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Cronaca Cervia

Disastro ambientale nel Savio, 8 rinvii a giudizio: ci sono anche due funzionari ravennati del Servizio tecnico di bacino

L'impianto per la produzione di energia elettrica avrebbe quindi messo in dissesto le sponde del fiume per circa tre chilometri, un ambiente ricco di vegetazione e fauna

Il giudice del tribunale di Ravenna ha deciso il rinvio a giudizio di tutti gli 8 imputati per il disastro ambientale avvenuto lungo tre chilometri del fiume Savio. Tra di loro c'è un forlivese di 61 anni e due ravennate di 63 e 67 anni. Il forlivese, in particolare, è stato il legale rappresentante fino al 2017 della società proprietaria della centrale idroelettrica realizzata sul fiume Savio a Mensa Matellica, nel comune di Cervia, nel punto di confine tra i territori di Ravenna, Cesena e Forlì, mentre i due ravennati erano all'epoca dei fatti il geologo-dirigente e il funzionario all'ex Servizio tecnico di bacino che hanno gestito la pratica amministrativa dell'impianto. Vengono accusati - assieme agli altri imputati che vedranno l'inizio del processo il prossimo 27 maggio - di aver causato plurime e progressive frane  su entrambe le sponde su ben tre chilometri a monte della centrale elettrica.  Il funzionario 63enne è anche accusato di abuso d'ufficio e rivelazione di segreti d'ufficio.

L'impianto per la produzione di energia elettrica avrebbe quindi messo in dissesto le sponde del fiume per circa tre chilometri, un ambiente ricco di vegetazione e fauna in mezzo alla campagna antropizzata tra le tre città. Due degli indagati si erano impegnati a ripristinare i danni all'ambiente e per questo era stato sospeso l'iter processuale, come prevede una precisa norma del codice penale in materia di ambiente: il ravvedimento operoso di chi, prima dell'avvio del processo, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e al ripristino dello stato dei luoghi, operazione che sul fronte giudiziario consente uno sconto fino a due terzi delle pena. Tuttavia i legali di questi due imputati (gli ultimi due legali rappresentanti  della società proprietaria della centrale idroelettrica (una donna di 31 anni di Roma e un uomo di 53 anni della provincia di Rieti) hanno spiegato nel corso dell'udienza di giovedì mattina, davanti al gup Corrado Schiaretti, di non essere stati in grado di poter effettuare i lavori, che potranno però essere svolti anche in futuro. A beneficiarne sarebbe in primis lo stesso fiume e il suo ambiente. La vicenda è al centro di un'inchiesta conclusa dalla Procura (pm Lucrezia Ciriello) ed ora al vaglio del Gip. Sono 8 gli indagati, difesi dagli avvocati Lorenzo Valgimigli, Max Starni, Alessandro Melchionda, Luca Orsini, Marco Riponi, Daniele Vicoli, Niccolò Bartolini Clerici, Andrea Sticchi Damiani e Giulia Bongiorno.

L'infrastruttura venne approvata nel 2012 come compatibile dal punto di vista ambientale, eppure già due anni prima c'era una relazione di un funzionario dello stesso Servizio tecnico di bacino che evidenziava il rischio di erosione e instabilità delle scarpate a monte dello sbarramento. Per la Procura, in particolare, ci  sarebbero state “gravi violazioni della normativa di riferimento” nella concessione  e nelle valutazioni ambientali dell'opera, poi realizzata nel 2016. La sua entrata in esercizio, sempre secondo le accuse, causò quindi un'alterazione dell'ecosistema fluviale, a causa di frane, smottamenti, caduta di alberi ad alto fusto. Il tutto nonostante lo stesso Servizio tecnico di bacino dal 2016 al 2018 corse ai ripari, con una serie di sopralluoghi e diffide, secondo le accuse quasi tutte disattese. Ad oggi la parziale opera di sistemazione risulta collassata nel fiume Savio. Nel procedimento sono presenti anche alcuni cittadini di Mensa Matellica e Cannuzzo come parti civili.

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