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Cronaca

Il sopravvissuto che visse il nazismo da bambino: "Cotignola ci salvò. Il macellaio mi portava i libri per studiare"

"I giovani devono leggere Primo Levi e ascoltare i testimoni della Shoah rimasti, perchè bisogna sapere che è successa la cosa più orribile al mondo e che l'antisemitismo corre ancora e anche attraverso il web"

"I giovani devono leggere Primo Levi e ascoltare i testimoni della Shoah rimasti, perchè bisogna sapere che è successa la cosa più orribile al mondo e che l'antisemitismo corre ancora e anche attraverso il web". L'appello di Emilio Ottolenghi arriva nel Giorno della Memoria, in corrispondenza della data scelta per commemorare le vittime dell'Olocausto. Ebreo, oggi quasi novantenne, protagonista della grande storia industriale della Petrolifera Italo Rumena, che ha di recente compiuto 100 anni nonostante fosse stata distrutta dalle bombe per poi rinascere grazie alla volontà di suo zio e del padre: "Vi racconto la mia storia personale e le persecuzioni che abbiamo subìto. Mia mamma diceva che bisognava separarsi il meno possibile, non venir meno alla nostra fede ebraica e contribuire alla lotta degli antifascisti". E così fu. 

Emilio, come la sua storia personale si è intrecciata con la storia e con l'incubo dell'Olocausto e delle persecuzioni contro gli ebrei?

Avevo 6 anni e a quei tempi erano in vigore le leggi razziali, e si pensava dunque che il genere umano non fosse uno, ma che come i cani ci fossero delle razze umane diverse: i Nazisti contro noi Ebrei costruirono molte teorie. Ero piccolo e i miei ricordi sono vaghi, ma ricordo bene che dovetti saltare la prima elementare: a giugno andai a visitare la scuola che avrei frequentato (prima dell'estate non c'erano ancora dei decreti legislativi a riguardo), ma a settembre ecco che mi era vietata. Ero a Torino, la mia città di origine. Nello stesso anno anche mia sorella più grande, che era in terza, dovette abbandonare. Fu una cosa molti difficile da sopportare, ma le comunità ebraiche subito corsero ai ripari riuscendo a costituire delle scuole di altissimo livello. E' così che feci tutte le elementari e la prima media. Poi dovetti lasciare il Piemonte.

Emilio Ottolenghi
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Torino era ad altro rischio bombardamenti e la sua famiglia decise di trasferirsi in Romagna, da un suo zio. Come andò? 

Da Torino di spostammo a Porto Corsini, dove avevamo un caro zio che poteva ospitarci nella sua casa. Una villa magnifica con tanti gigli. Mio padre non voleva lasciare l'Italia come tanti altri ebrei stavano facendo, per esempio andando in Ecuador, dove non era richiesto alcun certificato di battesimo, ma anche in Argentina o in Inghilterra: lui diceva che bisognava combattere restando. L'arrivo in Romagna fu piacevole perchè a differenza di Torino, dove sulle porte dei negozi c'era scritto che erano vietati cani ed ebrei e tanti amici non ci salutavano neppure più, qui in tanti ci mostravano affetto e io, bambino, mi sentivo quasi bene.

E poi l'Armistizio. La notizia data via radio dal generale Badoglio rese noto l’armistizio firmato in gran segreto con le forze alleate e scattò su tutto il territorio italiano, in Francia, in Croazia, in Grecia e Jugoslavia il piano tedesco per il disarmo delle truppe italiane...

Anche nel ravennate arrivò l'8 settembre e con l'Armistizo i tedeschi invasero l'Italia: mio padre cercò di organizzare una fuga al Sud, ma riuscimmo ad arrivare solo fino ad Ancona, perchè poi l'equipaggio volle tornare indietro. Trascorsi le mie giornate nascosto nelle valli e passavo il tempo pescando dai "padelloni", i tipici capanni della zona. La mia educazione fu affidata a una mia zia professoressa di Lettere. La zona della Romagna era pericolosa perchè si stava riempiendo di gruppi partigiani e i tedeschi sarebbero arrivati presto a cercarli. Noi tornammo a casa dello zio. Quella villa con i gigli.

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Suo padre si avvicinò al mondo partigiano?

Sì. Mio padre raccoglieva le armi che i soldati abbandonavano e le consegnava ai partigiani. Le teneva nascoste, sotterrate. Un brutto giorno arrivarono le SS e circondarono casa: separarono gli ebrei e i non ebrei. Passammo ore e ore, io e le mie sorelle, con i fucili e i mitra puntati addosso. Costrinsero mamma a setacciare stanza per stanza tutta la casa alla ricerca delle armi. Se le avessero trovate ci avrebbero fucilati. Successe una cosa incredibile: trovarono delle vettovaglie che avevamo messo via per l'inverno e smisero di cercare. Ancora poco e sarebbero arrivati al nascondiglio.

Avete temuto per la vostra incolumità? Cosa avrebbero fatto di voi? 

Ce lo chiedemmo infatti, e nel frattempo erano arrivati dei conoscenti e un generale senatore del Regno amico di mio padre, oltre che sequestratario dell'azienda della mia famiglia. Furono loro a dire che in paese ci volevano bene e che se ci avessero fatto qualcosa ci sarebbero stati certamente dei disordini, che potevano venirci a prendere dopo. Ma noi andammo a Cotignola, paese che ha una storia meravigliosa, e li fummo accolti e protetti. Furono 43 gli ebrei salvati a Cotignola. Il macellaio del paese, Vittorio Zanzi, ci portava la carne e i libri della figlia per farci studiare. Così faceva con tutti, ma nessuno di noi sapeva degli altri. Furono i nostri salvatori e per questo sono stati nominati Giusti in Israele in un luogo nel quale si ricordano si ricordano tutti i deportati e i morti. Poi, siccome eravamo a Cotignola ormai da sei mesi e dopo i bombardamenti arrivava gente da Ravenna, aumentava anche il timore. E allora papà e mamma cercarono di andare a Roma per essere lì alla Liberazione, che sapevamo essere vicina. Il viaggio fu una storia davvero avventurosa, organizzata da un'amica di mia mamma insieme a uno dei capi del mondo partigiano romagnolo, Giovanni di Lorenzo. Fummo bloccati a Firenze e cercammo rifugio da amici toscani. Nella capitale si poteva entrare solo da residenti e ci fecero dei documenti. Ci organizzarono un trasferimento in camion viaggiammo per tre notti.

Che ricordi ha di quel lungo viaggio?

Sentimenti contrastanti. Tanta la paura, soprattutto in prossimità di un posto di blocco dove ci tennero fermi per un'ora. Lo ricordo come fosse oggi. Ci fu anche un lato divertente, derivante da alcuni compagni di viaggio: un commerciante di pellicce milanese che si era portato dietro la sua ingombrante merce perchè convinto che, finito tutto, le avrebbe vendute meglio a Roma. E poi c'era il segretario di un grande attore. Arrivammo a Roma e dopo 15 giorni ci fu la Liberazione.

Cosa ricorda della Liberazione? 

Fu una giornata fantastica, tutte le strade erano affollate, gente e soldati americani e inglesi.

Poi si traferì a Bologna...

Siamo stati a Roma diversi anni e poi tornammo a Torino, dove terminai il liceo. Bologna entra in gioco quando fu chiara la volontà di mio padre di rimettere in piedi l'azienda del fratello, la Petrolifera Italo Rumena, nonostante le 180 buche da bombe che l'avevano devastata in modo spaventoso. Bisognava ricostruirla, bisognava dare lavoro. La base diventò Bologna e lo è ancora. Una città che non ho mai più lasciato e che è stata accogliente fin dal primo giorno.

Oggi è il Giorno della Memoria: cosa vuole dire alle nuove generazioni?

Ai giovani vorrei dire di leggere. Leggete Primo Levi. I miei figli lo facevano ancora, mentre adesso vedo che i ragazzi tengono in mano degli strumenti che contengono delle cose orribili. Che studino e che sappiano che è successa la cosa più orribile al mondo. Penso sempre ai 6 milioni di persone uccise e che è venuta meno tutta la loro discendenza. Il rischio esiste ancora e vediamo proprio in rete la rinascita di fenomeni di neofascismo con una buona dose di antisemitismo. Sul web si trovano falsità e negazione di cose ovvie. Le iniziative nelle scuole sono una cosa ottima e spero vadano avanti. In questi anni sono stati ascoltati tanti testimoni, ma non ce ne sono quasi più.

Di recente è stato pubblicato il libro “Il merito dei padri. Storia della Petrolifera Italo Rumena, 1920-2020”: con la prefazione di Ricardo Franco Levi, è il frutto di una ricerca storica durata sei anni e intreccia tante storie. Gli autori, Tito Menzani, Emilio e Guido Ottolenghi, ricostruiscono le vicende dell’azienda dalla nascita ai giorni nostri, senza tralasciare gli anni bui del fascismo e delle persecuzioni razziali, quando la famiglia Ottolenghi, di religione ebraica, fu costretta a nascondersi tra la fine del 1943 e l’aprile del 1944 a Cotignola, protetta dall’intero paese insieme ad altre famiglie ebree e dal commissario prefettizio. Un caso unico in Italia.

L'articolo di BolognaToday

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