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Cronaca Castel Bolognese

60 anni fa il disastro ferroviario di Castel Bolognese, il pompiere che salvò i feriti: "Quelle urla rimaste impresse per tutta la vita"

Ricorre quest'anno il 60esimo anniversario del disastro ferroviario di Castel Bolognese, che avvenne nella notte di giovedì 8 marzo del 1962 all'1.56. Quella notte morirono 13 viaggiatori e altri 127 rimasero feriti, alcuni in modo grave

60 anni dalla tragedia che sconvolse la comunità di Castel Bolognese (e non solo). Ricorre quest'anno il 60esimo anniversario del disastro ferroviario di Castel Bolognese, che avvenne nella notte di giovedì 8 marzo del 1962 all'1.56. Un incidente tremendo che finì sulle cronache italiane ed estere per l'elevato numero di vittime fra morti e feriti: quella notte, infatti, morirono 13 viaggiatori e altri 127 rimasero feriti, alcuni in modo grave.

Il treno diretto 152 proveniente da Lecce e in corsa verso Milano, alla cui guida vi erano il macchinista Ennio Covacci e l'assistente Otello Manzi, deragliò poco prima di transitare nella stazione di Castel Bolognese. Sul treno viaggiavano circa 500 passeggeri, in gran parte provenienti dal sud. Sul luogo del disastro si precipitarono immediatamente i ferrovieri della stazione castellana che, nonostante il buio, si resero conto della tragedia; poi i soccorsi dalle città vicine e infine tanti castellani che aiutarono nell’estrazione dei feriti e dei morti dalle lamiere delle carrozze distrutte.

Le cause del disastro vennero individuate nell'eccessiva velocità con cui il treno impegnò il ramo deviato, sul quale la velocità massima prescritta era di 30 chilometri orari; il locomotore deragliò, si rovesciò sul fianco destro e strisciò per circa cento metri prima di fermarsi. Le prime carrozze (su cui si registrarono le vittime) ne seguirono le sorti mentre le ultime non deragliarono, ma subirono una violenta decelerazione. Le salme di undici delle tredici vittime vennero ricomposte nella Chiesa di San Francesco, dove fu istituita la camera ardente.

Nel processo svoltosi in Tribunale a Ravenna, la responsabilità del disastro venne attribuita unicamente al macchinista Covacci, condannato a 5 anni e 8 mesi di reclusione, mentre al suo aiutante Manzi non venne contestato alcun reato in quanto - sostenne il Tribunale - nella sua veste di aiuto macchinista avrebbe potuto sostituirsi al titolare solamente in caso di sua effettiva impossibilità di assolvere i suoi compiti.

Il pompiere che soccorse i feriti: "Sentì le loro urla per tutta la vita"

Tra i Vigili del fuoco che quella notte lavorarono incessantemente per cercare di recuperare i feriti sotto le macerie e salvare quante più vite possibile c'era anche Ubaldo Capone, all'epoca 23enne, originario della Campania e appena arruolato ai pompieri di Imola. Ubaldo purtroppo si è spento lo scorso gennaio, ma ha tramandato il racconto di quella notte infernale alla sua famiglia e ai suoi nipoti.

"Mio zio fu uno dei primi a intervenire sul luogo del disastro - racconta il nipote Massimo Bragonzoni - Era stato appena arruolato ed era in procinto di sposarsi, non si sarebbe mai aspettato un 'battesimo del fuoco' del genere. Quella notte era di turno e appena successe il deragliamento si precipitò sul posto insieme ai colleghi. La cosa che lo impressionò di più fu quel groviglio di lamiere che si trovò di fronte: spostarle senza una gru era impensabile, per cui si mise a tagliarle con una sorta di flessibile. Mentre lavorava sentiva le urla dei feriti, in particolar modo quelle di una mamma e di un bambino, poi fortunatamente estratti vivi dopo parecchie ore. Quelle urla gli sono rimaste impresse per tutta la vita: mi ripeteva sempre che ogni tanto durante la notte si svegliava e sentiva ancora quelle urla nella testa. Infatti finito il turno, dopo aver lavorato tutta la notte e tutta la mattina successiva, chiese di poter restare a casa per una settimana, tanto era il trauma che quell'episodio gli aveva causato: era un ragazzo appena arruolato buttato in mezzo alle lamiere, al sangue e ai morti".

A distanza di 60 anni, lo zio di Massimo continuava a vedere davanti a sè le immagini di sofferenza di quella notte. "Era un groviglio di lamiere e lui non sapeva da dove iniziare - spiega ancora il nipote - Ha dovuto lavorare al buio per tutta la notte, con l'angoscia di non riuscire a raggiungere in tempo i feriti prima che morissero. E poi i morti... Mi raccontava che portò fuori un uomo di mezza età, ma che era già morto. Lo appoggiò sopra ai binari, non poteva fare nulla. Era rimasto molto colpito anche dalla solidarietà dei cittadini di Castel Bolognese, che quella notte si precipitarono in stazione con coperte, giubbotti e quant'altro per prestare aiuto e conforto".

Ubaldo, nonostante il trauma, ha continuato a fare il pompiere per 36 anni, fino al congedo. "Ha affrontato tante emergenze, ma non ha mai più visto una cosa come quella - dice Massimo commuovendosi - Nel 1980 ha partecipato alle operazioni di aiuto per la strage di Bologna, ma non era di turno, per cui intervenne solo nel pomeriggio e fuori dalla stazione, quindi non fu così traumatico. Era molto orgoglioso di appartenere al corpo dei Vigili del fuoco, aveva sognato di diventare pompiere fin da bambino".

Ubaldo Capone

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