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Suono ma nessuno apre

Suono ma nessuno apre

A cura di Matteo Fabbri

Maschere improbabili e trucchi pesanti: per Carnevale anche il rock si traveste

Chi copre il volto con la maschera di un topo morto, chi usa un marshmallow gigante, chi si spalma una vernice rivelatasi poi cancerogena, chi indossa il cestello di un fast food. Ma soprattutto: perché?

Siamo a ridosso del carnevale e quale occasione migliore di un gustoso articolo dedicato a musicisti e band che nell'arco della carriera hanno tenuto nascosta la loro identità con improbabili maschere, travestimenti eccentrici o un trucco pesante. Oggi, in particolare, voglio dare risalto a coloro che per tutta la carriera hanno indossato perennemente una maschera per nascondersi e conferendo così al proprio personaggio un'immagine ben definita e riconoscibile, pur nell’anonimato. Quindi non avremo maghi del trasformismo come David Bowie o Peter Gabriel, e nemmeno chi ha usato “solo” trucchi e abiti di scena fantasiosi come Boy George o Marylin Manson.

Cominciamo questa parata con un duo simbolo dell’elettronica che ha legato alla propria proposta sonora un’immagine altrettanto forte, in cui spiccano caschi robotici che, assieme ad abiti e guanti eleganti, sono diventati iconici tanto quanto i loro brani. Mi riferisco ai Daft Punk, che a dire il vero non hanno sempre portato questo travestimento. Poi un giorno, nel 1999, pare si sia verificato un incidente in studio e da quel momento non si tolsero più tolti i loro elmetti futuristici riuscendo a conciliare look e stile musicale in un marchio di fabbrica che ha raggiunto i massimi livelli durante i loro innovativi spettacoli dal vivo.

Una una ventina d'anni prima, negli anni ‘70, sempre in Francia, c'era un gruppo che potremmo definire “precursore” dei Daft Punk perché aveva sonorità molto simili, ovviamente con le tecnologie che permettevano i tempi. Sto parlando dei Rockets, con la loro proposta musicale caratterizzata da testi fantascientifici, sound elettronico e soprattutto l'aspetto scenico alieno. I Rockets usavano costumi argentati e si dipingevano completamente la faccia con una crema color argento brillante. Pure gli strumenti musicali riprendevano atmosfere spaziali con chitarre e bassi costruiti a forma di stella o di sole, e facevano un grande uso di voci robotiche. Piccola nota di colore: ci fu un periodo in cui apparivano senza vernice perché si narrava che a causa della tintura velenosa alcuni membri avessero contratto un male incurabile.

Per concludere il capitolo “elettronico”, tra gli esempi più singolari mi vengono in mente i Knife, un duo svedese, fratello e sorella, fissato con l’electro-pop in salsa dark e famoso per indossare quelle tipiche maschere veneziane con un lungo becco nero, molto simili a quelle dei medici ai tempi della peste.

Voltiamo pagina e passiamo al rock. Sono sicuro che se pensate al binomio “band-maschera”, i primi a venirvi in mente siano i Kiss con le loro chiome fluenti, quei costumi tamarri e la linguaccia di Gene Simmons. Chissà se i Kiss sarebbero stati gli stessi anche senza quel make-up stravagante. Quel che è certo è che si sono trasformati in un vero e proprio business milionario con i faccioni di The Demon, The Star Child, The Catman e Space Ace presenti praticamente ovunque in versione videogame, giocattolo, fumetto, cartone animato, abbigliamento, film, ecc...tanto che nel tempo il loro brand in alcuni casi ha relegato la musica, comunque di qualità, a un ruolo secondario. Restando in ambito rock, ma in questo caso sperimentale, troviamo poi un collettivo americano bizzarro, attivo dal 1972, che dall'inizio della carriera ha mantenuto l’identità dei suoi membri avvolta nel mistero (è anche probabile che si siano avvicendati musicisti diversi nella line-up). Si tratta dei Residents, famosi per presentarsi con un frac nero, un cilindro in testa e una maschera a forma di bulbo oculare a celarne completamente i volti.

E spostiamoci in Italia dove di esempi più o meno validi ce ne sono in gran quantità. I primi ad aver unito musica e fumetti per nascondere l'identità sono stati i Tre Allegri Ragazzi Morti che vestono da sempre delle maschere di loro creazione (Toffolo, il frontman, è prima di tutto un grande disegnatore) sia sul palco, sia durante le interviste. Un modo per trascinare il loro pubblico all’interno del loro mondo.Tra i più conosciuti recentemente, grazie anche ai loro costumi che ricordano una variante nera dell'Uomo Ragno, ci sono anche i Bloody Beetroots. E un altro esempio sono i Sick Tamburo (praticamente gli ex Prozac+), che coprono i volti sotto un passamontagna nero nella loro miscela electro-rock.

Ma il più curioso e attuale è un'artista misterioso che ha dato nuova linfa alla canzone napoletana. Veste sempre un bomber blu scuro con la scritta a caratteri cubitali “LIBERATO”, una felpa nera col cappuccio tirato su e una bandana a coprire il volto. Di lui non si sa niente. Liberato non ha un volto, come non lo hanno Myss Keta o Tha Supreme. Di lui si conosce solo la sagoma. Non c’è nessun indizio e i suoi profili social sono semivuoti. Quasi ogni giorno saltano fuori ipotesi sulla sua vera identità, ma tra le più accreditate c'è quella secondo cui si tratti in realtà di un collettivo.

Adesso torniamo all’estero e in ambito rock col camuffamento forse più assurdo di tutti: quello di un virtuoso chitarrista sperimentale americano, noto per agghindarsi con una maschera bianca inespressiva e soprattutto con un secchiello del fastfood “KFC” sopra la testa, con appiccicata la scritta “Funeral”. Il suo nome d'arte è Buckethead e anche qui le leggende si sprecano. La più bizzarra è quella secondo cui lui sarebbe cresciuto in una fattoria e un giorno le galline gli graffiarono la faccia. Per cui, per coprire i segni, avrebbe iniziato a indossare una maschera e un cestello di pollo fritto che i malvagi proprietari della tenuta avevano gettato vicino a lui.

Sul versante metal si perde il conto delle band mascherate. Forse la più famosa sono gli Slipknot, che hanno sempre utilizzato tute nero/rosse e maschere ispirate a film horror (Hannibal Lecter, Jason di “Venerdì 13” e via dicendo). A differenza degli altri citati oggi, però, gli Slipknot di solito modificano le loro maschere all’uscita di ogni album.

Ma i più inguardabili in assoluto sono i Ghost, una band svedese composta da sei elementi. Ovvero i cinque musicisti, che portano una veste nera simile a quella di un vescovo e una maschera di ferro con le corna e senza bocca, capitanati da un frontman vestito come un pontefice malvagio, una sorta di divinità demoniaca, noto anche come “Papa Emeritus”.  Questo porta addirittura la mitra, il tipico copricapo del papa (credo che in Italia il leader dei Ghost avrebbe qualche problemino). La cosa che fa sorridere è che, a ben vedere, la loro attitudine “satanica” è più scenografica che reale, dato che fanno un piacevole hard-rock basato su ritornelli e melodie estremamente accessibili.

Cambiamo ancora genere e tipologia d'artista, adesso parliamo di un paio di DJ. Il primo è canadese, usa il nome d’arte “Deadmou5” e ha raggiunto la fama contestualmente alla scelta di indossare un enorme testa di topo tonda, completa di un sorriso gigante e due occhi sporgenti e luminosi. Perché un topo? Pare che tutto derivi da un piccolo incidente ai tempi del liceo quando, smontando il PC, trovò un topolino morto al suo interno.

E a proposito di maschere bislacche, che ne dite di uno che indossa un casco futuristico a forma di marshmallow gigante? Si tratta del DJ che si fa chiamare proprio Marshmello, pseudonimo scelto con riferimento alla sensazione di “dolcezza” che trasmetterebbe la sua musica, proprio come una caramella. Un espediente che da un lato rassicura i genitori e dall’altro piace ai ragazzini (infatti ha moltissimi fan sotto i 12-13 anni) e che gli ha permesso di essere subito riconoscibile in una cerchia, quella dei DJ, in cui è difficile emergere perché composta da un sacco di artisti molto simili tra loro e facilmente sovrapponibili.

E terminiamo la rassegna odierna con un paio di artisti pop mainstream. La prima è SIA, che è riuscita a fare musica senza essere giudicata per l'esteriorità, nonostante sappiamo quanto sia difficile, a maggior ragione per una donna, sfondare senza un'immagine forte. Nelle esibizioni preferisce coprirsi il viso con una parrucca e un enorme fiocco, mentre nei videoclip si fa sostituire da una ballerina.

E per gli ultimi di oggi non si parla né di maschere né di trucco, bensì di cartoni animati. Le menti dietro al rinomato progetto “Gorillaz” sono Damon Albarn dei Blur, che cura l'aspetto musicale, e il disegnatore Jamie Hewlett, che ha creato i fumetti animati di questa cartoon-band. Il brand Gorillaz ha avuto origine nel ‘98 mentre Albarn e Hewlett stavano guardando la televisione: l'idea di band “virtuale” nasceva come critica verso la mancanza di sostanza di MTV.

Per concludere, sappiamo quanto l’immagine sia importante per un musicista, e il successo sia certamente legato al suo talento, alle sue capacità artistiche, ma anche alla componente estetica. Ed è innegabile il fascino dei travestimenti e delle maschere che molti artisti usano per raccontarsi. Oggi l'abbiamo visto, mescolando insieme generi, epoche e personaggi che farebbero forse fatica a convivere e magari si starebbero pure antipatici a vicenda. Ma è anche questo il bello della musica, no?

A questo link è possibile ascoltare il podcast della puntata

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