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Suono ma nessuno apre

Suono ma nessuno apre

A cura di Matteo Fabbri

Adele ha fatto rimuovere la modalità 'shuffle' da Spotify: capriccio o coraggio?

La proposta avanzata da Adele quindi può sembrare un’inezia, ma intanto non l’aveva mai chiesta nessuno, e ha mostrato che avere peso decisionale significa anche saperlo esercitare nel modo giusto

E’ vero, arrivo tardi, ma curo questa rubrica una volta a settimana (di mercoledì) e sette giorni fa mi sembrava più importante celebrare il trentennale della scomparsa di Freddie Mercury piuttosto che concentrarmi su una piccola polemicuccia, anche se quest’ultima nasconde un tema in realtà molto interessante. E la protagonista è una gigante (almeno a livello commerciale) del mainstream mondiale dei nostri tempi: Adele.

Cos’è successo? Semplice: in occasione dell’uscita del suo nuovo album, intitolato solamente “30”, Adele ha preteso (e ottenuto) da Spotify di disattivare la modalità “shuffle” (cioè la riproduzione casuale) dai suoi dischi. In soldoni: se vuoi ascoltare un suo album, devi farlo nell’ordine ufficiale della scaletta compilata dall’artista, non a random. Scelta che poi la più famosa piattaforma di streaming ha deciso di estendere a tutti gli album presenti nel proprio catalogo. Nonostante si tratti all’apparenza di una piccolezza, questo gesto ha suscitato la solita coda di commenti e polemiche, dividendo gli ascoltatori tra chi è d’accordo e chi invece lo reputa un mero capriccio da star, fine a sé stesso e aggirabile in tanti modi.

Stavolta non farò il solito gioco delle parti, mettendomi a elencare le ragioni di ogni fazione. Mi limito a dire che personalmente ho apprezzato questa iniziativa. Sarà che io, come molti di voi, per questioni anagrafiche sono ancora legato al “formato album”. Ci sono cresciuto. E seppur io sia un utilizzatore vorace di musica in streaming (è comoda e mi dà tremila spunti diversi per scoprire nomi nuovi, passati e attuali), faccio ancora fatica ad abituarmi alla bulimia musicale della nostra epoca e alla superficialità da prodotto “usa e getta” con cui la musica viene ormai trattata. Come un chewing-gum da masticare un po’ per poi buttare per terra. Anzi, peggio.

Per me l’album è ancora il formato più affascinante. Certo, la musica può essere ascoltata in mille contesti diversi e non c’è sempre la necessità di prestare un’attenzione “diretta”: possiamo metterla come sottofondo in macchina o durante una lettura, ecc... Ma quando posso mi piace ancora ascoltare un disco nella sua interezza, senza pause, per il gusto di farlo. Un po’ come “si faceva una volta” mettendo sul piatto un vinile e sedendosi comodamente sul divano a contemplare suoni e parole, sorseggiando qualcosa e godendosi il relax del momento. Senza l’urgenza di saltare da una traccia all’altra, o di tornare indietro, o di schiacciare “skip”, e via dicendo. Sarà che un disco, per me, è come un libro: è una storia e, anche se non si tratta di un cosiddetto “concept”, non puoi leggerne pagine a caso qua e là. O meglio: puoi, ma forse ti perdi qualcosa. Del resto, c’è uno studio accurato anche dietro alla scelta di una tracklist. L’ordine dei brani ha quasi sempre un valore e un senso. Non si stabilisce tirando una monetina o lanciando due dadi.

La proposta avanzata da Adele quindi può sembrare un’inezia, ma intanto non l’aveva mai chiesta nessuno, e ha mostrato che avere peso decisionale significa anche saperlo esercitare nel modo giusto. Quindi complimenti a lei. E’ come se avesse voluto dire: se intendete ascoltare i miei dischi, dovete farlo a modo mio, nell’ordine che ho scelto io. Io l’ho fatto e ho trovato come sempre canzoni ben scritte e ottimamente prodotte, ma interpretate da una voce (a mio gusto) sguaiatissima, impersonale, urlatrice anche dove non serve, e per niente elegante. Ma questo è un altro discorso...

A questo link è possibile ascoltare il podcast

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