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Suono ma nessuno apre

Suono ma nessuno apre

A cura di Matteo Fabbri

Quella volta in cui (non) ho intervistato Sting in occasione dei suoi 70 anni

Ciò che mi è sempre piaciuto di Sting è la sua continua voglia di evolversi e mettersi in gioco: ogni disco riflette lo stato d’animo del momento

Il prossimo 2 ottobre Sting compirà 70 anni e proprio un paio di notti fa ho fatto un sogno: mi trovavo tra le colline del Chianti, in un luogo paradisiaco perso tra vigneti, oliveti, campi gialli di fieno, boschi e paesaggi suggestivi ricchi di colori e profumi. Ero in provincia di Firenze, a Figline Valdarno, là dove giace un’immensa tenuta del XVI secolo denominata “Il Palagio”: sembrava di essere all'interno di un dipinto. Arrivo e vengo accolto da una governante che mi dice “il signor Sumner non dovrebbe tardare molto, nel frattempo può attendere in quella sala”, e mi indica la direzione. Entro in una stanza poco illuminata, con tappeti persiani, lanterne in filigrana, nell'aria il vago odore di incenso ma soprattutto decine di oggetti come dischi, strumenti musicali, quadri e fotografie che in qualche modo mi ricordano il personaggio che stavo aspettando.

Mi trovavo lì, infatti, perché avevo ottenuto un'intervista esclusiva con un grande musicista che è anche il padrone di questo luogo: stavo per incontrare Sting. Mentre aspetto, mi metto un po' a curiosare in giro e vedo subito una bottiglia di Sangiovese di sua produzione: si chiama “Message In A Bottle”, come la famosa canzone dei Police. Mi sono preparato qualche domanda per lui ma ho volutamente evitato i Police perché so che non ama parlarne. Nell’attesa noto un sacco di altri oggetti che rimandano alle varie tappe della sua carriera da solista. Scorgo in un angolo un sassofono soprano, un po’ impolverato, contornato da alcune piccole statuette a forma di tartarughe blu. Il suo esordio da solista si chiama proprio “The Dream Of The Blue Turtles”, titolo che proviene da un sogno, anzi un incubo, fatto da Sting e che vedeva protagoniste proprio un gruppo di enormi tartarughe blu che devastavano il suo giardino danzando a ritmo di jazz.

Ciò che mi è sempre piaciuto di Sting è la sua continua voglia di evolversi e mettersi in gioco: ogni disco riflette lo stato d’animo del momento e in quel periodo, 1985, si era appena messo in proprio e, nonostante il successo della formula coi Police, aveva scelto di tornare al suo primo amore giovanile: il jazz. Si è circondato di una schiera di quotatissimi musicisti jazz contemporanei e ha così creato il disco della prima svolta. L’album si rivela infatti un tentativo riuscitissimo di fondere jazz e pop, come in “Moon Over Bourbon Street” dove Sting imbraccia il contrabbasso per un brano fumoso e notturno. Da menzionare anche “Russians”, canzone di una potente drammaticità incentrato sul tema della guerra fredda.

Continuo a curiosare in giro per la stanza, nel frattempo la governante mi porta una tazza di thè caldo. Fa per andare via e le chiedo al volo “chi è quella donna?”, indicando la fotografia appoggiata sua una mensola. “E’ la madre del signor Sting”, mi risponde lei, mentre esce. Ah, già, la madre, e subito mi viene in mente il suo secondo, intimo, disco da solista: siamo nel 1987 e l’album, che si chiama “Nothing Like The Sun”, nasce dall'ennesima intenzione di provare qualcosa di nuovo. Non più jazz, ma nemmeno rock. Si era innamorato di suoni più esotici fondendoli con sonorità introspettive d’atmosfera. Il disco è influenzato da due eventi personali della vita di Sting: la morte improvvisa della madre e una serie di concerti benefici in aree dell'America Latina devastate dalle guerre civili. Tra i brani più toccanti c’è “Fragile”, una romantica e triste ballata per chitarra acustica e percussioni latine. Ma il pezzo più straziante è “They Dance Alone” che descrive la triste vicenda delle donne cilene che danzano da sole per strada, a ricordare il sacrificio delle vittime civili della dittatura di Pinochet. Da citare, infine, anche la popolarissima “Englishman In New York”, un reggae-jazz che parla di Quentin, amico di Sting, una persona coraggiosa che era apertamente gay in un momento in cui era fisicamente pericoloso esserlo.

In questa stanza sono talmente attorniato da oggetti così diversi ed evocativi che mi accorgo solo dopo una buona mezz’ora di una parete addobbata da quadri raffiguranti navi e barche ormeggiate, proprio come nella copertina del terzo disco solista di Sting, quello del 1991, “The Soul Cages”, il più cupo. Anche questo lavoro è emotivamente molto sentito perché risente profondamente della scomparsa del padre ed è pervaso ovunque da un senso di malinconia. Tutti i testi sono disseminati di riferimenti alla sua città natale e alla religione cattolica alla base della sua educazione. L’unica canzone che non tratta quegli argomenti e che ha uno stile diverso dal resto è “Mad About You”, ispirata al racconto biblico sulla relazione adultera tra il re Davide e Betsabea. “The Soul Cages” è una sorta di suo diario musicale personale in cui ha proiettato il suo particolare momento privato. Come se, osservando il mare seduto sulle rive del suo paese, avesse iniziato a mettere nero su bianco le sue emozioni. 

Nonostante stia aspettando in questa stanza da più di mezz’ora, nel sogno non mi pesa l’attesa e vengo attirato da un tavolino dove spiccano una serie di fotografie colorate e felici di Sting con la moglie che sprizzano sincero entusiasmo. Quelle istantanee mi fanno subito pensare al disco del 1993, “Ten Summoner’s Tales”, il suo album più sfacciatamente pop, leggero e solare. In quel periodo Sting stava bene e ciò si manifestava nella sua musica. In “If I Ever Lose My Faith In You” cantava delle cose verso cui aveva perso la fiducia, come la politica e la scienza, ma il brano è dominato da un senso di speranza e dalla sensazione che le cose potranno solo migliorare. O ancora c’è “Fields Of Gold”, un lento morbido, concepito in piena campagna inglese, in una tranquilla tenuta simile a questa toscana. E poi c’era “Shape Of My Heart”, un brano languido che parla di un giocatore di carte che scommette non per vincere soldi ma per cercare di capire se ci sia una sorta di logica nella fortuna.

Esco dalla stanza per chiedere alla governante se ha notizie di Sting: ormai è più di un’ora che aspetto! Nel muovermi urto per sbaglio un cumulo di libri, mi volto per raccoglierli e tra questi vedo un vinile. E’ di Cheb Mami, un musicista algerino. Sì, quello di “Desert Rose”, brano di punta da “Brand New Day”, sesto disco solista di Sting, targato 1999, e caratterizzato dall’ampio uso dell’elettronica. “Brand New Day” è un album che che saltella ancora una volta tra ottocento generi. Ed è anche il primo disco creato proprio qui, in Toscana, quando aveva appena acquistato questa proprietà: aveva riunito infatti alcuni amici musicisti per divertirsi e vedere cosa sarebbe successo, poi si portava il frutto delle registrazioni in cuffia una o due ore al giorno durante le sue camminate tra i boschi della Toscana, e lì faceva emergere personaggi e storie. "Desert Rose" ha un sapore decisamente arabo ma è un successo che sfida i generi, una fusione di musica popolare algerina ed elettronica contemporanea. Poi c’è la title-track, “Brand New Day” che nasce come omaggio a Stevie Wonder, che infatti ci suona l’armonica. E sfido chiunque a trovare una manifestazione di gioia più bella dell’armonica di Stevie Wonder.

Sting alla fine non arriva. Avrei avuto tante cose da chiedergli, tante curiosità o dischi di cui parlare, delle sue reinvenzioni stilistiche, di quando ha fatto un album di musica classica, della sua passione per il liuto, della sua vita musicale prima di fondare i Police, della sua carriera da attore, delle sue influenze, volevo parlare anche di vino con lui, ma pure di cavolate: ad esempio, lo sapevate che i Police non erano veramente tutti e tre così biondi? Erano solo delle tinte per capelli, ma questa è un’altra storia. Poco male, dico tra me e me, gli chiederò tutto questo nel prossimo sogno...

A questo link è possibile ascoltare la puntata del podcast

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Quella volta in cui (non) ho intervistato Sting in occasione dei suoi 70 anni

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