Al Teatro Alighieri "La voix humaine" di Poulenc e "The telephone" di Menotti
La stagione d’opera 2014-2015 del Teatro Alighieri inaugura sabato alle 20.30 (replica domenica alle 15.30) con due opere in un atto nel segno della musica del Novecento: La voix humaine di Francis Poulenc, su testo di Jean Cocteau, e The telephone ou L’amour à trois di Gian Carlo Menotti. Un dittico composto da due straordinari lavori del teatro musicale del ’900 che hanno come protagonista un prodotto tecnologico divenuto oggetto comune del nostro quotidiano, il telefono, strumento della moderna comunicazione che ha rivoluzionato i tempi del lavoro e i ritmi della nostra vita, mutando la forma degli stessi rapporti umani.
Il filo conduttore è infatti la comunicazione al telefono: tra una donna senza nome (interpretata da Alda Caiello) unico personaggio in scena, e di cui ascoltiamo la voce, e l’amante che l’ha lasciata, nella Voix humaine, e tra due giovani, Lucy (Teresa Sedlmair) e Ben (Emilio Marcucci), in The telephone. Se nel primo caso si tratta di un’opera breve nel segno della tragédie lyrique, nel secondo siamo di fronte ad un’opera buffa. Nella Voix humaine i disturbi della comunicazione telefonica rendono ancora più straziante l’addio tra i due ex amanti, nel secondo invece è proprio tramite il telefono che Ben riesce a chiedere a Lucy di sposarlo e sarà attraverso di esso che i due potranno rimanere in contatto durante la lontananza di Ben, da qui il sottotitolo L’amour à trois. L’allestimento del Teatro Comunale di Bolzano del 2010 - firmato per la regia da Sandro Pasqualetto, scene e costumi di Cristina Alaimo e luci di Claudio Schmid - è ripreso nella coproduzione tra l’Alighieri e i teatri di Lucca e Piacenza. In buca l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini diretta da da Jonathan Webb, attualmente alla guida della Camerata Strumentale "Città di Prato" e per anni direttore stabile al Teatro dell’Opera di Tel Aviv; un maestro che il pubblico ravennate ha potuto apprezzare anche nel 2013 in The Rape of Lucretia di Benjamin Britten.
La voix humaine nasce come testo teatrale di Jean Cocteau rappresentato nel 1930, da cui solo trent’anni più tardi Poulenc ricava un’opera in un atto, che debutta a Parigi il 9 febbraio 1959. Protagonista all’epoca è la cantante Denise Duval, profondamente legata al compositore e che ebbe un ruolo fondamentale nel definire la struttura dell’adattamento che Poulenc fece della pièce di Cocteau. Se della versione teatrale molti non avranno dimenticato l’adattamento cinematografico che Rossellini fece nell’episodio Una voce umana del film Amore (1948), con Anna Magnani protagonista, il pubblico ravennate forse ricorderà la rappresentazione del marzo 1994, quando La voix humaine fu interpretata a Ravenna da Renata Scotto. Vent’anni dopo è Alda Caiello a dare voce alla protagonista della tragédie Lyrique di Poulenc, una raffinata cantante che ha dedicato gran parte del proprio percorso professionale alla musica contemporanea e che il pubblico del Ravenna Festival ha potuto più volte ascoltare: l’ultima, nel 2011, in un programma che prevedeva i Folk Songs di Berio.
The Telephone or L’amour à trois di Gian Carlo Menotti, autore del libretto oltre che della musica – che riassume sé molte delle tendenze del teatro musicale americano ed europeo del secondo dopoguerra -, ci trasporta in tutt’altro clima di leggera ironia e ammiccante complicità, nel prendere atto dell’impermeabile barriera che il telefono può rappresentare rispetto alla normalità di rapporti umani autentici e diretti, tanto che, per superarla, il povero Ben sarà costretto a usare il telefono per introdursi nel dialogo con Lucy e chiederle di sposarla. Un geniale, quanto incalzante atto unico, che debuttò 1947 all’Heckscher Theater di New York, dove fu rappresentato insieme alla tragedia La Medium dello stesso compositore. In scena per la prima volta sul palco dell’Alighieri a Ravenna è interpretato da due giovani cantanti: Teresa Sedlmair, vincitrice nel 2011 del Premio Miglior Giovane Promessa al concorso internazionale Renata Tebaldi di San Marino, ed Emilio Marcucci, che ha partecipato alle rappresentazioni della Trilogia verdiana del 2013.
L’intrigante scelta registica di Sandro Pasqualetto che dirige entrambi i lavori, di immaginare i due atti unici come due storie ambientate nella stessa camera d’albergo che si susseguono come se si trattasse di clienti che vi si avvicendano con le loro storie totalmente diverse ed estreme, rende ancor più attuali e a noi vicine queste due opere, come si trattasse di quadri di vita reale che si svolgono in anonime stanze d’albergo e che ci capita di scrutare, casualmente affacciati alla nostra finestra allo stesso modo in cui, indifferenti, assistiamo alle tragedie del mondo che scorrono nei nostri televisori. Il regista ha infatti risolto il problema della estrema diversità delle due opere riflettendo su due elementi comuni: il fatto che entrambe le vicende si svolgono in “tempo reale” e in uno spazio chiuso che si può immaginare sia lo stesso: “ecco trovato il legame: un luogo privato e pubblico nello stesso tempo, in cui noi li possiamo spiare nella loro intimità, dal buco di una serratura e dove loro possono vivere la loro vita. Consecutività di tempo e unione di luogo. Allora cosa ci sarebbe di meglio che una camera d’albergo? Ed ecco che finalmente ci ritroviamo autorizzati a poter ficcanasare liberamente nella privacy altrui”.
Nella scenografia Cristina Alaimo si è ispirata all’artista statunitense Edward Hopper per costruire gli ambienti in cui si muovono i personaggi: “Mentre Jean Cocteau scrive La voix humaine nel 1929 [...] l’artista statunitense Hopper si assumeva l’arduo compito di conservare immagini della banale vita della città sulla tela, lasciandocele come testimonianza di quell’epoca. L’opera dell’artista americano come anche la scenografia di questo spettacolo si spoglia di paramenti e simbologie, rimanendo nuda e vuota, e l’incomunicabilità diventa soggetto del discorso, che si rivela in un monologo a due, al telefono, in Cocteau e nelle frivole chiacchiere nel Telefono di Menotti”.