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Cronaca

Da 2 anni lotta contro il tumore, la scuola fa una colletta per Mishel: "Mi sento rinata. Siete meravigliosi"

Il racconto di Mishel: "Mi hanno detto che avevano un pensierino di Pasqua per me. Mi hanno dato una busta: dentro c'era una lettera firmata da insegnanti, bidelle e preside. Poi ho visto l'assegno e sono scoppiata a piangere"

Due anni di battaglie, fatti di crisi, di lacrime, ma anche di gioie grandi e inaspettate. La storia di Mishel e della sua lotta contro il tumore ha commosso un'intera comunità: quella degli alunni, dei professori e di tutto il personale scolastico del Liceo Artistico Nervi-Severini di Ravenna che, insieme, hanno deciso di fare qualcosa di concreto per la ragazza. Così, poco prima di Pasqua, mentre Mishel affronta una nuova terapia per scacciare via il tumore, arriva un messaggio dal suo insegnante di architettura che le dice: "Abbiamo un pensierino di Pasqua per te". Un pensiero che viene dal cuore di tutta la scuola. Un assegno per aiutarla ad affrontare la sua enorme sfida e una scatola piena di auguri e messaggini da tutti gli studenti del liceo. Un regalo che rimarrà per sempre indelebile nel cuore di Mishel.

La scoperta della malattia

La storia di Mishel Duka, studentessa di Architettura al Liceo Artistico di Ravenna, inizia nel 2020, quando la ragazza aveva solo 17 anni. "Era estate e stavo tenendo il mio cuginetto, quando ho preso una botta al braccio e questo ha iniziato a gonfiarsi", racconta Mishel. All'inizio non dà importanza alla cosa, ma andando avanti con i mesi il gonfiore non passa, anzi, aumenta e comincia anche a farle male. Così decide di fare un'ecografia. "Inizialmente mi dissero che era una ciste, una pallina di grasso, e che si sarebbe risolto tutto con un'operazione". Siamo però in piena pandemia e i tempi di attesa sono lunghi. Il gonfiore, nel frattempo, continua ad aumentare. "Verso dicembre mi sono ritrovata a fare una visita con una 'palla da baseball' grossa 20 centimetri nel braccio - spiega Mishel - Poi grazie a Dio ho incontrato un chirurgo che mi ha mandato a fare un controllo all'Irst di Meldola. Io allora non conoscevo quella struttura e quindi non sapevo a cosa stavo andando incontro".

A gennaio 2021 arriva così la notizia: Mishel ha un tumore. "Sono rimasta spiazzata. In 17 anni non ero neanche mai andata al pronto soccorso e improvvisamente avevo un tumore". La ragazza affronta quindi due biopsie e proprio nei giorni del suo diciottesimo compleanno arriva il referto: il tumore è maligno. "La notizia mi ha distrutto, ma ho subito deciso che era una sfida che dovevo vincere". A quel punto Mishel inizia il percorso con la dottoressa di Oncologia che ancora oggi la segue. Il primo passo sono tre cicli di chemioterapia. Mishel li affronta stando per 5 giorni alla settimana ricoverata all'Irst di Meldola, da sola, senza nemmeno i suoi genitori, perché ormai è maggiorenne e deve affrontare i cicli di cura in stanze sterili, perché il pericolo di infettarsi è altissimo. Nel frattempo i suoi genitori cercano di sostenerla in tutti i modi e il padre si vede costretto a lasciare il lavoro. "Ce la siamo cavata - afferma la ragazza - Ci hanno aiutato molto le persone a noi vicine".

Mishel affronta i tre cicli di chemioterapia e a fine maggio ha l'operazione per rimuovere ogni traccia del tumore al braccio, al quale lei ha voluto dare un soprannome: Ugo. "Ce l'ho fatta. Sono stata molto male sia psicologicamente che fisicamente. Ho perso tutti i capelli che per me erano importantissimi. E' stato un trauma, ma ce l'ho fatta - racconta commossa - A giugno mi dissero che era tutto finito ed ero felicissima". A quel punto Mishel deve affrontare delle visite periodiche: "Al controllo di settembre è risultato che il tumore si era spostato nei polmoni. Lì è iniziato il secondo trauma. Avevo vari puntini nei polmoni e stava ricrescendo anche sul braccio. La mia dottoressa mi disse: 'Ugo è tornato'".

Il ritorno della malattia

"Ugo era tornato. Era come se tutto quello che avevo fatto non fosse contato a niente. Sono stata peggio di prima", ammette Mishel. A quel punto chiede alla sua dottoressa di fare una visita all'Istituto nazionale dei tumori a Milano. Le viene data la possibilità di fare la chemioterapia lì. Tenta anche la cura con un farmaco sperimentale: "L'ho fatta, ero disposta a tutto". Mishel affronta quindi quattro nuovi cicli di chemioterapia a Milano. Le spese intanto aumentano e, insieme alla sua famiglia, decidono di fare avanti e indietro tra Ravenna e il capoluogo lombardo. "Stare in un ambiente che non era casa mia mi faceva stare peggio - spiega Mishel - Mi è dispiaciuto farlo, ma ho dovuto chiedere a mio padre di fare su e giù in auto. Partivamo alle 3 di mattina per essere a Milano alle 8 e poi tornare a fine giornata. La terapia mi ha distrutto". Come spiega la ragazza, i medicinali le hanno causato dei problemi ai reni: "Il mio corpo non reggeva e ho dovuto anche interrompere la chemio". Invece di un mese e mezzo, la terapia si protrae per oltre 2 mesi. Siamo arrivati a dicembre 2021 e si fanno nuovi controlli: "La chemio non era servita. A quel punto ero disperata".

La nuova terapia 

"Sono tornata a Meldola e la dottoressa mi ha proposto una nuova terapia". A inizio 2022 Mishel passa quindi a una chemioterapia in pastiglie che, al controllo di marzo, mostra buoni risultati. "Per un po' continuerò così. Sta andando bene", dice Mishel. E non sono solo i risultati dei test a tirarle su il morale: anche la stanchezza è diminuita. "Prima i miei genitori mi dovevano alzare da letto, stavo malissimo, avevo sempre bisogno di loro". E ora, visti i recenti progressi, il babbo di Mishel è di nuovo in cerca di lavoro. "Anche loro sono più tranquilli a lasciarmi da sola a casa - spiega la ragazza - Ho ricominciato a uscire, sono tornata un po' a scuola in Dad. Cosa che prima non riuscivo a fare".

Non solo i genitori. A sostenere Mishel c'è anche il suo ragazzo. "Per lunghi periodi, quando facevo la chemioterapia a Meldola, non ci vedevamo; in seguito, quando ero a casa ma il pericolo di essere infettata dal Covid ma non solo era molto alto, il mio moroso si faceva anche 3 o 4 tamponi prima di vedermi, perché voleva essere sicuro di non trasmettermi nulla". Un sostegno che per lei è stato fondamentale: "E' il mio punto di riferimento, il mio traguardo. In tutti questi mesi mi ha aiutato e, davvero, non so come avrei fatto senza di lui". Con la nuova terapia Mishel ritrova così "la libertà di uscire e respirare un po' - confida - Ovviamente ho sempre dei limiti. Per il mio compleanno quest'anno sono andata a Firenze insieme al mio moroso e ho camminato come se non avessi niente. Ho fatto anche una salita di 300 metri: ci ho messo un'ora, ma alla fine sono stata contenta. Ora non mi sento più Mishel-malata, ora mi sento Mishel-rinata".

I professori, i compagni di scuola e un regalo inaspettato

"In questi due anni i miei professori di indirizzo sono sempre stati disponibili con me. Mi sono sempre venuti incontro, sono stati molto carini nei miei confronti", racconta Mishel che, negli ultimi tempi, è riuscita anche a passare al liceo per un saluto veloce a insegnanti e compagni. La sua storia nel frattempo è divenuta famosa in tutta la scuola. Una vicenda che ha mosso la generosità di tutti, facendo partire una colletta di solidarietà. Nel giovedì prima di Pasqua, Mishel riceve un messaggio dal suo insegnante di architettura: "Mi diceva che voleva portarmi un pensierino per Pasqua". Si incontrano e, insieme a lui, c'è anche un'altra professoressa di indirizzo. Le danno una scatola e un uovo di Pasqua. Mishel dà l'uovo a suo padre che l'ha accompagnata. "Stavo per aprire la scatola, quando mi hanno detto che prima dovevo aprire una busta. Dentro c'era una lettera firmata da professori, bidelle, segretari e preside. Poi, in fondo, c'era l'assegno. A quel punto sono scoppiata a piangere".

Non solo. Mishel apre anche la scatola, un'idea partita da una professoressa di mosaico. Al suo interno trova tanti bigliettini con messaggi di auguri e numeri di telefono di compagne e compagni di scuola, tante persone che lei non conosce neppure e che la invitano a scrivere, a farsi sentire, perché vogliono parlare con lei, farle sentire il loro affetto. "Sono ancora stupita - ammette Mishel - E' stato un gesto bellissimo. Tutto quello che hanno fatto per me è stato bellissimo. I prof mi hanno detto che ci hanno messo dei mesi per organizzare tutto. Ho capito che, anche se non ero a scuola, loro pensavano comunque a me. Sono stati meravigliosi". La sfida di Mishel non è ancora finita. Sul suo braccio c'è una lunga cicatrice che testimonio il suo difficile percorso, ma ora lei si sente forte ed è pronta ad affrontare ogni battaglia. "Ho capito che tutti i sacrifici che ho fatto sono stati notati, qualcuno mi ha ascoltato e seguito. E quando vieni ascoltato allora vuol dire che ce l'hai fatta. Che puoi vincere".

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