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Cronaca Bagnacavallo

"Grandi inverni in Romagna", il meteorologo Randi parla del suo libro

Pierluigi Randi parla del libro I grandi inverni dal 1880 in Romagna e province di Bologna e Ferrara scritto da lui assieme a Roberto Ghiselli

Dopo Bagnacavallo, in attesa delle presentazioni di Cesena il 29 novembre (alle ore 20,45 nella Sala Conferenze L. Einaudi in Galleria Einaudi angolo corso Sozzi), l'altra a Faenza il 3 dicembre (alle ore 20,30 al Museo Civico Malmerendi in via Medaglie d'Oro 51), Pierluigi Randi parla del libro "I grandi inverni dal 1880 in Romagna e province di Bologna e Ferrara" scritto da lui assieme a Roberto Ghiselli. Il volume, che ha riscosso un'accoglienza entusiastica, è appena stato pubblicato da An.Walberti di Lugo, ma in cantiere ci sono già altri progetti.

Cosa succede Randi, è la ricostruzione puntuale della memoria degli inverni nostrani che desta tanto interesse oppure stanno crescendo anche da noi la consapevolezza e la cultura meteorologiche e abbiamo capito come nei paesi anglosassoni hanno fatto da molto che di tempo si vive e si muore ed è meglio sapere anziché no?... O ancora, potrebbero essere i cambiamenti climatici ad averci sensibilizzati?... A meno che non sia, più semplicemente, soltanto il richiamo magico della neve...
"Probabilmente tutti questi aspetti hanno un'incidenza. Le tradizioni popolari caratteristiche della nostra regione, ma non soltanto, sono molto legate alla civiltà contadina, nettamente dominante fino ad alcuni decenni fa e oggi in deciso regresso per tutta una serie di motivi. In tempi ormai lontani l'andamento meteorologico regolava invariabilmente, assai più di oggi, non soltanto i ritmi della vita quotidiana, ma ad esso erano strettamente legate le alterne fortune dei prodotti della terra; insomma il tempo inclemente poteva fortemente incidere anche sulla qualità della vita. Non a caso i periodi più infelici della nostra storia sono spesso legati ad andamenti meteorologici assai sfavorevoli. Ecco perché i nostri antenati conservavano ottima memoria del tempo meteorologico e si comportavano di conseguenza in caso di condizioni avverse. In tal senso inverni rigidi e nevosi (ma non solo) comportavano sempre conseguenze critiche, provocando disagi assai più rilevanti rispetto ai nostri giorni.

Per tale motivo si sviluppò una cultura meteorologica, sia pure con i limitati mezzi tecnologici disponibili all'epoca, che oggi si è in buona parte perduta, fatta di osservazioni meticolose, capacità di analisi e gestione del territorio che era molto migliore di quella tipica dei giorni nostri. E qui vengo al secondo punto, partendo dai recenti catastrofici eventi che hanno terribilmente colpito la Sardegna e rappresentano un triste specchio dei tempi attuali, ovvero una cultura meteorologica che non è più quella di un tempo poiché abbiamo dato la priorità ad altri interessi (non sempre nobili), e questo vale sia a livello di comuni cittadini che di autorità competenti. La parola prevenzione è quasi scomparsa dal nostro vocabolario; pochissimi saprebbero cosa fare in caso di alluvioni, dissesti idrogeologici, terremoti ed altre calamità naturali, mentre in molti paesi, europei e non, queste discipline vengono insegnate nelle scuole di ogni ordine e grado, perché una buona conoscenza delle norme basilari da osservare in caso di calamità naturali significa risparmiare molte vite umane. Nel contempo anche a livello politico non si pratica una corretta gestione del territorio a scapito dei soliti e noti "vizi": speculazione edilizia, favoritismi in tema di urbanizzazione anche in zone a rischio, corruzione, etc. Ma la natura di tanto in tanto presenta il conto, e in un territorio orograficamente complesso come il nostro sovente è molto salato.

Ecco perché in tal senso dovremmo richiamare alla memoria ciò che i nostri avi ci insegnarono e che troppo frettolosamente abbiamo accantonato. Il clima è cambiato e anche di ciò occorre prendere coscienza: non si tratta più di congetture o ipotesi, sono i dati che cominciano a parlare chiaro e con i numeri non ci sono alibi. Dovremo abituarci a fronteggiare situazioni che per noi sono estreme, ovvero fenomeni più intensi, cattiva distribuzione delle piogge con periodi siccitosi alternati a periodi molto piovosi. Non si tratta di frasi fatte, lo dicono i dati. E non si pensi che la Romagna sia esente da questi rischi, un nuovo ottobre 1996 potrebbe essere dietro l'angolo ma con effetti ancora peggiori, poiché in questi anni non molto si è fatto per mettere in sicurezza il territorio, nonostante in questo senso l'Emilia-Romagna possa essere considerata a livello nazionale una regione virtuosa. Ma queste sono tematiche complesse, e soltanto per queste occorrerebbe scrivere forse non un libro ma un'intera enciclopedia.

Tuttavia, limitandoci a parlare di inverni rigidi e nevicate intense, il libro rappresenta una specie di “lastra radiografica” nella quale sono rimasti impressi gli eventi invernali più importanti dalla fine dell'800, e ciò può rappresentare una buona base storico-climatologica alla quale fare riferimento nel caso in cui fenomeni di questo tipo dovessero ripresentarsi. Certamente il trend climatico attuale va verso una direzione opposta, tuttavia global warming significa anche estremizzazione del clima e il febbraio 2012 lo sta a dimostrare: anche se “fa più caldo” un evento estremo di segno opposto può sempre verificarsi".

Venendo al libro, voi partite dai quattro inverni più noti, il 1929 in primis, sia in senso cronologico che di fama, poi il 1956, il 1985 e il recentissimo 2012...
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In effetti i quattro eventi di cui sopra rispondono perfettamente a una serie di parametri preventivamente individuati nel caratterizzare un severo evento invernale: estensione territoriale dei fenomeni; durata dell'evento, basse temperature rilevate, elevati accumuli di neve al suolo, gravi disagi alla popolazione e sensibili danni alle coltivazioni. Tutti i quattro eventi presentano queste caratteristiche: grandi ed estese nevicate nel 1929 e 2012 (ma anche il gelo non scherzò), temperature incredibilmente basse nel 1956 e 1985 (ma anche molta neve, sia chiaro); insomma potremmo definirli come i quattro “generali” degli ultimi 100 anni, anche se occorre non dimenticare i terribili inverni degli anni '40 e molti inverni degli anni '60, che ovviamente non mancano nella trattazione del libro".

C'è poi ampio spazio per inverni meno noti e nevosi, “minori” ma interessanti dal punto di vista meteoclimatico, forse anche perché più tipici. Gli episodi o eventi cosiddetti “minori”, anche se poi molti di essi in realtà lo sono fino a un certo punto, sono stati ugualmente trattati, a volte con la necessaria dovizia di particolari (ad esempio gli inverni degli anni '40, molti degli inverni degli anni '60 ed '80, gli eventi del gennaio-febbraio 1954, il gelido inverno 1962-1963, il gennaio 1979 e il febbraio 1991), in un capitolo a parte che li raggruppa tutti, riservando ad alcuni di essi una trattazione più estesa, anche se non così approfondita come nel caso dei quattro principali, poiché le circostanze lo richiedevano, o per le temperature raggiunte (1962-1963, 1979, 1991) o per le rilevanti quantità di neve caduta (1954, 1991). Certamente essi non sono paragonabili ai più severi, ma ugualmente lasciarono una notevole impronta nella nostra storia meteorologica, e di ciò si è tenuto conto, cercando logicamente di non sforare il tetto delle 500 pagine che ci eravamo imposti. La consultazione di queste pagine ci dà un'idea di come poteva essere un inverno rigido e nevoso pur senza giungere agli eccessi del 1929-1956-1985-2012, e nel contempo possiamo renderci conto di come invernate di quel tipo siano oggi diventate più rare, nonostante una certa ripresa di inverni old style nell'ultimo quinquennio.

Chi legge il vostro libro, al di là delle ovvie interpretazioni e reazioni individuali, non può non notare l'equilibrio che avete saputo mantenere tra rigore scientifico assoluto da una parte e l'aspetto divulgativo, il racconto – per quanto sempre impostato sulla meteorologia – dall'altra. In tal modo può leggere I grandi inverni chi non sa nulla di meteoclimatologia così come l'esperto, che si può immergere ad esempio in decine di complicate carte sinottiche, alcune addirittura antiche...
"Si tratta di una delle prerogative che sempre ci siamo imposti nel caso di pubblicazioni inerenti questa particolare disciplina, che è assai complessa e non può prescindere dall'utilizzo dei basilari principi di fisica dell'atmosfera e della climatologia di base. Tuttavia deve sempre essere ricercato un buon compromesso tra rigore scientifico e semplice divulgazione, pena la scarsa fruibilità del testo da parte di coloro che non possiedono nel proprio bagaglio culturale le basi della fisica e della matematica. In tal senso si deve fare una scelta: dare alle stampe una pubblicazione diretta unicamente agli esperti del settore o al mondo accademico, oppure optare per un target di lettori più ampio, privilegiando gli aspetti divulgativi e semplificando quanto più possibile i concetti e la terminologia usati. Pertanto chiediamo scusa agli eventuali “virtuosi” che leggeranno il libro, ma è stata una scelta condivisa pienamente anche dall'editore allo scopo di consentire la maggiore diffusione dell'opera. Chiaramente l'operazione di sintesi ed equilibrio tra tutte queste componenti non è stata semplice, ma ciò può costituire un valore aggiunto del libro al di là dei contenuti effettivi".

Tra le tante scoperte che farà chi legge il libro, la più stupefacente è forse nella durezza degli inverni di fine Ottocento, che fanno impallidire quello che noi da sempre consideriamo l'inverno per eccellenza, il 1929.
"I dati dell'epoca, sebbene meno capillari rispetto alle reti osservative oggi esistenti ma ugualmente assai precisi, evidenziano alcune invernate di fine '800 davvero terribili, con suolo innevato che non di rado insisteva ininterrottamente da novembre a marzo inoltrato, e temperature glaciali anche nelle aree di pianura prossime alla fascia costiera. Del resto in quel periodo si usciva dalla Piccola età glaciale e il clima risentiva ancora degli effetti di quanto occorso nei decenni e nei secoli precedenti (la Piccola età glaciale durò circa cinque secoli con il massimo raffreddamento che ne coinvolse tre, e si estinse intorno alla metà dell'800).

Anzi, sebbene con informazioni assai più frammentarie, inverni inimmaginabili per come li viviamo ai giorni nostri si ebbero nel '400, ad esempio il 1431-1432 (Po completamente gelato per due mesi), il 1448-1449 (nevicate di inusitata intensità), il 1481-1482 (terribilmente freddo e nevoso), poi nel '500 e nel '600 per finire con alcuni incredibili inverni del '700 come il 1708-1709, nel corso del gennaio forse si toccarono o superarono i 30°C sottozero nel Faentino, anche se mancano precisi riferimenti strumentali. Ma anche nell'800 non si scherzò: il 1829-1830 fu l'inverno probabilmente più freddo del secolo e molti altri ebbero andamento assai severo.

Noi abbiamo considerato quelli di fine '800 (dal 1880) poiché è da questo periodo che le osservazioni meteorologiche divennero un poco più capillari e soprattutto documentate. Ma l'idea di allargare ulteriormente a ritroso la finestra di analisi non è affatto inattuabile, servono soltanto molto tempo e molta pazienza per andare alla ricerca di dati e informazioni e verificarne l'attendibilità. Appunto, anche se il desiderio potrebbe sembrare, oltre che prematuro, un po' cinico nei confronti di chi ha appena terminato un lavoro così intenso... non possiamo non pensare già a un futuro "Randi Ghiselli" che guardi nel nostro passato meteo più remoto ancora, con le stagioni storiche citate dai metri e metri di neve del 1829-30 all'inverno 1708-09, che pare sia stato il più spietato degli ultimi 500 anni. E più indietro ancora, nei secoli precedenti, basandosi su fonti storico-documentali visto che non si potranno certo avere rilevazioni meteorologiche medievali. O anche sui dati delle vendemmie, come nello splendido lavoro dello storico francese Le Roy Ladurie, il cosiddetto inventore della storia del clima, nel suo celebre volume La storia del clima dall'anno Mille".

Quindi Randi, si può fare?...
"Come dicevo poc'anzi il progetto editoriale non è limitato a questa sola pubblicazione; già è nelle intenzioni degli autori (con tempi ovviamente compatibili con i rispettivi impegni di lavoro), dare vita ad un lavoro più esteso che coinvolgerebbe anche altri esperti del settore e che riguarderebbe l'intera Pianura Padana, per la quale la letteratura nazionale su questo tema è molto scarna o quantomeno datata. In tal senso sono già cominciati la raccolta dei dati e il coinvolgimento di altre realtà regionali, per cui l'espressione work in progress è quantomai adatta al contesto attuale. Inoltre, approfittando di questa nuova sfida non sarebbe affatto male estendere le analisi e le ricerche anche a tempi ben più remoti, in modo da ricostruire in maniera più dettagliata la storia dei nostri inverni fin dalla notte dei tempi".

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