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Suono ma nessuno apre

Suono ma nessuno apre

A cura di Matteo Fabbri

'Toy boy', il tormentone estivo di Colapesce e Dimartino che riesce a non tormentare

Per definizione il “tormentone” può arrivare quasi a infastidirti, costringerti a cambiare stazione radio, tormentarti, appunto. Questa canzone invece ti culla, ti coccola, ti ammalia

La locuzione “tormentone estivo” negli anni ha acquisito quasi lo status di genere musicale a sé stante, con determinate coordinate, spesso a tinte negative: deve essere semplice, facilmente fruibile da tutti, ballabile, orecchiabile, deve avere testi poco impegnati e atmosfere estive in grado di trasportare l’ascoltatore verso mete esotiche più o meno immaginarie. Qualcosa, insomma, che abbia il solo scopo di far scatenare le persone sulle piste da ballo o farle canticchiare mentre viaggiano in macchina verso la riviera più vicina, senza troppi pensieri. Se poi c’è anche una coreografia d’accompagnamento, siamo a cavallo. Non ultimo dei requisiti richiesti: deve essere possibilmente in spagnolo e inzuppato di ritmi latineggianti e reggaeton. Il tutto ben amalgamato con quantità inusitate di tamarraggine. L’assioma “estate uguale musica latina” si ripresenta, spavaldo e imperterrito, ogni estate, senza venir mai scalfito in alcun modo.

Ecco, detto ciò: quanto è bello quando qualcuno riesce invece a creare un tormentone estivo che non c’entra nulla con tutto questo, ma assolve perfettamente al suo compito? “Toy Boy”, il brano appena uscito della premiata ditta sicula “Colapesce/Dimartino”, assieme all’apporto fondamentale di Ornella Vanoni, è la dimostrazione di come si possano architettare tormentoni estivi senza risultare per forza tamarri. Per definizione il “tormentone” può arrivare quasi a infastidirti, costringerti a cambiare stazione radio, tormentarti, appunto. Questa canzone invece ti culla, ti coccola, ti ammalia. E’ appiccicosa, sì, come deve essere un tormentone. Ma lo è in maniera amichevole, come una carezza. E’ estiva grazie agli echi sudamericani e ai colori sia della copertina che del videoclip. Quest’ultimo, diretto dal candidato all’Oscar Luca Guadagnino, è un trionfo di palme e fiori rigogliosi, con toni che vanno dall’arancione al rosa come in un fresco cocktail tropicale. Ricorda le immagini altrettanto agostane di “Feels”, la collaborazione di qualche anno fa tra Calvin Harris, Katy Perry e Pharrell Williams (avete ragione: sembra un paragone campato per aria, ma l’impressione è proprio quella).

Questa canzone è un gioco, quasi un divertissement, ma sofisticato e per nulla banale. Una ballata romantica e divertente con un testo ironico in cui Colapesce e Dimartino corteggiano suadentemente la Vanoni, proponendosi a lei come suoi toy boy personali. Lei però, che veste i panni di una ricca signora, rifiuta con la scusa dell'età avanzata. Ma alla fine, quando li vede andare via, capisce che le mancano quel tipo di attenzioni e, con una punta di ego, quasi ci ripensa: “ma provate a ritornare, qualche cosa magari si può fare”, frase pronunciata con quella vocalità misurata che la contraddistingue per tutta la durata del brano. Durata brevissima, meno di tre minuti, e questo è un altro punto a suo favore: concisa e fugace, arriva, si mostra in tutta la sua grazia e altrettanto leggiadramente sfuma via. Tutta la partita viene disputata su un terreno sonoro caro all’Ornella nazionale, che in passato aveva già flirtato più volte con la musica brasiliana.

Come ha evidenziato correttamente il critico Luca De Gennaro, si apprezzi il fatto che in un mare di schifezze finto ispaniche Colapesce e Dimartino, che già avevano firmato il tormentone pop assoluto dell’inverno, propongano come singolo estivo una elegante canzone alla Kings Of Convenience in salsa bossanova. Sì, ha proprio ragione, non dimentichiamoci che sono stati proprio loro i protagonisti del più recente “tormentone invernale”, quel “Musica Leggerissima” che, pur essendo clamorosamente estiva con quei rimandi a Iglesias e alla discomusic anni settanta, è riuscita a insinuarsi nella coltre di gelo dell’ultima stagione fredda. Sanremo in questo caso è servito perché senza di esso, forse, anche una canzone deliziosa come Musica Leggerissima sarebbe passata quasi inosservata, perdendosi nei meandri della musica alternativa. In questo, il binomio siciliano ha saputo sfruttare un’occasione d’oro non lasciando nulla al caso sul palco dell’Ariston, presentandosi con abiti vintage stile “Miami Vice” e giocando molto sulla complicità e sull’essere in coppia: forse uno da solo non avrebbe avuto lo stesso impatto, chissà. Se potete, ripescate il loro disco dell’anno scorso, con tanti pezzi allo stesso ottimo livello sia della hit sanremese sia della recente Toy Boy. In particolare, vorrei citare “Cicale”, “Noia Mortale” e “Luna Araba” con Carmen Consoli.

Perciò diciamo grazie a Ornella Vanoni, a Colapesce e a Dimartino perché queste canzoni oggi più che mai hanno senso di esistere: c’è bisogno di leggerezza, di semplicità, ma non di stupidità, che è tutta un’altra cosa. Una leggerezza colta e intelligente, proprio come quella che usava il maestro di tutti questi cantautori indie, il caro vecchio Enzo Carella. Se fosse ancora tra noi sarebbe fiero del fatto che il suo stile da cazzeggio spensierato, ma al contempo serio, è ancora più che mai attuale e celebrato.

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