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Venerdì, 19 Aprile 2024
Romagna terra di grandi personaggi

Romagna terra di grandi personaggi

A cura di Lorenzo Matteucci

Frate Orazio della Penna, l'uomo che portò un po' di Romagna in Tibet

Frate Orazio si immerse totalmente nella sua nuova realtà: vivendo a stretto contatto con i monaci buddisti di Se-ra (il monastero dove alloggiò) ebbe modo di conoscere a fondo usi, tradizioni, riti e vita quotidiana di questi ultimi

Ancora oggi, nel XXI secolo, nell’epoca in cui ogni località è a portata di Google Maps, molto spesso la parola “Tibet” porta alla mente montagne inaccessibili, templi densi di spiritualità, paesaggi lontani ed esotici. Figurarsi a cavallo tra XVII e XVIII secolo, il periodo in cui visse Luzio Olivieri, meglio noto come Frate Orazio della Penna. Nato da nobile famiglia nel 1680 nel borgo di Pennabilli, prese i voti in giovane età, senza minimamente immaginare quanto la sua vocazione lo avrebbe condotto lontano da tutto ciò che conosceva, alla scoperta dell’ignoto. Nel 1712, infatti, venne scelto per partecipare alla spedizione voluta dalla Congregazione di Propaganda Fide in Tibet.

L'avventura iniziò nel 1712 dalla Bretagna, terra affascinante e ricca di tradizioni: Orazio si imbarcò infatti a Lorient nel giorno di Ferragosto dello stesso 1712 e giunse sul suolo asiatico oltre un anno dopo, il primo settembre del 1713. Si trovava, in quel momento, nell’est dell'odierna India, altro paese dalle inimmaginabili sfaccettature culturali, poiché era arrivato a Chadernagore. Transitando per lo stato indiano di Patna, si diresse verso Katmandu, che al giorno d'oggi è capitale del Nepal. In definitiva, arrivò alla destinazione (Lhasa, in Tibet) oltre quattro anni dopo essere partito dall’Europa, nell’ottobre del 1716.

Da quel momento, Frate Orazio si immerse totalmente nella sua nuova realtà: vivendo a stretto contatto con i monaci buddisti di Se-ra (il monastero dove alloggiò), ebbe modo di conoscere a fondo usi, tradizioni, riti e vita quotidiana di questi ultimi. Non solo: fu Orazio stesso che desiderò approfondire la conoscenza di quella cultura tanto differente dalla sua, studiando in prima persona sia la lingua tibetana che la storia e la geografia locali. Frutto del suo infaticabile lavoro furono alcune traduzioni (ad esempio opere letterarie come "Le tre grandi vie che conducono alla perfezione", "La vita di Buddha" e "Il libro tibetano dei morti") e il primo dizionario di tibetano-italiano, concluso nel 1732, che contava ben 35.000 lemmi!

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Instancabilmente, nel 1732 tornò poi a Roma (compiendo un viaggio di soli altri… 4 anni!) per trovare nuove risorse utili al proseguimento della missione, per poi rientrare in Tibet dopo altri 5 anni, nel 1741. Tuttavia, quella stessa missione di dialogo interculturale per cui Orazio aveva strenuamente lavorato dovette soccombere solo pochi anni dopo, nel 1745, a seguito di scontri con il potere politico e civile tibetano. Gli ultimi missionari abbandonarono il convento e il Tibet il 20 aprile 1745; il 20 luglio dello stesso anno, dopo essersi rifugiato in Nepal, Orazio lasciò questo mondo a causa di un collasso, come se gli fossero venute a mancare le forze dopo aver saputo che il lavoro d'una vita era come svanito nel nulla.

Di questa avventura rimangono però oggi alcune testimonianze nella città natale del frate. Chi volesse, infatti, ‘arrampicarsi’ per le vie scoscese della deliziosa Pennabilli vi troverebbe una campana tibetana, inaugurata nell’estate del 2005 dal XIV Dalai Lama del Tibet e Premio Nobel per la Pace, Tenzing Gyatso. È proprio grazie a Frate Orazio della Penna, l'uomo che portò un po’ di Romagna in Tibet, che un angolo di Tibet si trova ancora oggi nel cuore della Romagna.

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