “Dallendyshe”, comprende sia canzoni di emigrazione che di lotta e di protesta, dell’Albania e dell’Italia. Sono stati utilizzati testi di poeti albanesi e sono state arrangiate molte canzoni popolari italiane, di Matteo Salvatore e Domenico Modugno; c’è addirittura anche un brano di Bruce Springsteen. Si tratta di canti nomadi che attraversano il mare, spostandosi dalle montagne dei Balcani alle spiagge dell’Adriatico, risalendo quindi lungo la penisola. Sono canzoni di viandanti, di povera gente spinta dall’inerzia del viaggio, in cerca di speranza e di un posto dove sostare. Ballate che, pur arricchite da raffinati arrangiamenti strumentali, non tradiscono il loro impianto popolare, viaggiando in uno spazio geografico e temporale indefinito. In questo caso si può forse parlare di un “blues del sud del mondo”, di musica in continuo viaggio. Facce segnate come il tronco dell’ulivo e mani dure come pietra, di un popolo senza volto che lotta e soffre per la propria terra e dignità
Info e prevendite: 0544 249244 – www.ravennafestival.org
Biglietti: 20 euro (ridotto 18)
I giovani al festival: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni, 50% tariffe ridotte.