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Suono ma nessuno apre

Suono ma nessuno apre

A cura di Matteo Fabbri

Che (vi) piaccia o no, il revival anni '80 è lontano dallo sparire

Oltre al fenomeno The Weeknd, pensiamo anche solo ai Coldplay, che da baluardi del tardo brit-pop anni ‘90 e del pop- rock “chitarristico” anni 2000, nel tempo si sono avvicinati sempre più a un sound colorato di matrice 80s

...e poi dicevano che gli anni ‘80 erano solo un decennio effimero. Talmente effimero che mentre sto scrivendo, 11 gennaio 2022, The Weeknd, ovvero la più importante popstar maschile del momento sul pianeta (almeno stando ai freddi numeri), ha appena pubblicato un nuovo disco che sembra uscito direttamente dal 1987 (ovviamente aggiornato con le tecnologie attuali). Ed è solo l’ultima fatica di una discografia, quella dell’artista canadese, costellata di riferimenti più o meno spudorati al decennio “innominabile”, che si tratti di campionamenti veri e propri o semplici rimandi sonori. Quincy Jones, uno dei guru storici della black music, ha paragonato quest’ultimo lavoro a “Thriller”. Io volo un po’ più basso e mi limiterei al massimo a “Bad”, ma ci siamo capiti. Effettivamente il parallelismo col “Re del Pop” viene molto naturale: in tanti frangenti sembra di ascoltare Michael Jackson con una produzione attuale. E probabilmente, se fosse ancora tra noi, suonerebbe proprio così, o quasi.

Ma oltre al fenomeno The Weeknd, pensiamo anche solo ai Coldplay, che da baluardi del tardo brit-pop anni ‘90 e del pop- rock “chitarristico” anni 2000, nel tempo si sono avvicinati sempre più a un sound colorato di matrice 80s. Un chiaro esempio è il loro album di qualche mese fa, “Music Of The Spheres”, pieno zeppo di sintetizzatori. E la lista di nomi che ai giorni nostri riprendono quei suoni è lunghissima, sia nel mainstream (Dua Lipa, Lady Gaga, Bruno Mars, Calvin Harris, Daft Punk, per citarne alcuni), sia in campo alternativo (The Strokes, Editors, Killers, White Lies, Interpol, Jessie Ware). E questo vale sia all’estero che in Italia (così su due piedi mi vengono in mente Tommaso Paradiso e il suo ex gruppo Thegiornalisti, Immanuel Casto, Ex Otago, Achille Lauro).

Tutto partì nei primi 2000, i cosiddetti “anni zero”: dopo il rigetto, concentratosi durante gli anni ‘90, nei confronti di tutta l’estetica “eighties”, qualcuno a inizio millennio ha ripreso in mano certe sonorità e contemporaneamente (forse non a caso) molte “vecchie glorie” si sono riformate (Duran Duran, Culture Club, New Order, ecc..). Sarebbe dovuto durare poco, come tutti i revival. Qualche anno e poi via, di nuovo nell’oblìo, per lasciar spazio a cose nuove o al revival successivo. Del resto era un decennio effimero, no? E invece è di nuovo qua, quarant’anni dopo, e a venti dall’inizio di questa rifioritura, con gli stessi suoni ma anche con quell’atmosfera, il mood decadente, l’inquietudine e la malinconia miscelate alla vivacità e alla spensieratezza. Caratteristiche agli antipodi per chiunque, tranne in quella decade, che incorporava al suo interno tutto e il contrario di tutto.

La critica principale sollevata dagli “hater” verso quel tipo di musica è sempre stata il suo essere troppo leggera, plasticosa, eccessiva, fluo, senza contenuti, poco seria, basata esclusivamente sull’immagine. Una critica figlia di un enorme pregiudizio e che, a mio modo di vedere, è totalmente fuori fuoco perché non tiene conto di quanto variegata fosse la colonna sonora di quel periodo e di quante sfumature avesse, sia in ambito underground, sia nelle classifiche. Dire, ad esempio, che gli anni ‘80 sono stati solo gli anni delle tastiere e del pop plasticoso, sarebbe come dire che gli anni ‘70 sono stati solo quelli della discomusic, o gli anni ‘90 sono quelli della dance. Sono stati “ANCHE” quelli. Ma intorno c’erano tanti altri stili che spesso si intersecavano.

A ben vedere infatti, come sottolineato anche da un autorevole addetto ai lavori come Andy dei Bluvertigo nell’intervista che gli ho fatto qualche mese fa, gli anni ‘80 sono stati un decennio ricco di proposte musicali completamente diverse tra loro. Un’epoca in cui convivevano pacificamente generi come il synth-pop da classifica (A-Ha, Wham, Depeche Mode), il metal e i suoi sottogeneri (Iron Maiden, Judas Priest, Motley Crue), o ancora l’hip hop della vecchia scuola (Run DMC, Public Enemy, De La Soul), il rock puro nelle sue varie sfaccettature (U2, R.E.M., Toto, Guns & Roses), la corrente dark-gotica (Cure, Bauhaus, Siouxsie), e infine magari anche i classici della prima ondata house. E così via per tanti altri generi ancora. Insomma, un decennio in cui l'aspetto tecnologico è entrato in maniera pesante rispetto a prima, contribuendo all’abbattimento di tante barriere.

Ci sono periodi storici che, nonostante il passare del tempo, restano impressi nella mente e nel cuore di chi li ha vissuti, ma anche di chi li ha conosciuti indirettamente. Il decennio di cui abbiamo parlato oggi continua tuttora a ispirare una moltitudine di musicisti, anche in Italia. A conti fatti, risulta anche difficile parlare di “revival”, perché è come se quegli anni non fossero mai veramente finiti: il revival sta durando più degli anni ‘80 stessi! Anche nel campo di cinema e della moda. Quanto continuerà ancora? Chi lo sa. Considerando che c’era chi in diretta aveva la pretesa di darlo per morto, è già tanto che siamo qui a parlarne...

A questo link è possibile ascoltare il podcast 'Suono ma nessuno apre'

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