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Suono ma nessuno apre

Suono ma nessuno apre

A cura di Matteo Fabbri

30 anni fa l'"anno d'oro del rock": dai Nirvana ai REM, la storica musica del 1991

Un anno particolare per la musica, un anno di svolta, un anno inarrivabile e accomunabile a pochi altri nella storia del rock

Dopo il cinquantenario di “Aqualung” dei Jethro Tull, celebrato con l'articolo di settimana scorsa, oggi andiamo indietro di “soli” trent'anni per parlare di un'annata d'oro per il rock, per certi aspetti forse la più iconica di sempre. Nel 1991 io ero appena un ragazzino e la mia “cultura” musicale si riduceva, come tutti, a ciò che ascoltava mia madre in automobile o alle cassettine che trovavo quando andavo a casa di mio zio, o ancora a quel che mi capitava di sentire sbadatamente in radio o vedere su MTV e Videomusic. Avrei scoperto solo qualche anno dopo che quello fu un anno particolare per la musica, un anno di svolta, un anno inarrivabile e accomunabile a pochi altri nella storia del rock.

Il 1991 fu una sorta di “All Star Game” della musica: nel giro di poche settimane uscirono infatti una manciata di album, anzi, più di una manciata, destinati a rimanere nella storia. Vuoi per i milioni di copie vendute, vuoi perché entrati nell'immaginario collettivo, vuoi perché dischi di rottura o di novità. Alcuni, come vedremo, erano canti del cigno, altri erano dischi della consacrazione, altri ancora esordi col botto. Cominciamo quindi questa piccola rassegna odierna.

Se nel 1991 inoltrato entravi in un negozio di dischi, quelli che adesso praticamente non esistono più, avevi l'imbarazzo della scelta nella sezione “novità”. C'erano tante copertine che ti invogliavano all'acquisto già solo per l'immagine stampata. Ma non erano solo fumo e niente arrosto: dentro ti si aprivano dei mondi, vecchi e nuovi. Ad esempio, se eri un fan dei Queen dentro a “Innuendo”, uscito quell'anno, avresti trovato quello che, a posteriori, è considerato il testamento di Freddie Mercury. Un disco contenente la maestosa title-track, l'epica “The Show Must Go On”, la bizzarra “I'm Going Slightly Mad” e la straziante “These Are The Days Of Our Lives” nel cui video Freddie, emaciato e quasi in fin di vita, dà il suo ultimo saluto ai fan. Sempre nella sezione rock, quello fu anche l'anno in cui i Guns N' Roses, nel pieno del loro successo, pubblicarono non uno ma ben due dischi, usciti lo stesso giorno ma venduti separatamente, ovvero “Use Your Illusion I e II”, con cui virarono verso un hard rock molto ambizioso, che li trasformò definitivamente in icone, e con cui riuscirono a mettere d’accordo un po’ tutti con brani enfatici e anche con grandi ballate diventate istantaneamente dei classici (“Don’t Cry”, “November Rain”, “Knockin On Heaven’s Door”, ecc...).

Ma se c’è qualcosa, o qualcuno, grazie a cui il 1991 sarà sempre ricordato come un’annata di svolta per il rock, bisogna necessariamente citare il fenomeno del “grunge”. In quei mesi in particolare escono “Badmotorfinger” dei Soundgarden, “Ten” dei Pearl Jam e soprattutto “Nevermind” dei Nirvana. Dico “soprattutto” non per un discorso di qualità, ma per una questione di impatto che, grazie a questo disco, il grunge e la città di Seattle hanno avuto sul mondo della musica, sulla società e sugli adolescenti dell'epoca. “Nevermind” diede una scossa al panorama esistente e fece deflagrare nel mondo il movimento grunge, quasi un vero e proprio stile di vita incarnato dal talento tormentato di Kurt Cobain. Con “Nevermind” si compì una rivoluzione culturale e il passaggio ufficiale dall’immaginario degli anni ‘80 a quello anni ‘90.

A proposito di Cobain e di musica alternativa che spazza via il mainstream e, anzi, diventa mainstream, il 1991 è l’anno in cui in tutto il pianeta esplode un gruppo con già svariati anni (e svariati album) di gavetta alle spalle. In un’intervista lo stesso Cobain parla di questo gruppo con devozione assoluta, dicendo: “Se solo riuscissi a scrivere almeno un paio di belle canzoni come quelle dei R.E.M.”. Il ‘91 è infatti l’anno di “Out Of Time” contenente, tra le altre, la mega-hit “Losing My Religion”, una canzone di cinque minuti senza un vero e proprio ritornello e nel quale lo strumento principale è il mandolino, che segna la svolta della loro carriera. I R.E.M. riuscirono a creare il connubio perfetto fra l’indie e il pop da classifica. Il gruppo di Michael Stipe arriva al vertice e se la gioca direttamente con il top, ovvero gli U2. Che sempre nel 1991 tirano fuori “Achtung Baby”, con cui riescono a stupire nuovamente, staccandosi definitivamente dagli “Eighties” e inaugurando, di fatto, la svolta tecnologica degli anni Novanta che li porterà a flirtare sempre di più con la musica elettronica.

Non dobbiamo dimenticare che il 1991 è stato anche l’anno in cui i Metallica diventarono superstar grazie all’album omonimo, quello tutto nero, il “black album” appunto, un disco da milioni di copie che ridefinì il concetto di metal, traghettandolo verso il successo, sdoganandolo in radio e spaccando inevitabilmente la fanbase della band. Il 1991 è stato anche l’anno di “Blood Sugar Sex Magik” dei Red Hot Chili Peppers, il trionfo del crossover e di quella miscela incendiaria di rock, funk, punk e anche rap, grazie soprattutto all’inconfondibile basso slappato di Flea. Il disco con cui diventarono grandi, in tutti i sensi. E ancora, il 1991 è stato per l'ennesima volta l’anno del “Re del Pop”, Michael Jackson, che diede alle stampe forse il suo ultimo bagliore, quel “Dangerous” col quale si allontana definitivamente dal suo guru Quincy Jones e si fa musicalmente più aggressivo, più rock in un certo senso, come in “Black Or White”. Iniziando a parlare di temi seri, anche in maniera abbastanza rabbiosa.

Che dire? Potrei continuare per ore. Potrei dire che il 1991 è stato teatro di grandiose uscite hip hop, dai Cypress Hill a 2pac, passando per i Public Enemy e i seminali A Tribe Called Quest. Potrei citare lo “shoegaze”, quel genere musicale composto da un muro sonoro potentissimo che fa da contorno a voci eteree e sognanti, un genere che ha influenzato un sacco di cose, a partire dal “britpop” che divamperà di lì a poco. A proposito di britpop, il ‘91 è anche l’anno dell’esordio dei Blur, tra l'altro. Nella stessa annata cominciava a prendere forma anche il sound di Bristol, il “trip-hop”, col primo lavoro dei Massive Attack. E il ‘91 è anche l’anno di quella figata di “Screamadelica” dei Primal Scream, connubio tra house, psichedelia e rock: un’autentica rivoluzione grazie alla quale il rock iniziò a guardarsi intorno e a strizzare l’occhio all’elettronica.

Insomma, se si fa l’elenco delle uscite discografiche del 1991 si perde veramente il conto e si trovano tante cose che avrebbero poi influenzato tonnellate di musica venuta nei lustri successivi. Nel 1991, come per una congiunzione astrale, uscirono grandi album diventati simbolo. Quando ci sei dentro, non te ne rendi conto. Vale un po’ in tutti gli ambiti: ci si accorge di aver vissuto una grande stagione soltanto quando si può volgere lo sguardo al passato...

A questo link è possibile ascoltare la puntata del podcast

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