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Cronaca

"Mamma, io voglio essere femmina": a 10 anni Vincenzo diventa Emma e inizia a vivere felice. "Ora finalmente ride"

E' la storia di Emma, bambina di 10 anni residente con la propria famiglia a Ravenna. Emma è una bambina come tante altre, con tanti sogni e aspirazioni. All'anagrafe, però, Emma si chiama Vincenzo, e questa cosa le ha causato una profonda sofferenza per tanti anni

"Mamma, io voglio essere femmina". Non dev'essere facile per un genitore sentirsi dire una frase del genere dal proprio figlio, almeno al primo impatto. Ma deve essere ancora più difficile vivere dieci anni della propria vita sentendosi chiamare "bimbo" quando, dentro di sè, ci si sente "bimba". E' la storia di Emma, bambina di 10 anni residente con la propria famiglia a Ravenna. Emma è una bambina come tante altre, con tanti sogni e aspirazioni. All'anagrafe, però, Emma si chiama Vincenzo, e questa cosa le ha causato una profonda sofferenza per tanti anni.

"Quando le mie figlie erano piccole le mettevo a letto e a due di loro, Giulia e Paolanicole, dicevo 'Buonanotte principesse', poi andavo da Emma (all'epoca Vincenzo, ndr) e dicevo 'Buonanotte principe'. Lei si lamentava e mi diceva 'Io sono la tua principessa' - racconta Valentina, 42enne madre di Emma - Da piccola ha sempre preferito giochi "da femmina" e sognava di fare ginnastica ritmica con le sure sorelle. E' cresciuta guardandole esibirsi con i body ricoperti di strass sognando di poterlo fare anche lei. Noi all'inizio pensavamo che semplicemente volesse "imitare" le sorelle, che magari si sentisse esclusa e volesse fare le stesse cose che facevano loro, tanto che anche la pediatra mi diceva che crescendo le cose sarebbero cambiate. Abbiamo provato a iscriverla a calcio ma niente, si rifiutava di giocare, non le piaceva. Così abbiamo ripiegato sulla danza".

Emma inizia a ballare al centro danza 'La Soffitta', e qui accade qualcosa che darà una svolta alla sua vita per sempre. "A settembre dello scorso anno la sua maestra, Daniela, lo inserisce in una coreografia dove lei fa la parte del maschietto e tutte le compagne le danzano intorno - continua Valentina - La maestra però, che ha una sensibilità enorme, nota che c'è qualcosa che non va, ma Emma non vuole risponderle. Poco dopo finiamo in quarantena e ci ritroviamo con tutta la famiglia a casa per 10 giorni. In quel periodo Emma stava sempre per conto suo chiusa nel suo mondo, era evidente che non stava bene. Per cui un giorno l'ho avvicinata e le ho detto "Io ti voglio aiutare, aiutami a farlo"". La risposta di Emma è spiazzante: "Mamma, io voglio essere femmina".

Valentina resta di sasso: "Ho sempre pensato che mia figlia (quando ancora si chiamava Vincenzo, ndr) da grande mi avrebbe portato a casa un genero e non una nuora, confondevo l'identità di genere con l'orientamento sessuale e pensavo che fosse gay - dice la mamma - Invece a quel punto mi si è aperto un mondo. All'inizio è stata una batosta, abbiamo cercato di tranquillizzarla e l'abbiamo consolata, le dicevamo che per noi non c'era problema ma in realtà ero in crisi anche io come lei. Siamo stati da uno psicologo e per noi è stato come elaborare un lutto, come se "eliminassi" dalla testa un figlio per far posto a una figlia. Emma, invece, voleva buttare via tutto di quando era maschio, foto, vestiti... Voleva cancellare il suo passato da maschio, invece ora ha imparato ad accoglierlo e accettarlo".

I genitori di Emma, dopo il primo impatto, si mobilitano e contattano Cinzia Messina, madre di Greta Berardi - 16enne transgender ravennate celebre per le sue battaglie civili - che nel 2021 ha fondato l'associazione 'Affetti oltre il genere' allo scopo di fornire informazioni sul tema dell’infanzia e dell’adolescenza transgender e di dare ascolto e supporto a genitori e famiglie durante le tappe del percorso di affermazione di genere. "Grazie al sostegno e alle dritte di Cinzia ho capito che mio figlio in realtà era mia figlia - spiega ancora Valentina - Abbiamo fatto un percorso prima a Ravenna e poi all'ospedale Careggi di Firenze, che ha confermato la diagnosi di disforia di genere. Il nome Emma è frutto di una scelta condivisa: mi ha chiesto "Mamma, come mi avresti chiamata se fossi stata una femmina?"; le ho detto Emma e a lei è piaciuto tantissimo".

A quel punto Emma deve "farsi conoscere" dai suoi compagni di scuola. "E' stato molto facile in realtà, siamo stati fortunati - racconta la madre - Abbiamo avuto un colloquio con i genitori e con la preside, sono stati tutti meravigliosi. Con i compagni di classe è stato ancora più facile: Emma si era già confidata con alcune di loro, e loro le dicono "Emma non ci interessa se sei maschio o femmina, basta che giochiamo insieme!". Anche le sue sorelle l'avevano capito già prima di noi, e oggi sono le sue prime sostenitrici. A me dispiace solo che se me ne fossi accorta prima le avremmo risparmiato un sacco di mortificazioni. Ora lei sta benissimo, è felice e finalmente ride, mentre prima non rideva mai. Ancora soffre quando qualcuno la confonde per un bambino però, ma sembra non abbattersi, anzi, sa come difendersi. E anche io mi sento una persona migliore, prima ero un po' "bacchettona" e giudicavo molto, adesso mi sento più aperta verso tutti i tipi di diversità e ho smesso di giudicare. Grazie a Emma abbiamo imparato a guardare oltre a quello che si vede fuori e a guardare dentro alla persona".

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