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Cronaca

Donne violentate, bambini picchiati, rapiti e venduti. I migranti raccontano le loro storie: "In mare hai un piede nella tomba e l'altro in Paradiso"

Se si guardano alle spalle, vedono un passato fatto di violenze indicibili. Se guardano in avanti, vedono un futuro pieno di incertezze, ma anche di speranze. La Ong che ha salvato i 113 migranti sbarcati a Ravenna ha condiviso alcune delle loro storie

Se si guardano alle spalle, vedono un passato fatto di violenze indicibili. Se guardano in avanti, vedono un futuro pieno di incertezze, ma anche di speranze. Le storie dei 113 migranti che sabato 31 dicembre sono arrivati a Ravenna dopo essere stati salvati dalla nave Ocean Viking sono storie difficilissime, ma proprio per questo vale la pena raccontarle, per far sapere al mondo perchè quelle 113 persone abbiano deciso di trascorrere il Natale tuffandosi nel mare gelido aggrappati a un gommone per tentare il viaggio della speranza.

La Ong che li ha soccorsi in piena notte, Sos Mediterranee, ha condiviso alcune delle loro storie - abbiamo già pubblicato quella del piccolo Abdou, il passeggero più piccolo sul barcone, con solo 17 giorni di vita. Tra queste c'è quella di Nia (nome di fantasia per proteggerne la privacy), 18enne fuggita dal Camerun che la notte in cui è stata salvata sul gommone teneva la mano di un altro sopravvissuto. "In Libia picchiano le donne mattina e sera - ha raccontato Nia ai volontari della ong francese - Ho visto donne morire davanti ai miei occhi. Ti stuprano, ti trattano come un animale. Picchiano persino bambini e neonati. Ti ammali la testa restando in Libia. Guarda quest'uomo - ha detto Nia indicando il sopravvissuto al quale continuava a tenere la mano - non è più con noi. Anche se non parliamo la stessa lingua, sulla barca l'ho tenuto fermo perché poteva cadere da un momento all'altro. Non parla più, non mangia più da solo. Ho condiviso con lui la poca acqua che avevo. La Libia fa questo alle persone. Alcuni diventano fantasmi".

I migranti della Ocean Viking sbarcano a Ravenna (foto Massimo Argnani)

Molto toccante anche la storia di Neba (anche questo nome di fantasia), 16enne scappato dal Camerun come Nia. "Il mio viaggio è una storia come nessun'altra - racconta Neba ai volontari - Ho lasciato il mio paese tre anni fa. Tre anni trascorsi in Libia, l'inferno in terra. Sono il figlio maggiore della mia famiglia. I miei genitori vivono in povertà, lavorano giorno e notte e le mie due sorelle hanno a malapena da mangiare. Ho dovuto fare del mio meglio per aiutarli, è mio dovere. Quando sei in Africa e hai fratelli in Europa, ti mentono: "L'avventura è facile, è così, è così...". Ma in realtà, quando arrivi, diventa complicato. Ho conosciuto fratelli che sono rimasti in acqua. Alcuni miei amici sono rimasti in acqua. Se ti metti in viaggio, sappi che hai un piede nella tomba e l'altro in Paradiso".

Neba è partito nel mezzo della notte. "Viaggiare non è facile, per niente facile, soprattutto quando sei un ragazzino. Sono stato rapito appena arrivato in Libia e ho visto cose terribili. Ho provato a fuggire da questa violenza tre volte via mare, ma sono stato catturato due volte dalla Guardia Costiera libica. Mi hanno venduto una volta a terra e sono stato rispedito in prigione (le persone soccorse spesso si riferiscono a "prigioni" o "carceri" quando parlano della loro prigionia arbitraria in centri di detenzione informali, ndr). Ho visto persone morire. Una mattina sono riuscito a scappare. Le prime due volte che ho provato ad attraversare il mare, ero su barche di legno. La terza volta ho potuto pagare solo un gommone, è più economico. Ma ho capito che non importa che tipo di imbarcazione ci viene data: possiamo morire in qualsiasi momento, qualunque cosa accada. Quelle di legno, quando si ribaltano, bloccano tutti sotto la barca e tu anneghi all'istante. Non c'è una grande differenza con i gommoni che sono altrettanto pericolosi".

"Nel 2019, a forza di guidare, il gommone si è forato e abbiamo perso dieci persone - ricorda Neba - La pompa si è quasi capovolta, mancava carburante, non abbiamo proseguito. Poi il secondo tentativo, nel 2020. Stavamo prendendo il largo, quando abbiamo visto una grande barca blu sfrecciare proprio verso di noi. Sembrava un leone affamato. Siamo stati presi dal panico. Fortunatamente, in questo incidente non ci sono stati morti. Siamo riusciti a salire sulla barca e ci hanno riportato in prigione".

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