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Venerdì, 19 Aprile 2024
Suono ma nessuno apre

Suono ma nessuno apre

A cura di Matteo Fabbri

“Smalltown Boy” e il Pop LGBT+ degli anni '80

Giugno è il mese del “Pride” e questa rubrica musicale inizia mettendo in risalto l'importanza di artisti che, dietro una patina sbarazzina e all'apparenza frivola, portavano un messaggio molto serio

Giugno è il mese del “Pride” e questa rubrica musicale inizia mettendo in risalto l'importanza di artisti che, dietro una patina sbarazzina e all'apparenza frivola, portavano un messaggio molto serio, contribuendo ad abbattere alcune barriere sociali negli anni a seguire. Mi riferisco a una manciata di synth-pop-band che durante gli anni '80, capitanate da leader poi diventati icone gay, hanno trasmesso più o meno velatamente un appello forte e chiaro contro l'omofobia e in favore dei diritti per le minoranze sessuali. Lottando, a volte con la potenza delle parole e dei fatti, altre volte con la semplicità dei colori e delle immagini, contro ogni forma di discriminazione, dando un taglio netto al passato e facilitando il compito alle generazioni successive.

Sono stati tanti gli artisti LGBT all’avanguardia nel settore musicale: alcuni hanno solo fatto qualche allusione alla tematica senza uscire mai allo scoperto, mentre altri si sono imposti come veri e propri paladini dei diritti delle cosiddette minoranze. I riferimenti a questa tematica nella musica pop sono presenti in tante canzoni di successo, e in realtà ben prima degli anni ottanta. Senza arrivare agli anni '20-'30, qualcosa di davvero solido inizia a muoversi già negli anni '70: David Bowie, ad esempio, è stato tra i primi a contribuire alla rottura dei tabù in un periodo in cui si faceva fatica ad accettare la parità tra l’uomo e la donna, figuriamoci l'omosessualità. O ancora tutto l'ambito discomusic, forse la corrente musicale che più di tutte ha lanciato un grido di battaglia contro le discriminazioni sessuali.

Oggi, però, voglio concentrarmi sugli '80 perché credo siano stati, in un certo senso, il culmine. All'inizio degli anni '80, soprattutto in Italia, gli omosessuali sono ancora costretti a fare i conti con pregiudizi pesanti e una grossa chiusura da parte della società che non consentiva loro di esprimersi liberamente. In altri paesi, come Inghilterra o Stati Uniti, ormai gli omosessuali stavano diventando figure socialmente riconosciute, per cui in quel periodo molti personaggi pubblici non fecero mistero del loro orientamento, come ad esempio gli esponenti anglosassoni dell'ondata musicale gay che a metà anni '80 ha invaso e dominato le classifiche del globo. Queste figure incoraggiarono molti giovani a vivere con serenità la consapevolezza della propria sessualità, che poteva andare di pari passo con scoperte musicali quali Culture Club, Soft Cell, Frankie Goes To Hollywood, Pet Shop Boys, ecc...gruppi che sono stati una sorta di faro nel percorso di molti e hanno aiutato a far capire i sentimenti che molti giovani provavano, facendoli sentire meno soli. Sia chiaro: non è che dopo l'avvento di tutti questi gruppi sia diventato tutto rose e fiori per la comunità LGBT. Il cammino da percorrere rimane ancora lungo e la situazione, soprattutto in certe zone del mondo, drammatica.

Ci sono tanti libri sulla storia della musica, ma pochissimi che trattano l’estrema influenza dei musicisti LGBT. Ad occhi un po' più distratti, tutte le band pop di quella corrente sono classificabili in un unico calderone, spesso a tinte negative. La realtà dei fatti è ben diversa, non solo per questioni stilistiche, ma proprio per l'approccio alle tematiche LGBT e per il modo molto diverso che ognuna aveva per esternare il pensiero e sensibilizzare le coscienze: c'è chi lo faceva esplicitamente con testi diretti, chi invece era più criptico, chi ancora usava i videoclip per far passare certi messaggi, chi infine utilizzava la propria immagine e il proprio abbigliamento, e così via...

La canzone a mio parere “manifesto” dell'argomento odierno è “Smalltown Boy” dei Bronski Beat, gruppo militante e dichiaratamente gay. Nella loro proposta tutto era al servizio del messaggio che volevano veicolare: i testi, le canzoni, i videoclip, addirittura la copertina del disco, insomma, un intero LP per rivendicare i diritti gay. L'album è del 1984 e si chiama “The Age Of Consent”, l'età del consenso, ovvero l'età in cui era consentito dalla legge inglese avere rapporti omosessuali. All'epoca questo limite di età era di 21 anni, un limite più alto sia di quello per i rapporti eterosessuali, sia dei limiti di età in altri paesi del mondo, riportati all'interno della copertina del disco proprio per ridicolizzare i 21 anni dell'Inghilterra. La copertina del vinile è caratterizzata anche da un triangolo rosa che era il simbolo usato dai nazisti nei campi di concentramento per identificare i prigionieri omosessuali. Concepito originariamente come un segno di vergogna, il triangolo rosa ha cominciato a essere utilizzato come simbolo positivo di identità personale.

L'arrivo di questa canzone fu una specie di fulmine a ciel sereno. Grazie al suo motivetto accattivante e alla straordinaria voce in falsetto di Jimmi Somerville, scalò le classifiche, nonostante il testo fosse l'esatto opposto del disimpegnato: parla infatti senza mezzi termini di violenza omofobica e di un "ragazzo di paese" omosessuale che abbandona casa e famiglia perché nessuno lo accetta per quello che era. I Bronski Beat dimostrarono quindi che esisteva spazio per tematiche serie persino in generi musicali di puro divertimento, come poteva essere il dance-pop. I ragazzi eterosessuali la ballavano divertiti senza far caso alle parole, ma per i “ragazzi della provincia” il brano dei Bronski Beat rappresentò una svolta di vita. Il videoclip di Smalltown Boy ha ulteriormente rafforzato le parole del testo. Nelle immagini si vede chiaramente la vita di provincia, la famiglia bigotta del protagonista, e gli amici gay del posto, con i quali va in piscina a osservare i ragazzi intenti a fare una nuotata. Uno di questi gli sorride, lui fraintende e lo va a cercare negli spogliatoi, ma lo sguardo dello sconosciuto a quel punto si trasforma, diventa cattivo e, assieme al branco, organizza un pestaggio dell'omosessuale. Un poliziotto riporta il ragazzo a casa dai genitori che invece di difenderlo iniziano ad accusarlo e lo trattano come fosse lui il colpevole.

Insomma, le conseguenze sociali di questo album non devono mai essere sottovalutate, e per fortuna che la musica con cui hanno descritto in maniera dura e cruda l'omofobia era di ottima qualità: se l'album fosse stato poca cosa, avrebbe dato forza a chi diceva che la dance era buona solo per le discoteche e non per promuovere messaggi significativi. Jimmy Somerville e i Bronski Beat sono stati tremendamente aperti, trasparenti e coraggiosi, riuscendo a trainare la cultura LGBT nel mainstream e facendo capire a molti, forse per la prima volta, che l'omofobia era disgustosa e inaccettabile tanto quanto il razzismo. L'impatto e l'eredità di questa canzone sono stati e sono ancora oggi devastanti.

A questo link è possibile ascoltare il podcast della puntata

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“Smalltown Boy” e il Pop LGBT+ degli anni '80

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