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Suono ma nessuno apre

Suono ma nessuno apre

A cura di Matteo Fabbri

A 30 anni dalla morte di Freddie Mercury, un articolo un po' diverso dal solito

Non credo di conoscere un artista così popolare eppur così divisivo come Freddie Mercury. Se da un lato, infatti, è amato incondizionatamente dai fan, dall’altro ci sono invece critica e pubblico che lo inquadrano come il male assoluto

Non credo di conoscere un artista così popolare eppur così divisivo come Freddie Mercury. Se da un lato, infatti, è amato incondizionatamente dai fan che lo vedono come un Dio puro, inscalfibile e senza peccato, dall’altra parte della barricata ci sono invece critica e pubblico cosiddetto “alternativo e intellettuale” che lo inquadrano come il male assoluto. Colpa della sovraesposizione mediatica conseguente alla sua morte prematura avvenuta esattamente trent’anni fa, il 24 novembre 1991. Sovraesposizione che, nel renderlo paradossalmente ancor più famoso di quanto già non fosse, ha anche generato una buona fetta di persone che ormai non lo possono più vedere (il “troppo stroppia”, come si dice).

I media italiani, in questo, sono assolutamente colpevoli di aver sempre voluto romanzare la sua vita (e soprattutto la sua morte), cercando solo di fare sensazionalismo e dipingendolo come un martire, senza mai analizzare concretamente la sua opera e ricopiando dal web i soliti quattro o cinque aneddoti, alterati ad hoc allo scopo di fare audience. Gli speciali a lui dedicati sono sempre tutti uguali e spesso pieni di inesattezze usate volutamente per aumentare lo share o ottenere qualche click in più (penso al documentario di livello amatoriale confezionato dal TG5 proprio qualche giorno fa). Anche il biopic ufficiale aveva delle imprecisioni, certo, ma la pretesa di una pellicola non è quella di consegnarci la verità, bensì quella di emozionare. Il racconto che i media generalisti fanno da sempre di Freddie Mercury è invece un concentrato di luoghi comuni come neanche la peggior Barbara D’Urso.

I temi più gettonati sono sempre i medesimi: Aids, vita sregolata, le centinaia di partner frequentati, omosessualità, una presunta dipendenza da alcol e droghe (mai verificata, ma se fa scalpore perché non citarla?) o ancora la sofferenza provata negli ultimi giorni prima di morire. Le rare volte in cui miracolosamente si parla di musica, lo fanno sempre citando la stessa manciata di canzoni, i soliti videoclip che lo mostrano baffuto sul palcoscenico, sempre gli stessi acuti, ecc... Insomma, una rappresentazione che ho sempre trovato limitante per un personaggio della sua caratura, come se lo volessero ridurre a macchietta. Ed è colpa loro se i Queen al giorno d’oggi dividono così tanto.

Personalmente, sono un fan di vecchia data dei Queen (dove per “vecchia” intendo dal 1995 circa, anno di uscita dell’album postumo “Made In Heaven”). Faccio quindi parte di quell’ondata di fanatismo che ha preso il via dopo la morte del loro leader. In quest’ottica i Queen sono un esempio unico nella storia della musica: non solo la loro popolarità non è scemata dopo la scomparsa del cantante, ma incredibilmente può dirsi cresciuta, nonostante il gruppo abbia praticamente smesso di pubblicare materiale inedito. Si tratta senza dubbio dell’unica rock-band storica che riesce a riscuotere gradimento più o meno da tutte le fasce d’età, a partire da coloro che li hanno “vissuti” in diretta, fino ad arrivare ai ragazzini che li hanno scoperti tre anni fa, con l’uscita nelle sale cinematografiche del campione d’incassi “Bohemian Rhapsody”.

Con questo articolo non ho la pretesa di recensire la carriera artistica di Freddie Mercury: sarebbe impossibile e ingeneroso farlo in poche righe. I dischi e gli argomenti da trattare sono un’infinità, e il web è già pieno zeppo di commenti, recensioni, monografie che c’è solo l’imbarazzo della scelta. In occasione di questo anniversario mi piacerebbe però sottolineare una peculiarità che poche volte ho visto evidenziata: la sua versatilità vocale. Alt: è vero che la sua voce è da sempre oggetto di complimenti, ma in tutti gli articoli ci si limita costantemente alle solite frasi fatte su quanto siano belle le sue canzoni e la sua voce (cosa significa poi “belle”?), su quanta estensione abbia (due ottave, tre ottave, mille ottave), e poco altro. Non si fa invece mai riferimento alla sua versatilità (ed è qui che sta secondo me il suo maggior pregio). Purtroppo la superficialità con cui viene trattata la materia “Queen” (penso alle programmazioni radiofoniche ma anche a spot e pubblicità come quelle del “Mulino Bianco”) hanno creato l’equivoco per cui i Queen sarebbero commerciali, mostrando solo una delle loro tante sfaccettature.

La band nel corso della carriera ha infatti spesso rischiato, toccando i generi più disparati: dall’hard rock all’operetta, dal folk al metal, passando per il jazz e la discomusic. E la voce di Freddie Mercury era di altissimo livello non tanto (o non solo) perché alta e squillante (anzi, a volte questo può pure risultare un difetto, soprattutto in situazioni che non lo richiedono), ma soprattutto perché è riuscita sempre ad adattarsi alla varietà sonora esplorata dalla band. Freddie Mercury ha saputo interpretare docili canzoni d’amore con una voce cristallina, potenti canzoni heavy-metal con vocalità rauca e brutale, pezzi vaudeville con un timbro scanzonato, epici brani da stadio con toni portentosi, teatrali melodie usando il falsetto, e via dicendo. Il tutto senza mai scimmiottare ma rimanendo “Freddie Mercury”. Sempre riconoscibile. La sua voce era talmente a fuoco che in alcuni casi riusciva a mettere in ombra il resto. Pensiamo, ad esempio, ad “Another One Bites The Dust”, la hit funky-disco caratterizzata da quell’iconico riff di basso: quando sento quel brano la prima cosa che mi salta all’orecchio non è il basso ma la voce di Freddie, che canta fino quasi a sanguinare, con un groove black e un ritmo devastanti, degni di un navigato cantante Motown. In questo sta la sua grandezza.

P.s: a proposito degli stereotipi abusati dai media italiani, fatemi dire una “leggerezza” degna del loro livello: se c’è una cosa che non ho mai sopportato è vedere Freddie Mercury sempre rappresentato nella sua “versione” coi baffi. Freddie Mercury per tutti è quello coi baffi. Soprattutto qui da noi. Ecco, non ne faccio ovviamente una questione estetica (chissenefrega se portava i baffi o la barba o la cresta punk). Ma è l’ennesima dimostrazione di come venga trattato superficialmente dai giornalisti nostrani. Come se esistesse solo il “Freddie baffuto”! Per la cronaca: Freddie Mercury ha tenuto i baffi per soli sei anni della sua carriera, precisamente tra il 1980 e il 1986, che non sono nemmeno gli anni di maggior successo (se si eccettua la famosa esibizione al Live Aid e un paio di hit). Per farvi un esempio: canzoni strafamose come “Killer Queen”; “Bohemian Rhapsody”, “You’re My Best Friend”, “Somebody To Love”, “We Will Rock You”, “We Are The Champions”, “Don’t Stop Me Now” e “Crazy Little Thing Called Love” vedono ancora Freddie nella sua versione più giovane senza baffi. Allo stesso modo, il Freddie più anziano di “I Want It All” oppure “Innuendo”.

A questo link è possibile ascoltare il podcast di Suono ma nessuno apre

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