Cambierà: "Il collo di bottiglia della sanità? L'accesso alle sale operatorie"
"A Ravenna sono in 25mila in attesa di un intervento chirurgico. E' una situazione ben conosciuta, e da tempo, dagli addetti ai lavori, politici e sanitari"
Il capogruppo in consiglio di Cambierà Michela Guerra è intervenuta nella questione relativa alle lunghe attese per gli interventi chirurgici che in questi giorni sta facendo molto discutere. "Nella cronaca di queste ore si legge che a Ravenna "sono in 25mila in attesa di un intervento chirurgico". E' una situazione ben conosciuta, e da tempo, dagli addetti ai lavori, politici e sanitari. Quando, in passato, lavoravo nel settore, l'argomento era oggetto di dibattito quotidiano. Facendosi scudo della “copertina di Linus” rappresentata dalla riduzione delle liste di attese per le prestazioni ambulatoriali, non si è mai voluto affrontare, e tanto meno pubblicizzare, quello che rappresenta il vero “collo di bottiglia” della sanità: l’acceso alle sale operatorie. Se infatti ci si può illudere di essere efficienti ed efficaci assicurando attese brevi per eseguire una visita ambulatoriale di chirurgia generale, bisognerebbe essere altrettanto onesti nell'evidenziare che quel paziente dovrà poi molto probabilmente essere operato e avrà bisogno di sale operatorie".
"Innanzitutto Cambierà chiede - continua il capogruppo - come già in campagna elettorale, che i tempi tra la visita ambulatoriale e l'intervento chirurgico siano monitorati e resi pubblici. Non basta conoscere le liste d'attesa delle visite per misurare la correttezza e efficienza della presa in carico del paziente, che si chiude con la soluzione del problema. Così da evitare, tra l'altro, anche quelle chiacchiere secondo cui chi paga la visita di tasca propria salta le file e accede in modo prioritario alle sale operatorie. Una delle soluzioni possibili, forse l'unica, è smettere di vedere la sanità accreditata come un concorrente da penalizzare, piuttosto che come un partner da incentivare. Quando si utilizza il termine “incentivare” non ci si riferisce a meri aspetti economico-finanziari, ma soltanto a criteri organizzativi. Il privato accreditato, nelle realtà virtuose, per sua stessa natura, ha la funzione di "integrare" il servizio sanitario nazionale, potendo fornire quelle procedure operatorie che il pubblico non riesce a soddisfare perché deve garantire quelle prestazioni che per gravità, sia tecnica operatoria, assistenziale post-operatoria, devono essere concentrate nell'ospedale pubblico, tumori in primis. La chiave di lettura allora sarebbe la seguente: le priorità A e B hanno accesso nel pubblico mentre le priorità C e D hanno accesso nel privato accreditato, ovviamente dopo accettazione da parte dell’utente e valutazione del medico ospedaliero. La sanità italiana non può e non deve essere gestita come un'azienda che deve realizzare risparmi e utili, anche se questi portano premi in tasca ai suoi operatori, ma deve garantire il meglio possibile per la salute della comunità con una spesa razionale e redditizia nei risultati sanitari. Il concetto guida potrebbe essere: poiché non si riesce a fornire le prestazioni richieste in tempi ragionevoli, si utilizzano parte delle risorse disponibili per ottenere dagli altri operatori del sistema ciò che non si è in grado di assicurare. Discorso lineare, semplice, già sperimentato".
"E' fin troppo scontato che le necessità sanitarie di quei 25mila pazienti in attesa non potranno essere soddisfatte dalla sanità pubblica - conclude Guerra - e che sarà gioco-forza ricorrere all’aiuto fattivo del privato accreditato sulla base di linee-guida condivise e a parità di qualità delle prestazioni. Che ci sia impantanati nella situazione portata a conoscenza delle cronache ha una sola giustificazione: nella area vasta Romagna ci sono le persone sbagliate e nei posti sbagliati".