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Suono ma nessuno apre

Suono ma nessuno apre

A cura di Matteo Fabbri

25 anni da 'Pop', il disco più discusso degli U2. Eppure...

Che c’è di male nell’amare “Pop”? Nulla, se non fosse che ai tempi la fanbase storica lo vedeva come la peste. Per molti loro estimatori, infatti, “Pop” rappresentò l’inizio della fine. Il punto di non ritorno. La caduta libera

A me gli U2 stanno antipatici. O meglio, mi sta sulle balle Bono. Non ci posso fare niente. È così da sempre. C'è gente che non sopporta Freddie Mercury, o Madonna, o Gigi D’Alessio, qualcuno magari arriva pure a non tollerare un personaggio simpatico e positivo come Gianni Morandi. Io invece il problema l’ho sempre avuto con Bono. Di lui non mi è mai piaciuto il personaggio che si è creato, in particolare fuori dal palco. L’ho sempre trovato pesante, in ogni contesto. E nemmeno la voce, a dire il vero, mi ha mai fatto troppo impazzire.

Sulla band, invece, c’è poco da dire. Un colosso di statura mondiale, forse l’ultima vera grande band storica. Quantomeno se si parla di quelle scaturite dagli anni ‘80. Formatisi a Dublino nel 1976, esordiscono con l'album di debutto “Boy” nel 1980, per poi rapidamente diventare superstar prima nel loro paese d'origine poi, verso la metà degli anni '80, nel resto dell'Europa e infine in America. Arrivando a diventare nel lustro tra il 1987 e il 1992 senza dubbio la più importante band al mondo, grazie a sonorità spesso al passo coi tempi, un frontman carismatico, un marchio di fabbrica ben riconoscibile e soprattutto una serie di giganteschi tour mondiali. Proprio sulla dimensione “live” hanno basato le loro fortune, con spettacoli dalla grande potenza scenografica e acustica, soprattutto negli stadi, al cospetto di un pubblico sempre nuovo, che attraversa più generazioni (al concerto degli U2 puoi trovare il ragazzino di vent’anni così come il nostalgico che li segue da quaranta). Senza contare, infine, il loro forte impegno sociale fatto di tante battaglie (l'azzeramento del debito in Africa, la situazione di Nelson Mandela, la lotta per i diritti umani, ecc...). Insomma, che vi piacciano o no, gli U2 sono una delle più grandi realtà musicali della storia.

Eppure, il fatto che mi stiano antipatici (esticazzi?) non mi frena dall’apprezzarne una peculiarità in particolare: se gli U2 hanno un pregio, infatti, è proprio la loro continua voglia di esplorare messa in mostra nell’arco della loro longeva carriera. Una predisposizione che si è concretizzata in special modo durante gli anni ‘90, quando si lanciarono in sperimentazioni coraggiose e abbracciarono l’elettronica. Una svolta iniziata timidamente nel ‘91 con “Acthung Baby” ed estremizzata in dischi di rottura come “Zooropa” del ‘93 e il controverso “Pop” del 1997, che proprio questo 3 marzo festeggia venticinque anni dalla sua pubblicazione.

Che c’è di male nell’amare “Pop”? Nulla, se non fosse che ai tempi la fanbase storica lo vedeva come la peste. Per molti loro estimatori, infatti, “Pop” rappresentò l’inizio della fine. Il punto di non ritorno. La caduta libera. Molti rimasero perplessi, per non dire sconvolti, quando comparì in televisione il videoclip di “Discotheque”, con i membri della band agghindati come novelli Village People, o quando per radio iniziarono a transitare tracce ipnotiche e stranianti come la magnifica “Mofo”. Per quanto mi riguarda, invece, “Pop” è un disco che risponde esattamente a ciò che cerco nella musica: osare e non rimanere uguali a sé stessi. Mi sono reso conto che quando mi viene voglia di ascoltare gli U2, alla fine della fiera lo faccio quasi sempre nella loro “versione anni ‘90”, in particolare in questa formula del 1997, che li ha portati a sfornare pezzi audaci in cui le melodie restano sempre in primo piano ma vengono vestite con sonorità elettroniche, notturne e trip-hop. Del resto la musica stava cambiando e non potevano rimanere fermi, se non volevano rischiare di fare la fine di colleghi coevi (che infatti a quel tempo ormai erano già finiti nell’oblìo). La storia è piena di band che hanno continuato a fare lo stesso disco per decenni, senza grossi scossoni, facendo invecchiare in fretta la loro proposta e continuando a piacere fondamentalmente solo agli inguaribili nostalgici.

“Pop” l’ho vissuto praticamente “in diretta” e ricordo che all'epoca fu molto chiacchierato. A dispetto del titolo, non è un disco facile, e richiede attenzione per essere apprezzato. Le canzoni sono molto lunghe (a volte anche cinque-sei minuti) e pezzoni come “Do You Feel Loved”, “Gone” e “Last Night On Earth” sono pervasi da suoni oscuri e quello stato d’ansia che forse non te li fa amare subito, ma poi si aprono lentamente e non te ne riesci a staccare facilmente. Non a caso stiamo parlando di un album rivalutato nel tempo: nel periodo della sua uscita molti lo odiavano, soprattutto i fan più sfegatati e legati a un’altra idea della band, mentre adesso non è raro trovare degli ammiratori che lo ascoltano con rinnovato piacere. Io stesso agli inizi non ero così convinto, poi mi sono ricreduto e nel tempo sono giunto alla conclusione che “Pop” sia un po’ il capolavoro “nascosto” della discografia degli U2, nonché il loro disco che preferisco. Non il più importante, chiaramente, ma nemmeno il fratellino sfigato degli altri. Ha anche dei testi molto belli, tra i loro migliori. E in fin dei conti, anche se capisco che rimangano più impresse le parti più abbaglianti e meno convenzionali, in realtà è un album con molti passaggi in pieno “stile U2” (da segnalare, ad esempio, la meravigliosa ballata “Staring At The Sun”). Quindi a distanza di anni potremmo arrivare quasi a ridimensionare il presunto “tradimento” della vecchia guardia.

Con “Pop” gli U2 sono stati avventurosi e hanno volontariamente creato una spaccatura che ha avuto un impatto significativo. E poi diciamolo: in una carriera lunga gli alti e bassi sono fisiologici. Spesso c’è questa tendenza a svalutare un artista per via di uno o due dischi minori, come se questi cancellassero quanto di buono fatto prima, durante o dopo. Invece potete sempre continuare ad ascoltare “Pride”, “With Or Without You”, “Sunday Bloody Sunday” o “One”. Piacciono anche a me. Ma alla fine quando mi dico “oggi ho voglia di U2”, mi ritrovo quasi sempre a mettere nel lettore “Pop”, questo splendido venticinquenne!

A questo link è possibile ascoltare l'episodio del podcast

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