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Suono ma nessuno apre

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A cura di Matteo Fabbri

Il sequel di 'Bohemian Rhapsody': come evitare un (altro) errore

Negli ultimi giorni è stata battuta con insistenza la notizia secondo cui Brian May, storico chitarrista dei Queen, avrebbe confermato la futura realizzazione di un sequel del fortunato film

Negli ultimi giorni è stata battuta con insistenza la notizia secondo cui Brian May, storico chitarrista dei Queen, avrebbe confermato la futura realizzazione di un sequel del fortunato “Bohemian Rhapsody”, pellicola di clamoroso successo sulla storia della band che ha fatto incetta di premi. La realtà è abbastanza diversa: May, durante una delle sue ormai innumerevoli dirette Instagram, ha risposto alla domanda di un fan affermando semplicemente che “è dura dare un seguito al primo film, dato che nessuno di noi pensava che sarebbe stato un fenomeno di questa portata. Stiamo considerando l’ipotesi che un seguito possa esserci, ma dobbiamo avere una grande sceneggiatura e ci vorrà un po’ di tempo per tirarla fuori”. Queste le parole di May. Quindi non un annuncio ufficiale, ma semplicemente l’idea di non escludere la possibilità, a patto che venga tirata fuori una buona trama.

Fin qui tutto ok. Il problema è che non mi fido più di Brian May. Non fraintendetemi: sono un fan dei Queen di lunga data. Li ho spesso difesi a spada tratta quando ho avuto a che fare con qualche inguaribile hater (di cui il web è pieno). Però sono uno di quegli ascoltatori che ha sempre storto il naso nei confronti delle scelte attuate dai restanti membri della band (il bassista John Deacon è a parte, dato che si è ritirato dalle scene) negli ultimi vent’anni: a partire dalla pubblicazione di decine di inutili compilation tutte uguali, passando per la scelta di cantanti di dubbio gusto in sostituzione di Freddie Mercury. Non sto a dilungarmi sugli altri esempi ma, tra questi, l’ultimo in ordine cronologico è proprio il film Bohemian Rhapsody. Erano anni che aspettavo il compimento di un lungometraggio sui Queen, se non altro perché erano circa vent’anni che, ciclicamente, ogni due o tre mesi saltava fuori la notizia di un’imminente realizzazione. Quando lo vidi finalmente in sala nel 2018 mi emozionai, nonostante una buona quintalata di difetti che ho iniziato a elaborare solo successivamente. Tra i difetti non ci metto le discrepanze con la realtà o gli errori storici: si tratta pur sempre di un film, quindi penso che le licenze narrative e i fatti un po’ romanzati siano leciti, anche perché per la verità storica ci sono già fior di documentari.

Quel che non mi è piaciuto è il fatto che abbiano voluto raccontare quindici anni di carriera in due ore scarse. Questo ha fatto sì che, ad esempio, il film cominci che i membri non si conoscono, e dopo cinque minuti sono già una band, e dopo altri dieci sono già in classifica. O ancora: in una scena litigano e dopo dieci secondi fanno pace, in una scena Mercury è etero e in quella dopo è gay, in una scena rivela la sua malattia, tutti piangono e trenta secondi dopo sono già felici e guardano avanti. Insomma, troppi salti che non mostrano in alcun modo l’evoluzione dei rapporti e soprattutto della personalità del protagonista Freddie Mercury. Perché, diciamocelo, la gente va a vedere Bohemian Rhapsody per lui, non per altro. E allora si è persa un’occasione d’oro per raccontare dei lati interessanti del suo carattere e della sua vita, rinunciando completamente a mostrare anche i suoi lati negativi, che però c’erano, esistevano; Mercury era anche questo, non era perfetto. Ed era appassionante proprio per questo. Avrebbero potuto approfondire tanti dettagli personali, invece si sono ridotti a fare una sorta di documentario a tappe, puntando esclusivamente sull'effetto scenico (costumi, musica live sparata a mille, stadi, ecc..). Il tema dell'Aids, ad esempio, è stato trattato per tre minuti netti: un colpo di tosse in cui gli è uscito un po' di sangue, lui che va dal dottore e poi la confessione agli altri con finale a tarallucci, vino e abbracci. Idem il tema dell'omosessualità: due bacini, un paio di sguardi languidi e una marea di stereotipi (uomini baffuti vestiti di pelle). Fine.

Anche la composizione delle canzoni: a parte la scena di Bohemian Rhapsody, tutti gli altri brani famosi sembrano nati per caso in trenta secondi, senza un minimo di background. O ancora il piccolo dramma di Mercury per aver deluso Mary, l'amore della sua vita (tanto che nella realtà le avrebbe poi lasciato quasi tutta la sua eredità). Per non parlare delle sue origini: la famiglia che scappa per via della rivoluzione, la religione zoroastriana, il fatto che lui diventi famoso solo a 29 anni (quando molti suoi colleghi a quell'età avevano già una manciata di album alle spalle), ecc... Insomma, tanti spunti che non sono stati sviscerati per niente, tanto che molti fatti risultano scollegati tra loro: memorabile nel film la frase di Freddie "siamo quattro emarginati che suonano per altri emarginati". Perché emarginati? Da cosa lo capisco io spettatore che voi siete emarginati?

Mi auguro che per l’ipotetico sequel (o, perché no, prequel) prendano in considerazione la possibilità di circoscrivere la storia a pochi anni, analizzando come i tratti personali e le vicende private abbiano influenzato la sua musica (un po’ come fatto in “Rocketman”, pellicola dedicata all’altrettanto grandioso Elton John), non per un discorso di morbosità, ma perché Mercury aveva una personalità davvero sfaccettata, dai mille risvolti dettati soprattutto dalla sua storia di emigrato e reietto. Alla supervisione ci sarà sempre, come è ovvio, Brian May assieme al fidato Roger Taylor. Speriamo che qualcuno ai piani alti faccia riflettere il chitarrista dei Queen perché, ricordiamo, anni fa quando Bohemian Rhapsody era ancora un’utopia, la sua idea principale per un lungometraggio sui Queen era quella di far morire Freddie Mercury a metà film e incentrare il resto della pellicola su come i restanti membri della band avessero elaborato il lutto e proseguito nei loro progetti solisti. Interessantisssssimo! Se queste sono le premesse, auguri…

A questo link è possibile ascoltare il podcast 'Suono ma nessuno apre'

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