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A Bologna con 62mila firme per chiedere il trasferimento di Cagnoni da Port'Aurea - VIDEO

L'istituto penitenziario di Ravenna, infatti, prevede la presenza di detenuti in attesa di giudizio o condannati a una pena non superiore ai 5 anni o con un residuo di pena inferiore ai 5 anni

"Via Cagnoni da Ravenna". Non si ferma la lotta di Linea Rosa, Udi (Unione donne d'Italia), Dalla parte dei minori e Casa delle donne di Ravenna, che dal 29 novembre scorso hanno svolto ogni venerdì, davanti al carcere di Port'Aurea, un presidio per sollecitare una risposta del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) competente all'interpello promosso il 29 novembre 2018 dalle legali delle prime tre associazioni, parti civili nel processo penale che, censurandone la legittimità sotto più profili, domandavano chiarimenti circa il trasferimento dal carcere della Dozza di Bologna a quello di Ravenna di Matteo Cagnoni, condannato all'ergastolo in primo e secondo grado per il femminicidio della moglie Giulia Ballestri.

E ora la protesta si è spostata a Bologna: lunedì mattina, infatti, si è svolto un presidio sui viali davanti al Dap "per ribadire pubblicamente quello che già in due occasioni abbiamo richiesto senza ottenere alcuna risposta: essere ricevute per poter esporre le nostre motivate ragioni e conoscere quelle che hanno permesso l'adozione di una misura che riteniamo ingiustificata". Per le associazioni, infatti, è ingiusto e anomalo che il medico si trovi in carcere a Ravenna dove vivono i tre figli minorenni, su cui l'uomo ha perso la potestà genitoriale, e chiedono delucidazioni sulle motivazioni del trasferimento denunciando un "trattamento speciale". L'istituto penitenziario di Ravenna, infatti, prevede la presenza di detenuti in attesa di giudizio o condannati a una pena non superiore ai 5 anni o con un residuo di pena inferiore ai 5 anni: casi ben diversi da quello di Cagnoni, già condannato in primo e secondo grado all'ergastolo.

"Il trasferimento avvenne il 25 novembre 2018, proprio in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne,  allorquando l'imputato era stato da qualche mese condannato in primo grado all'ergastolo e, da subito, ci mobilitammo per denunciare il netto contrasto della decisione con le disposizioni vigenti prescritte e previste per la gestione e i trasferimenti dei detenuti allo scopo di ottenere giustizia contro ogni privilegio e disparità di trattamento - spiegano le associazioni femministe - Volevamo ribadire la necessità dell'applicazione della legge senza alcuna discriminazione, per il rispetto delle vittime di femminicidio, di Giulia e dei suoi figli. Lo facemmo sia con l'interpello, che grazie alla promozione di una raccolta firme venne sottoscritto in pochissimo tempo da oltre 62.000 persone, sia con una fiaccolata silenziosa molto partecipata per le vie della città, che si concluse davanti alla casa circondariale di Ravenna. Non essendo giunta alcuna risposta all'interpello, seppure più volte sollecitata, abbiamo ripreso la mobilitazione attraverso un sit-in settimanale davanti alla casa circondariale di Port'Aurea (dove Matteo Cagnoni, oggi condannato all'ergastolo anche in sede di appello, continua a essere ristretto) e chiesto alla Presidente della Commissione d'inchiesta sul Femminicidio al Senato di intervenire sulla decisione dell'amministrazione penitenziaria - denunciandone il carattere discriminatorio e di soggettivo privilegio - chiedendone la revoca".

(video Antonella Scarcella)

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