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Cronaca

Coronavirus, la costante lotta dei medici dell'Usca: "Portiamo un po' di sollievo a chi si sente abbandonato"

Da marzo a oggi l'unità ravennate ha visitato oltre 1.700 pazienti a domicilio e ora è impegnata con i vaccini nelle Cra. Il coordinatore Erion Fejza: "Siamo 21 per tutta la provincia, difficile raggiungere tutti i pazienti"

Dall'inizio della pandemia a oggi, sono tante le figure del settore sanitario che si sono impegnate - e si stanno ancora impegnando - nella lotta al contagio. Fra i tanti che operano costantemente nel tentativo di contenere l'epidemia da Covid-19 e di controllare le condizioni dei molti ammalati ci sono le Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale. Introdotte dal decreto del 9 marzo 2020 per essere poi attivate da tutte le Regioni e province autonome d'Italia, le Usca svolgono un fondamentale lavoro di monitoraggio dei pazienti positivi o sospetti positivi. A spiegare le peculiarità di questo servizio è Erion Fejza, medico e coordinatore delle Usca per la provincia di Ravenna.

Che cosa sono le Usca e in cosa consiste il loro lavoro?
Le Unità speciali di continuità assistenziale sono state attivate nel mese di marzo con lo scopo di visitare a domicilio i pazienti sospetti o affetti da Coronavirus. La nostra visita in pratica serve a fare da cuscinetto tra il territorio e l'ospedale. Dal nostro controllo si determina se un paziente può essere seguito a domicilio o se invece si rende necessaria la sua ospedalizzazione. E' un lavoro necessario perché a volte i pazienti sottostimano o sovrastimano la propria situazione.

Da quante persone è composta l'unità ravennate?
Siamo circa 21 medici nell'Usca più altre dieci medici in Cra (Case residenza per anziani) e case famiglia, con un'età media di 33-34 anni. Siamo operatvi dalle 8-20 e copriamo i turni con 4 medici alla volta. Operiamo in tutta la provincia.

Come e quando si attiva la vostra unità?
Veniamo attivati tramite il medico curante, oppure tramite 118, servizio di continuità assitenziale o servizio d'igiene. Una volta ricevuta la chiamata ci muoviamo. Per prima cosa prendiamo contatto con il paziente e valutiamo telefonicamente la gravità del caso, decidendo se far intervenire immediatamente il 118, nei casi gravi, o procedere con il monitoraggio a domicilio. Il nostro è un servizio di pianificazione, si fa un ragionamento in base al caso e al territorio. Svolgiamo anche un'attività di monitoraggio giornaliero, a domicilio e al telefono. Quando si va al domicilio del paziente si controllano le sue condizioni e verifichiamo se ci sono valori o sintomi sospetti. L'utenza è tanta, e noi siamo quelli che siamo. Non è possibile visitare tutti a domicilio quando si è quattro medici in turno e arrivano chiamate da Cervia, da Riolo Terme e da altre località sparse nella provincia. In base all'ultimo aggiornamento, da fine marzo a oggi abbiamo ricevuto più di 2.700 telefonate e visitato più di 1.700 pazienti, oltre a circa altri mille presenti nelle Cra. E' difficile raggiungere tutti i pazienti.

Nel caso di pazienti con sintomi sospetti effettuate anche il tampone?
Esatto. Un dettaglio importante: noi non veniamo attivati per eseguire il tampone a persone asintomatiche che hanno avuto contatti con un positivo. Ma se un medico di famiglia, per esempio, ci indica che un suo paziente che è stato a contatto con un positivo manifesta alcuni sintomi, all'interno della visita facciamo anche il tampone nasofaringeo.

Come è cambiata la vostra attività durante le varie fasi della pandemia?
Da fine marzo quando l'unità è stata attivata fino a maggio andavamo a controllare pazienti sospetti o positivi e contatti stretti. In estate, poi, abbiamo monitorato molti turisti che erano presenti sul territorio e non avevano di conseguenza un medico curante in zona, abbiamo monitorato persone che manifestavano sintomi sospetti. Da fine ottobre a oggi, con la seconda ondata di Coronavirus, posso dire che quasi tutti i casi che controlliamo sono positivi. Molto monitoraggio ora lo svolgono anche gli stessi medici di famiglia. Una particolare attenzione la poniamo dal settimo-ottavo giorno di positività, perché potrebbe subentrare la fase più critica del virus in cui aumenta l'infiammazione.

Quanti pazienti da voi controllati hanno poi manifestato sintomi gravi?
Non ho questi dati a disposizione, quindi è difficile dare una risposta chiara. Però circa 1 su 4 o su 5 ha manifestato sintomi acuti.

Con l'arrivo dei vaccini la vostra attività è cambiata?
Da qualche giorno uno o due medici dell'unità sono coinvolti nelle vaccinazioni all'interno delle Cra. Si punta a raggiungere con le vaccinazioni più di 200 Cra nel territorio. Il problema principale in questa attività è ottenere il consenso alla vaccinazione da persone anziane che a volte non sono materialmente in grado di dare il proprio consenso.

Che sensazioni provate nel prendervi cura di persone positive al Coronavirus?
Dopo la fase iniziale, la paura è andata via via scemando. Quando interveniamo a domicilio del paziente ci sentiamo al sicuro grazie ai dpi che utilizziamo. Tra i 21 medici che compongono l'unità ci sono state 2 o 3 positività, ma non correlate alla nostra attività, quanto a contatti personali nella propria sfera privata. L'altra cosa che posso dire è che ogni paziente, ogni essere umano che si trova a essere positivo al Coronavirus, quando incontra un medico che lo va a visitare a casa trova un po' di sollievo. Dopo aver sofferto per lo stato di abbandono e la solitudine, fa piacere vedere qualcuno che si prende cura di te. E' difficile per noi vederli tutti quanti, quindi cerchiamo di rassicurarli anche al telefono e cerchiamo di non sottovalutare nessun caso.

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