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Suono ma nessuno apre

Suono ma nessuno apre

A cura di Matteo Fabbri

Quando a Lucio Dalla tiravano le bottiglie: il ruolo della 'gogna social' nella crescita dei musicisti

Ci sono grandi artisti che sono stati trattati male quando erano sconosciuti e sono diventati grandi anche e proprio perché sono stati trattati male

Tutte le polemiche, critiche, post, articoli e fiumi di inchiostro riguardanti il fenomeno che ha circondato i Maneskin dal post-Sanremo in poi mi hanno fatto tornare in mente quando qualche tempo fa per il mio podcast “Suono Ma Nessuno Apre” intervistai il giornalista, critico musicale e giurato all’Eurovision Paolo Giordano (non Mario, per l’amor del cielo) che, tra le tante altre cose, da anni è anche membro della commissione esterna ad “Amici”. Avendo questo talent show un target molto giovane, e quindi digitale, non ho potuto fare a meno di riflettere assieme a lui sul ruolo dei social nell’industria musicale.

In particolare, seguo Paolo su Twitter e mi fa sempre sorridere come nella sua immensa disponibilità e pacatezza si ritrovi ciclicamente ogni anno a doversi difendere dalle polemiche alimentate dai fan estremisti, che si lamentano del presunto brutto trattamento riservato ai loro giovani beniamini in rampa di lancio. Da questo punto di vista può sembrare che i social abbiano cambiato il ruolo stesso della spettatore, che forse in passato era ritenuto un po’ più “passivo”, nel senso che si limitava a guardare la televisione e al massimo scambiare pareri in famiglia, nel salotto di casa, mentre adesso ha la possibilità di dare e diffondere per il web - e quindi potenzialmente a chiunque - pareri gratuiti e assolutamente non richiesti. Invece, come Giordano afferma giustamente, non è vero che il pubblico di una volta fosse più passivo. Al giorno d’oggi è passivo esattamente come prima, nel senso che tutti quanti, nell’illusione di poter esprimere un parere attraverso like, retweet e altri processi di condivisione, in realtà non fanno altro che seguire alcuni pareri dominanti. L’illusione di poter essere condizionanti e decisivi nell’esprimere il proprio parere è pericolosa, soprattutto quando questa non va di pari passo con la competenza, che è importante anche in ambiti più semplici, divertenti e spensierati come è quello della musica. Le polemiche vanno bene sui social perché fanno divertire, ma durano mezzora e dal punto di vista prettamente musicale sono quasi sempre ridicole, in particolare perché spesso si attacca a prescindere soltanto per il gusto di schierarsi, come in un’eterna lotta tra guelfi e ghibellini.

E poi comunque va detto: ci sono grandi artisti che sono stati trattati male quando erano sconosciuti e sono diventati grandi anche e proprio perché sono stati trattati male o non messi nelle condizioni migliori per esprimersi. Anche prima dell’era social. Chi ce l’ha fatta, nella storia, ce l’ha fatta battendo le difficoltà, senza essere aiutato da nessuno. Se noi valutiamo i grandi artisti degli ultimi cinquantanni dal punto di vista della musica leggera e popolare, nessuno è stato accolto con la fanfara al momento del debutto. Tutti hanno dovuto superare porte chiuse e fregature, però magari adesso sono reputati i più grandi, famosi e importanti. Qualche esempio: vi ricordate cosa è stato il personaggio Jovanotti? Per almeno un decennio è stato letteralmente macellato. Lo stesso Vasco inizialmente non veniva capito. O ancora, il manager di Guccini racconta che il cantautore a un certo punto gli disse “guarda, voglio portarmi in tour questo mio amico artista che secondo me è molto bravo, ma non lo considera nessuno”. Guccini si portò l’amico in tour come spalla, ma appena questi saliva sul palco gli tiravano le bottigliette. Era Lucio Dalla. I cui primi dischi non hanno venduto una copia, mentre adesso è considerato uno dei padri della musica leggera italiana.

Ma gli esempi sono infiniti. Per cui, un ragazzo che in un talent o a Sanremo non ha la stessa esposizione di un altro può essere considerato trattato male rispetto a qualcuno che si è preso le bottigliette? Anche perché questi ragazzi non sono bambini di dieci anni. Hanno comunque venti-venticinque anni, sono adulti e strutturati, e dovrebbero essere allevati e cresciuti anche con l’idea che può capitare anche lo smacco, la figuraccia, l’insuccesso. Che non si può piacere a tutti. E’ normale per tutti noi, in ogni ambito, professione, anche a scuola quando magari il professore non ti considera come pensi di meritare. Fa parte della vita e la nostra crescita dipende un po’ anche da questo. Le grandi star che hanno fatto e faranno davvero la storia sono quelle che hanno creato gli anticorpi per resistere a queste delusioni.

A questo link è possibile ascoltare il podcast della puntata

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