rotate-mobile
Cronaca Faenza

Jader Giraldi pensa a una nuova Dakar e racconta la sua impresa: "Tra le dune del deserto al buio ho rischiato di non finire"

L'imprenditore faentino trapiantato a Roma ha concluso eroicamente la sua prima Parigi-Dakar lo scorso gennaio arrivando al traguardo col fazzoletto del Rione Verde: "Volevo ringraziare per ciò che ho ricevuto"

Due anni di tempo per mettere a punto il progetto, gareggiare al mondiale, partecipare alla Parigi-Dakar e concluderla alla prima esperienza lo scorso gennaio. Poi il ritorno alla vita quotidiana, qualche irrinunciabile ‘allenamento’ in sella alla propria moto e un pensiero: ripartecipare alla competizione motoristica più estrema al mondo. Fotografia del recente passato, del presente e del futuro del faentino Jader Giraldi un mese dopo l’impresa che la ha visto protagonista alla Parigi-Dakar.

Un viaggio di 9700 chilometri in quindici giorni affrontando le dune nel deserto, le condizioni meteorologiche tutt’altro che favorevoli e le numerose prove cronometrate. Un viaggio appunto, ma anche un sogno cullato dalla tenera età nonchè una ricerca antropologica ed introspettiva, finalizzata allo sviluppo di competenze, su tutte l’adattamento e la capacità di risolvere i problemi perchè, è risaputo, in una tale competizione le criticità possono sorgere in qualsiasi momento e per concludere la gara, o come si dice in ambito imprenditoriale "per chiudere un ciclo", bisogna sapersi prima di tutto adattare, poi comprendere la genesi del problema e infine trovare una soluzione.

Per Giraldi, che di professione è imprenditore, la Dakar 2023 “era il fine che è diventato un inizio”  spiega, ricordando quei momenti e l’intenzione di partecipare nuovamente alla competizione il prossimo anno. “Chiaramente servono sponsor, che attualmente stiamo cercando - prosegue -. I budget possono essere diversi, diciamo che il minimo sono 35mila euro, ma in un attimo si può arrivare a sostenere costi per 70mila euro. Un pilota professionista che si prepara molto può arrivare anche a spendere 150mila euro”.

Lui, che pilota professionista non è - e anzi “non sono stato neanche il miglior motociclista del mio motoclub”, spiega - è riuscito a completare la Dakar anche grazie alla propria organizzazione e ad altre competenze fisiche e mentali che ha sviluppato nel corso del tempo. “E’ una gara di resistenza. Altri motociclisti non riuscirebbero a fare la Dakar, anche perchè c’è un tema organizzativo non banale - rivela -. Ci vuole molta organizzazione, è come aprire una nuova azienda, e servono competenze. Io sono un piccolo imprenditore, oggi viviamo tempi in cui possono cambiare velocemente gli scenari, e non ci possiamo permettere di non avere il nostro cervello collaborativo o di distribuire colpe ad altri. Dobbiamo mettere in campo energie per trovare soluzioni alternative”.

Relativamente alla propria esperienza sportiva spiega: “Mi sono dedicato alla famiglia e all’impresa, poi a 44 anni mi sono rimesso in sella alla moto da enduro e ho partecipato a qualche gara”. La folgorazione e l’obiettivo Dakar la si deve, come sottolinea Giraldi “a un’intervista del 2021 di Tiziano Internò che raccontava la Dakar da privato. Si tratta di una gara selettiva a cui si partecipa su invito dell’organizzazione”. Da qui la partecipazione al challenge mondiale: “Bisogna concludere le gare del mondiale e anche ottenere risultati. Io ho provato una prima volta a ‘qualificarmi’, ma il primo anno non sono stato preso perchè non avevo i tempi sufficienti. L’anno successivo invece sono andato negli Emirati all’Abu Dhabi Challenge, e visti i risultati a quel punto mi hanno preso”.

Le difficoltà della Dakar e la forza di volontà

Arrivare in fondo non è stato affatto semplice: “Appena arrivava una difficoltà pensavo a quanto avevo speso - scherza -. Devo dire che in questa Dakar non mi sono trovato in una situazione di crisi mentale che mi abbia spinto ad abbandonare, però per esempio nella prima gara nel deserto del Marocco sono stato combattuto. Nell’ultimo anno però avevo lavorato con un team e con un mental coach e questo mi ha aiutato molto. Con Angelo Carnemolla e Pino Di Onna abbiamo ricreato schemi mentali che anticipassero gli stati negativi e peggiorativi di condizione e scenari. Grazie a questo rinforzo e alla collaborazione del nutrizionista, che mi ha dato la benzina giusta per arrivare a sera con tutte le energie disponibili, di fronte a questi episodi importanti non ho desistito”.

Di tanti episodi, Giraldi ne ricorda uno in particolare con soddisfazione: “La quarta giornata è stata la più discriminante - racconta -. La mia moto ha avuto qualche problema perchè era entrata acqua nel serbatoio. Quando si affrontano le dune c’è bisogno di piena potenza, ma io non ce l’avevo, quindi ho dovuto aggirare le dune, perdendo però tempo e allungando il percorso. Quel giorno ho rischiato di non finire. Dovevo percorrere gli ultimi 20 chilometri al buio, le ultime dune erano di circa seicento metri ed erano state segnalate come pericolose dal giorno prima. Le nostre moto inoltre non hanno una grande illuminazione. Rischiavo quindi di mettere in difficoltà la moto e il mio corpo. In quell’occasione ho applicato quanto ci eravamo detti con il mio mental coach: sono sceso dalla moto e ho guardato il contesto in modo più ampio cercando soluzioni alternative. Ho visto che sotto la duna c’erano alcuni falò, perchè i sauditi nei fine settimana vanno nel deserto per riconnettersi con le origini o per svagarsi. Così sono sceso tra diversi falò e ho trovato un gruppo di ragazzi che sapevano l’inglese. A loro ho chiesto se ci fosse una pista nei paraggi. Non c’erano ‘waypoint’ (varchi obbligatori ai fini della gara, nda) così gli ho chiesto di accompagnarmi e con un po’ di creatività ho risolto quel problema e sono arrivato a notte fonda alla fine della tappa”.

La moto

Così via nei giorni seguenti fino all’ultima tappa, a bordo della sua KTM 450cc replica, acquistata per svolgere al meglio la competizione. “E’ un po’ un’icona per chi fa rally, molti motociciclisti creano un rapporto con la propria moto; per quanto mi riguarda io ho un rapporto particolarmente pratico-funzionale con gli oggetti, quindi per me era importante che mi portasse al traguardo. Anche se ammetto che ad un certo punto ho avuto una sorta di empatia e sono entrato in simbiosi con il mezzo”.

Il Fazzoletto del Rione Verde 

Al traguardo Giraldi si è presentato con il fazzoletto del Rione Verde di Faenza, un’immagine destinata a diventare il simbolo di quella personale impresa, resa ancora più speciale dal fatto che il pilota-imprenditore vive a Roma da molti anni. “Ho vissuto a Faenza fino a 26 anni, poi una volta conclusa l’università mi sono trasferito a Milano, ho vissuto a Bologna e adesso vivo con la mia famiglia a Roma da diverso tempo. Finché ho vissuto a Faenza ho praticato atletica, ho frequentato il teatro e mi sono imbattuto anche nella vita rionale. Quel fazzoletto era per celebrare il concetto dei rioni, perchè per me la vita rionale ha costituito un momento di crescita personale. Nei rioni spesso si forma la capacità di fare gruppo e anche di affermarsi, è stato così anche per me. Inoltre in adolescenza con tanti rionali abbiamo fatto giri in moto o trasferte all’estero in moto, quindi l’esibizione del fazzoletto è coincisa con la volontà di restituire con senso di gratitudine ciò che ho ricevuto”.

A proposito del lavoro, della famiglia e dell’impresa, Giraldi ha le idee chiare: “La società di oggi spesso schiaccia le persone all’interno dei ruoli: il professionista, il padre, e così via. Si rischia quindi di non lasciare spazio a ruoli più fantasiosi o ludici. Io ho ripreso la moto perchè mi serviva recuperare l’equilibrio tra vita e lavoro, e sebbene all’inizio sia stato un piccolo sacrificio spero in questa ultima esperienza di essere riuscito a far capire che nella vita bisogna lavorare duro, avere a cuore gli affetti e anche trovare il tempo per se stessi”.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Jader Giraldi pensa a una nuova Dakar e racconta la sua impresa: "Tra le dune del deserto al buio ho rischiato di non finire"

RavennaToday è in caricamento