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Giovedì, 25 Aprile 2024
Suono ma nessuno apre

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A cura di Matteo Fabbri

'Traces', il nuovo album di Hernandez & Sampedro: "La nostra musica deve rispecchiare ciò che siamo"

Fra pochi giorni i dischi firmati da questa rockband dai tratti molto americani diventeranno tre: sta infatti per uscire il loro terzo lavoro in studio, intitolato “Traces”

Il binomio 'Hernandez & Sampedro' è ormai da anni una solida realtà musicale “made in Ravenna”, grazie a un paio di album e soprattutto a un’intensa attività live, con centinaia di concerti all’attivo in tutta Italia e all’estero. Fra pochi giorni, esattamente il 21 giugno, i dischi firmati da questa rockband dai tratti molto americani diventeranno tre: sta infatti per uscire il loro terzo lavoro in studio, intitolato “Traces”, e per l’occasione ho avuto il piacere di fare due chiacchiere con Hernandez, voce solista e chitarra ritmica, una delle due metà di questo progetto, che ci ha illustrato con sincera passione le novità del gruppo.

Comincio subito con un aneddoto: qualche settimana fa ci siamo incontrati per caso, mentre tu stavi passeggiando con tua figlia e io uscivo mestamente dal supermercato. Lì ti ho chiesto al volo del disco e mi hai detto che sarà anche “punk”. Questa cosa mi ha colpito. Non ho quasi mai notato la componente punk tra le vostre influenze principali. Cosa puoi dirci in proposito?

Diciamo che non c’è del punk puro, però sicuramente le influenze le abbiamo. E’ un genere che seguo da sempre e mi piace, ma che non ho mai suonato. Però c’è da sempre in noi una sorta di “attitudine latente” punk, che non usciva perché in origine siamo nati come duo acustico, in casa, con due chitarre e due voci. Invece qui abbiamo lavorato da subito le idee assieme alla band e quindi alcuni brani sono sono nati subito con le chitarre elettriche, e di conseguenza con un’attitudine più punk-rock o garage-rock. Io vengo dal grunge, quindi quella componente punk che c’è nel grunge è venuta un pelino più fuori, soprattutto in due o tre pezzi sulla falsariga dei momenti più garage dei Pearl Jam, o in un altro pezzo che ricorda molto i Social Distortion. Ci siamo ispirati ai nostri idoli per dimostrare quell’attitudine, che è poi una gratitudine.

Voi siete conosciuti da sempre come un duo, mentre adesso siete una band a tutti gli effetti, non solo dal vivo ma anche in studio. Come ti trovi in questa “nuova” situazione? In cosa ha influenzato il vostro risultato finale?

In realtà noi abbiamo sempre avuto un’attitudine da band, pur essendo in due. Da qualche tempo abbiamo trovato in Luca (batterista) e Jack (bassista), due musicisti con cui abbiamo molto affiatamento, sia sul palco che fuori. In realtà ci siamo trovati bene con tutti i musicisti con cui abbiamo suonato in passato, ma un affiatamento del genere è raro che si sia verificato nel nostro gruppo, tanto da voler includerli nella lavorazione e organizzazione del nuovo album. Sicuramente l’entrata di Jack è stata una svolta, perché lui ha creato un legame forte sia prima con Paolo (ex batterista), sia adesso con Luca (batterista attuale). E’ un membro fondamentale della ritmica e sono molto contento che sia nel gruppo e spero ci rimanga il più a lungo possibile, sia per amicizia che per bravura, talento, capacità e versatilità. E anche Luca, che è entrato per ultimo, è sicuramente il batterista più in linea con quello che è il nostro gusto e stile. Abbiamo avuto sempre i migliori batteristi rock della zona: prima Fabio Alessandrini, che già suonava con noi negli Stoned Machine, poi Paolo Rubboli, che ha uno stile molto diverso ed è stato bravo ad adattarsi al nostro, ma probabilmente per entrambi il nostro genere era distante dal loro gusto musicale. Luca è il batterista ideale per un disco come quello che stiamo pubblicando. Per cui, pur mantenendo un’identità da duo per le decisioni e la scrittura, l’impronta della band si sente molto.

Cosa è cambiato da sei anni a questa parte, ovvero dal vostro ultimo disco del 2016, "Dichotomy"? Come siete cresciuti e cosa pensi di avere in più, a parte l’esperienza?

Sicuramente siamo invecchiati (ride, ndr). Seriamente, ciò che è cambiato di più è l’affiatamento nei live, che in passato forse avevamo meno. Adesso crediamo molto di più nelle nostre canzoni e nella nostra musica. Per esempio suoneremo sempre meno cover. Agli inizi, con un solo disco all’attivo, eravamo obbligati a mettere delle cover per fare gli spettacoli. Poi dopo il secondo album ne abbiamo lasciate poche. Mentre da adesso, col terzo disco, se ci sarà una cover, una tantum, sarà solo perché magari avremo voglia di fare un omaggio. Ma finalmente daremo più spazio a un gruppo, il nostro, che adesso ha tre dischi. Siamo anche persone più adulte che hanno ancora più necessità di suonare ed esprimersi.

Così come faceste per la presentazione dell’ultimo disco, anche questa volta ci sarà un grande “concerto-evento” in cui farete ascoltare in anteprima al vostro pubblico le nuove canzoni. Stavolta al Teatro Binario di Cotignola, il prossimo 21 giugno. Puoi anticiparci qualcosa dello show? Cosa dobbiamo aspettarci?

Speriamo sia “grande”, come dici! (ride, ndr) A parte le battute, abbiamo deciso che, così come la nostra grafica, sarà un concerto semplice. Non vogliamo troppi fronzoli. Ci stiamo lavorando praticamente dalla primavera del 2019, pensavamo di uscire nel 2020-2021, poi ci siamo allungati per le cause che conosciamo tutti. Alla fine questi nuovi pezzi li suoniamo in sala prove da tre anni e ormai ci escono dalle orecchie. Semplicemente vogliamo far sentire le canzoni nuove così come le abbiamo suonate su disco, perché lo abbiamo registrato in presa diretta, e allo stesso modo lo sentirete al Teatro Binario. Vogliamo mostrare quello che siamo stati in questo periodo e che ancora non abbiamo potuto fare sentire.

Dell’ultimo album mi aveva incuriosito molto quella scelta di suddividerlo in due metà: un lato prettamente acustico e uno invece più duro ed elettrico. Questa volta invece come avete deciso di strutturarlo?

Sarà più omogeneo. La scaletta non ha una logica precisa, se non quella del gusto sonoro. Sicuramente il momento acustico sarà molto valorizzato, anche perché è un episodio unico all’interno della tracklist: la voce e la chitarra acustica ci saranno solo in un brano, che non è nemmeno cantato da me, bensì da Mauro (Sampedro). Lui canta sempre un brano nei dischi, invece in questo ne canta ben tre. In più, mentre negli altri dischi c’erano dieci canzoni, stavolta ce saranno dodici. Abbiamo deciso di mettere tutto. Non siamo gente che scarta: quello che facciamo, e ci piace, lo mettiamo su disco.

Ho sempre trovato una certa passionalità nella vostra musica e soprattutto nel tuo modo di cantare. Il rock nasce stradaiolo, fatto di sangue, sudore e passione. Ma spesso noto che certe band tendono a essere fredde, quasi meccaniche. Voi al contrario avete un calore che traspare dai dischi, ma in particolare dal vivo. Si vede proprio che voi siete una “live band”, lasciamelo dire.

Assolutamente. Quello che vogliamo mettere in mostra noi non è certo la tecnica. Il nostro punto forte deve essere l’emozione. Forse è proprio lì che sappiamo colpire, perché conosciamo i nostri limiti tecnici, e su ciò che invece sappiamo fare vogliamo esprimerci nel miglior modo possibile. E poi sì, hai ragione: noi ci sentiamo proprio una live band, ci troviamo a nostro agio sul palco. Questo disco è praticamente live, essendo in presa diretta traspare molto di più il nostro lato “roots”, “da strada”. E le nostre strade hanno la sabbia invece che l’asfalto, perché l’influenza del nostro territorio si sente nella nostra musica. Siamo molto legati alla nostra terra, al mare, a questa sabbia, a quest’acqua. Mauro è surfista, ad esempio. Cerchiamo di trasmettere le nostre origini nella musica.

Come proseguirà poi il tour dopo il concerto di lancio del disco? Avete già delle date, magari anche in altre zone d’Italia o all’estero?

Quest’estate suoneremo più che altro qui in zona, anche per motivi personali e lavorativi. Abbiamo già diverse date, in particolare abbiamo cercato di mantenere il più possibile quelle come band, mentre ne abbiamo solo un paio in acustico come duo. Poi magari verso l’inverno, quando qui in Romagna si abbassa un po’ la frequenza dei concerti, abbiamo intenzione di girare un po’ in Nord Italia. Per l’estero, invece, al momento non c’è ancora nulla anche perché in questo periodo è tutto più complicato. Ma vedremo. Anche perché recentemente, dopo molti anni, abbiamo firmato con una nuova etichetta e ci stiamo trovando molto bene. Vedremo come evolverà la situazione.

Adesso ti faccio una domanda che non c’entra direttamente con voi, ma riguarda il rock in senso più ampio. Posso chiederti cosa pensi dei Maneskin e, in generale, dell’attuale scena rock mondiale? Sei contento che una realtà italiana abbia ottenuto questa risonanza o credi che nel loro caso abbiano beneficiato di una serie di eventi favorevoli, mentre ci sarebbero altre band ben più meritevoli di farsi portabandiera del rock nel mondo?

Domanda scomodissima (ride, ndr). A parte gli scherzi: io ho tutti gli album dei Maneskin perché, come sai, io sono un curioso e un collezionista. Sono open-mind, cioè cerco di non farmi condizionare dall’estetica prima dell’ascolto. Da un punto di vista musicale il loro ultimo album è un bel disco, tra l’altro registrato in presa diretta, ci sono dei bei pezzi pop-rock, scritti bene, con l’ingenuità della giovane età (che vuol dire tutto e niente). Si sente che è abbastanza sincero. Ecco, detto questo, io semplicemente non li trovo coerenti con la loro immagine pubblica. Li trovo abbastanza costruiti. E spero che tornino a essere più reali. Penso che a volte si mettano a sposare delle cause solo perché vanno di moda al momento. Non li trovo genuini al 100%. Hanno un bel disco privo di fronzoli, mentre loro invece hanno mille fronzoli. Non li trovo coerenti tra estetica e musica, ecco. Ma è pur vero che sono ragazzi con tanti sogni, come ero io qualche anno fa. Poi c’è gente come me, e altri, che decide di non piegarsi al music-business perché crede che la sua personalità non debba essere modificata, pagando però il prezzo di non diventare famoso. A volte qualcuno ce la fa. Per esempio i Nirvana: la moda è andata in quella direzione e loro “reali” sono diventati famosi rimanendo loro stessi, pagando però il prezzo sulla loro pelle. I Maneskin penso abbiano adattato il loro essere verso un’immagine che va di moda adesso. Ovviamente ci sono gruppi che meritano più di altri, ma questo vale sempre nella storia della musica. Poi la moda cerca le personalità che forse si sposano meglio al presente. Comunque i Maneskin sono dei bravi musicisti che hanno successo, quindi buon per loro. Ripeto: ho i loro dischi.

Sono d’accordissimo con la tua analisi che ci porta verso la conclusione dell’intervista. Ti faccio i miei complimenti per l’anteprima del disco che mi hai fatto ascoltare. Ecco, trovo che a differenza di molti artisti, soprattutto in Italia e in particolare nel circuito alternativo, voi diate sempre molta importanza alle melodie. Penso sia uno dei vostri punti di forza. Sai, molto spesso si tende a dare più credito alle parole, ai testi, e magari ci si dimentica delle melodie, degli arrangiamenti, della scrittura, ecc... Invece le vostre sono canzoni che si ascoltano molto bene.

Ti ringrazio, è un complimento che mi lusinga molto, perché io se non sento la melodia in un gruppo o in una voce non riesco ad appassionarmi. Io devo appassionarmi alle canzoni, e quindi anche alle mie: se io per primo non mi ci appassiono come può farlo qualcun altro? A volte ci sono dei gruppi che hanno dei suoni e delle ritmiche pazzesche, curatissime, ma puntano poco sulle melodie. Voglio mettere in luce quello che siamo e spero traspaia dal disco. La nostra musica deve rispecchiare ciò che siamo. Io non voglio diventare famoso ma voglio fare questo per tutta la vita. E quindi se non sono credibile non ho speranze di coronare questo piccolo sogno.

E allora, se questa chiacchierata vi ha incuriosito, l'appuntamento è per martedì 21 giugno, alle 21 al Teatro Binario di Cotignola, dove Hernandez & Sampedro e la loro band presenteranno il loro ultimo ambizioso lavoro.

A questo link è possibile ascoltare il podcast di Suono ma nessuno apre

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