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Alluvione, il Consorzio di Bonifica della Romagna presenta i conti: danni per 13,4 milioni

I canali sono stati i protagonisti dell'evento ma anche quelli, tra le opere di bonifica, più danneggiati avendo dovuto sostenere l'intera forza dell'alluvione

Il Consorzio di Bonifica della Romagna ha fatto i conti: 13.400.000 euro di danni prodotti alle opere pubbliche di bonifica gestite dal Consorzio, somma che serve per ripristinare opere e sicurezza idraulica del comprensorio circostante. Si tratta di 132 interventi diffusi su tutto il Consorzio, da Ravenna a Rimini passando per Cesena e Forlì. I canali sono stati i protagonisti dell'evento ma anche quelli, tra le opere di bonifica, più danneggiati avendo dovuto sostenere l'intera forza dell'alluvione.

Per il Consorzio di Bonifica "servono immediatamente, oltre agli interventi effettuati in emergenza (66 in tutto, minuti, puntuali, ed alcuni strutturali, per eliminare pericolo immediato per un importo di circa 300mila euro), anche 40 interventi di somma urgenza (per un totale di circa 4.500.000 euro) per stare un pochino più tranquilli. Per ripristinare e mitigare il rischio idraulico residuo del dopo alluvione, servono 8.600.000 euro per finanziare i restanti 26 interventi. Questo è l'elenco dei danni richiesto dalla Regione, inviato l'11 febbraio per la dichiarazione dello stato di emergenza".

"Ormai tutti sanno che nel "neonato" Consorzio di Bonifica della Romagna l'eccellenza, in termini di criticità del rischio idraulico, spetta a Cesenatico, ma gli eventi del 5-6 febbraio hanno mostrato le altre fragilità del nostro territorio- spiega il direttore generale Vincenzo Bosi - l'epicentro si è infatti allargato verso Gambettola dove gli argini del Torrente Rigossa sono stati letteralmente spazzati via in pochissime ore dalla furia della piena, e verso Cesena dove il rio Marano ha allagato vaste aree di territorio consorziale alle porte della città."

"Ma anche nei restanti territori di Forlì e Ravenna, ove fortunatamente non si vedeva una goccia d'acqua nelle campagne e nelle cantine da anni, il maltempo del 6 febbraio ha ricordato che c'è poco da stare tranquilli - continua Bosi -. Si è risvegliato, come un vulcano da un lungo sonno che durava da 30 - 40 anni, il via Cupa che, dalla via Emilia in quel di Faenza, ha attraverso tutto il territorio russiano affacciandosi minaccioso alla periferia ovest di Ravenna. Era talmente colmo che d'acqua una goccia sarebbe stata sufficiente a farlo tracimare; e pensare che poteva farcela se non avesse incontrato un muro d'acqua al 196esimo metro dalla Piallassa: l'alta marea, che mediamente si attesta a + 1,50 sopra il livello del mare, rafforzata da un forte vento proveniente da Nord/Nord-Est non è calata per oltre 12 ore, tenendo in scacco il sistema Via Cupa".

È frequente assistere ad alti livelli di marea durante le crisi idrauliche al punto che molti addetti ai lavori, conoscendo il ciclo annuale delle maree, si aggrappano alle fasi del "calo" per scongiurare tracimazioni di canali e allagamenti dei territori circostanti, ma questa volta si è verificato qualcosa che non era mai successo a memoria del consorzio: alle 24 circa del 5 febbraio quando, terminato il ciclo di crescita della marea se ne attendeva l'inversione nelle successive 6 ore, permettendo ai canali di scaricare a mare le piene accumulate, il vento ha detto "no". Anzi proprio in quelle ore, il vento ha rafforzato la sua intensità arrivando sulla costa anche ad 80 nodi e ha impedito il calo della marea. In alcuni momenti ne ha addirittura incrementato i livelli.

"Mentre il Via Cupa stava laminando la propria piena sormontando le bassure arginali createsi nel tempo, quasi impercettibili ad occhio nudo, i deflussi del Fosso Ghiaia sono stati "stoppati" a mare, complici anche le dune presenti entro la foce del Bevano, ma questa è storia nota - spiega ancora Vincenzo Bosi - Meno noti sono i programmi della ex 4° fase del post alluvione '96, alluvione ormai, purtroppo, dimenticata: i numerosi interventi per la definitiva messa in sicurezza del comprensorio idraulico, colarono a picco con la stessa programmazione regionale. Un po' come la storia di Cesenatico. Avuti quei pochi soldi nell'emergenza, e ormai sconosciuta la parola "programmazione", i rubinetti dei finanziamenti statali e regionali si sono chiusi".

"La cosa grave- continua Bosi- è che i fondi previsti dall'ex legge speciale per Ravenna del 1980 sono spariti con il passaggio delle competenze di questa legge dallo Stato alla Regione avvenuta agli inizi degli anni 2000. La Regione estese le provvidenze di questa legge alle province di Ferrara e Rovigo lasciando a Ravenna solo i mosaici. A questo punto, osservando i fatti alluvionali che ripetutamente negli ultimi 10 - 20 anni si ripresentano praticamente in copia, è quasi lecito chiedersi se si debbano temere maggiormente gli eventi meteo oppure l'inerzia dello Stato e della Regione. C'è da meditare".

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