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Suono ma nessuno apre

Suono ma nessuno apre

A cura di Matteo Fabbri

E alla fine rimasero in due: i Depeche Mode fanno i conti col passato e ci danno l'addio?

La band ha perso per strada vari pezzi, meno di un anno fa uno dei fondatori, Andrew Fletcher. La sua ombra pervada tutto il nuovo disco, “Memento Mori”, che i rimanenti due membri dei Depeche hanno pubblicato pochi giorni fa

Io sono tra quelli che faticano ad accettare quando una band va avanti nonostante l’abbandono o la perdita di uno o più membri storici. A maggior ragione se parliamo di gruppi con alle spalle decine d’anni di carriera. Suonerà spietato dirlo ma ho sempre pensato che nella musica, più che in ogni altra arte, gli artisti abbiano veramente qualcosa da dire per massimo per tre/cinque anni (in rarissime eccezioni si può arrivare ai dieci). E’ quasi impossibile, infatti, trovare qualcuno che pubblichi le sue cose migliori dopo tanti anni dall’esordio. Me ne vengono in mente giusto un paio (in tal senso, gli ultimi dischi di Bowie, prima della sua scomparsa, sono pazzeschi). Ed è un discorso che faccio anche per i miei idoli.

I Depeche Mode, in questo, sono una specie di eccezione e sicuramente hanno un percorso un po’ atipico: hanno esordito nel 1981, avuto il loro periodo d’oro durante gli anni ‘80, ma l’apice nel 1990 (“Violator”), più tante altre buone cose sparse qua e là, tra alti e bassi. Nel corso del tempo hanno perso per strada vari pezzi: quasi subito Vince Clarke (“mister cinquanta dita”), poi Alan Wilder e, meno di un anno fa, uno dei fondatori, Andrew Fletcher, scomparso prematuramente. Su quest’ultimo si potrebbero dire tante cose. Una delle quali, in maniera un po’ controversa ma vera, l’ha detta recentemente lo stesso Dave Gahan, leader e voce della band, dichiarando: “Avrei dovuto essere più gentile con lui e dirgli: so che non suoni niente, non so cosa tu faccia qui, ma chi se ne frega, sono felice che tu ci sia”. Detta così, sembra che Fletcher passasse di lì per caso. In realtà si trattava un equilibratore all’interno della band. Non scriveva, non suonava, non componeva. Ma faceva tutto il resto: tutto quello che non si vede. Compreso il tenere unite le, altrimenti litigiose, due anime principali del gruppo: Martin Gore e lo stesso Gahan. In una parola: Fletcher era semplicemente fondamentale.

A questo link è possibile ascoltare il podcast Suono ma nessuno apre

E non è un caso che la sua ombra pervada tutto il nuovo disco, “Memento Mori”, che i rimanenti due membri dei Depeche hanno pubblicato pochi giorni fa. L’album, infatti, è molto cupo e dimesso, esattamente come che ti aspetteresti dal disco di commiato di due superstiti. Ha una vena malinconica accentuata, con atmosfere oscure e una voce evocativa. Insomma, un lavoro intimista, che profuma molto di “addio”: un ultimo saluto al vecchio amico, ma forse anche ai fan… Il nuovo lavoro è sicuramente compatto, con un bel sound e una produzione tirata a lucido. Forse a mancare un po’ sono “solo” le melodie. Ci sono ottimi sprazzi di classe, alternati però anche a fisiologici riempitivi. L’impressione è che qualche pezzo più piatto potesse tranquillamente essere lasciato fuori. Ma non è una novità e in questo senso si ritorna al discorso che facevo a inizio articolo: questi hanno sessant’anni a testa, con più di quaranta di carriera alle spalle. Per cui lasciatemi dire che è già un mezzo miracolo averli ancora “in pista” a competere sul mercato, se pensiamo a tantissimi loro coevi finiti nel baratro (più o meno dignitosamente).

E pazienza se alla fine si tratterà di uno di quei dischi godibili che ascolti solo nel periodo in cui escono, per poi accantonarli in favore delle belle cose del periodo d’oro. Non hanno più nulla da dimostrare a nessuno e del resto dai Depeche Mode del 2023 non avrebbe nemmeno troppo senso aspettarsi lo stesso impatto che riuscivano a generare un tempo. Già solo vederli tornare, con un buon pezzo pop radiofonico come “Ghosts Again”, e un album fatto di canzoni più ispirate rispetto agli ultimi tre LP che erano usciti in precedenza, è tutto “grasso che cola”, come diremmo qua.

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