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Suono ma nessuno apre

Suono ma nessuno apre

A cura di Matteo Fabbri

Lo chiamavano "il Bowie italiano": torna Garbo, il cantautore algido dallo spirito indipendente

Garbo è stato uno dei primissimi a incarnare uno spirito indipendente, fregandosene del successo facile, per agire sempre a modo suo, senza compromessi

Un bel giorno, nel 1981, usciva uno dei capolavori della musica italiana, “La Voce Del Padrone” di Franco Battiato. Nello stesso giorno veniva pubblicato anche il disco di un esordiente, intitolato “A Berlino…Va Bene”. Il ragazzo in questione era uno dei primi esponenti della new wave italiana. Un cantautore anomalo, che di italiano aveva ben poco. Si potrebbe quasi definire “italiano per sbaglio”. Le sue canzoni erano melodiche, ma algide, d’atmosfera, sperimentali, interpretate con voce scura e baritonale, in stile David Sylvian (cantante dei Japan), e con tanti rimandi a David Bowie. Non a caso fu ribattezzato “il Bowie italiano”. Sto parlando di Garbo (peraltro uno dei nomi d’arte più musicali mai sentiti), uno con una grande personalità e con quel suo stile imperturbabile, raffinato e così decadente.

Lui è uno di quei personaggi che, a cavallo tra fine ‘70 e inizio ‘80, segnarono un rinnovamento musicale nel nostro paese, dettando nuove coordinate del pop. Non c’era molto di simile all’epoca, soprattutto nelle radio: se da una parte avevamo i cantautori e dall’altra le hit nazional popolari, Garbo si inseriva nel mezzo, mostrando un altro modo di fare musica, con sonorità più internazionali, che andavano di pari passo con novità d’oltremanica come Depeche Mode, Simple Minds, Cure e Joy Division. Il tutto, però, in lingua italiana.

L’ascesa di Garbo fu abbastanza rapida: da un giorno all’altro si ritrovò dall’anonimato alle apparizioni televisive. Eppure, se tra i 45enni-50enni di oggi ci sono molte persone che lo ricordano, è altrettanto vero che è rimasto un artista abbastanza cristallizzato in un’epoca precisa, e per i giovani è un nome che dice poco o nulla. E invece meriterebbe una riscoperta, anche perché ha contribuito a influenzare molto del pop-rock elettronico tricolore venuto dopo: dai Bluvertigo ai Baustelle, passando per i Subsonica, tanto per citarne alcuni.

Il fatto è che Garbo è stato uno dei primissimi a incarnare uno spirito indipendente, fregandosene del successo facile, per agire sempre a modo suo, senza compromessi. Nella sua carriera ha sempre curato e deciso tutto in completa autonomia: la produzione, gli arrangiamenti, il look. Si vestiva e truccava come voleva, sceglieva come porsi e cosa dire in pubblico. Nonostante le pressioni dall’alto di chi voleva una sterzata verso un pop più commerciale, Garbo ha preferito continuare a sperimentare, tanto che a un certo punto ha mollato tutto per fondare un’etichetta e pubblicare ciò che voleva, solo quando lo desiderava. Questo lo ha allontanato dai grossi media, facendolo scomparire dai radar. Altri al suo posto, anche meno bravi, si sono piegati al mercato, per cavalcare l’onda. Garbo invece ha tirato dritto senza paura. E in questo caso non c’entra la favoletta della volpe e dell’uva.

Non ha mai particolarmente amato la luce dei riflettori e, fin dai primi accenni di successo, ha sentito subito l’esigenza di staccarsi da certi salotti radio/TV che lo mettevano a disagio. Nemmeno a Sanremo sarebbe voluto andare perché aveva paura di deludere il suo pubblico, passando per venduto. Alla fine ha partecipato, rimanendo però sé stesso e dimostrando come anche in contesti simili si potesse proporre qualcosa di audace. Arrivò tra gli ultimi, ma vinse il premio della critica.

Degli anni Ottanta si tende sempre a fare di tutta l’erba un fascio. È vero che c’è stata tanta plastica, ma come in ogni altra epoca. Quando si pensa a quel periodo musicale vengono in mente sempre le stesse figure, scordandosi invece di altri che cercavano di andare oltre i soliti schemi. Esattamente come Garbo: se oggi uscisse un giovane com’era lui ai tempi, verrebbe osannato, ne sono certo. Del resto, sono trascorsi circa quarant’anni da “A Berlino…Va Bene” e “Radioclima” ma, a giudicare dal suo disco appena uscito, “Nel Vuoto”, non sembra aver perso un briciolo del suo smalto: oggi, come allora, poco incline a scendere a patti col music-business…

Come sempre, si può ascoltare l'episodio del podcast che parla dell'argomento a questo link.

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