Omicidio Ballestri, la difesa getta ombre sulle impronte: "Sono di Cagnoni? Impossibile dirlo"
Scacco alla (prova) regina. Quella che fino a oggi è sempre stata considerata la prova inconfutabile della presenza di Matteo Cagnoni sul luogo dell'omicidio della moglie Giulia Ballestri, venerdì sembrano vacillare
Scacco alla (prova) regina. Quella che fino a oggi è sempre stata considerata la prova inconfutabile della presenza di Matteo Cagnoni sul luogo dell'omicidio della moglie Giulia Ballestri, ovvero le impronte trovate sul muro e sul frigorifero (che secondo gli agenti di Polizia scientifica e il perito nominato dal giudice erano ascrivibili al dermatologo ravennate), venerdì sembrano vacillare. E a farle 'tremare' è proprio un ex poliziotto della Scientifica, Tommaso Mondelli, che per anni si è occupato di dattiloscopia e che è stato chiamato in Tribunale dalla difesa di Cagnoni in veste di perito di parte.
Le impronte insanguinate, il perito della difesa: "Potrebbero essere di chiunque"
Mondelli, nella sua lunga deposizione (oltre tre ore), esamina per filo e per segno quelle impronte insanguinate sulle quali nessuno pensava potessero essere sollevati dubbi. L'ex poliziotto parla di "impossibilità di confronto", di "minuzie insufficienti" e di "non sovrapponibilità delle impronte": per Mondelli, infatti, "è errato sovrapporre la parte superiore dell'impronta e quella inferiore, se tra le due vi è una parte insanguinata e non analizzabile come in questo caso". Salvatore Musio, consulente giudiziario nella criminalistica forense incaricato dalla famiglia Ballestri, aveva spiegato in una delle scorse udienze di aver trovato ben 20 corrispondenze tra quell'impronta e la mano di Matteo Cagnoni, affermando "con certezza di tipo giuridico che appartiene all'imputato". Come aveva già spiegato durante una delle scorse udienze Enrico Filippini, della Polizia scientifica di Bologna, per attribuire tale certezza in Italia sono necessarie 16 corrispondenze tra le due impronte: "Ma in questo caso - spiega Mondelli - sono state sommate le 12 trovate nella parte superiore dell'impronta con le 8 trovate nella parte inferiore: prese in singolo, quindi, non arrivano a 16". Quell'impronta, in sintesi, per il perito "non è un unicum e potrebbe essere la sovrapposizione anche di più mani diverse". Così come sulla palmare frigo: "Anche in questo caso è impossibile dire se l'impronta appartenga a Cagnoni", secondo Mondelli.
Tante scarpe, poche certezze
Il perito passa poi all'analisi delle impronte di scarpe trovate sul luogo del delitto: le Hogan (stesse scarpe che indossava Cagnoni quel venerdì mattina durante la colazione al bar), le Timberland (stesso modello trovato su un termosifone nella villa di Firenze dei genitori dell'imputato) e le Ishikawa (quelle che avrebbe indossato la vittima). Anche sulla corrispondenza tra queste impronte e le scarpe di Cagnoni junior e senior, così come di Giulia Ballestri, il perito della difesa ha molti dubbi: "Quella che sembrerebbe parte della H tipica del suolo delle Hogan sul suolo dell'impronta potrebbe essere in realtà parte di un logo di un'altra marca - commenta Mondelli - non so quante scarpe ci siano in commercio, anche 'taroccate' e 'simil Hogan', che abbiano il fondo ondulato e un logo con quel semicerchio. In più il confronto con le Hogan dell'imputato non è mai stato fatto". Certo, perchè le Hogan indossate quel venerdì mattina da Cagnoni non sono state mai ritrovate. Stessi dubbi anche sulle Ishikawa di Giulia: "Anche qui la suola potrebbe corrispondere ad altre tipologie di scarpe, quindi anche in questo caso non è definibile una corrispondenza". In sostanza, per il perito "non è definibile alcun tipo di giudizio certo sulle impronte di scarpe".
Una nuova ipotesi: "L'omicida tentò di strangolare Giulia"
Nel pomeriggio la parola passa ad Adriano Tagliabracci, docente di medicina legale che ha lavorato anche sugli omicidi di Meredith Kercher e su quello di Melania Rea, e Chiara Turchi, biologa molecolare e genetista forense, entrambi chiamati dalla difesa a parlare della morte di Giulia Ballestri. I due colleghi confermano che il decesso della vittima è avvenuto per dissanguamento a causa dei traumi riportati e per la relativa insufficienza respiratoria, dopo un periodo di agonia di circa 20 minuti. E qui emerge la prima novità: Tagliabracci, infatti, parla di quattro impronte di dita ritrovate sul collo di Giulia (mai emerse fin'ora) che "potrebbero essere il segno di un tentativo di strangolamento, forse effettuato da qualcuno con i guanti viste le dimensioni piuttosto larghe delle impronte". La circostanza di una tentata difesa attuata da Giulia, per i due colleghi, è evidente: sotto le unghie, come già detto durante una scorsa udienza, sarebbe infatti stato trovato del materiale estraneo che non appartiene all'imputato e che, secondo Tagliabracci e Turci, potrebbe appartenere all'aggressore da cui Giulia avrebbe tentato di difendersi. Materiale che sarebbe finito sotto le unghie a causa di un contatto rilevante, "non una carezza come è stato ipotizzato, insomma", spiegano i due colleghi. Si parla anche del bastone ritrovato nella villa di via Padre Genocchi, l'arma del delitto principale: "Il dna sul bastone potrebbe essere non solo di Matteo Cagnoni, ma anche di un altro Cagnoni (come il figlio, il fratello o il padre) - spiega Tagliabracci - Quel dna, inoltre, poteva essere stato lasciato sul bastone in precedenza, ad esempio durante il trasporto dei tronchi tagliati da Marina Romea".
Turchi interviene poi sull'ispezione effettuata nella Mercedes di Matteo Cagnoni, quella utilizzata dai coniugi quel venerdì mattina: "Il tappetino lato passeggero ha dato risultato positivo alla presenza di sangue umano, ma il dna era troppo scarso per ottenere un profilo genetico utile - spiega la donna - Da ciò, però, deduciamo che chi ha guidato l'auto non aveva le suole imbrattate di sangue, visto che il tappetino del lato guidatore non ha dato riscontri". Ma, secondo l'accusa, Cagnoni si sarebbe cambiato le scarpe prima di risalire in auto e ripartire da solo. Sulle Timberland, invece, sarebbero state ritrovate "due piccole tracce di sangue tra cui una componente del dna di Giulia - ammette Turchi - Ma all'interno delle scarpe è stato trovato il profilo genetico di un Cagnoni che non appartiene a Matteo, ma a un parente in linea diretta, come il padre o il figlio (chiaramente troppo piccolo per calzare quel numero da adulto, ndr)".
L'udienza si chiude con una breve audizione di Elia Debborrello, tossicologa chiamata dalla difesa, che spiega come nell'esame del contenuto gastrico effettuato sul cadavere di Giulia "c'era troppa caffeina rispetto alla tazzina di caffè bevuta al bar per colazione: e anche se ne avesse bevuto prima a casa, il valore non è riscontrabile poichè sarebbe stato assorbito prima. E' un'assunzione più recente". Cosa può significare questo secondo la tossicologa chiamata dai legali di Cagnoni? "Dobbiamo riconsiderare l'ipotesi che, come l'imputato ha sempre sostenuto, Matteo e Giulia siano effettivamente usciti insieme dalla villa quel venerdì mattina, e poi lei possa essere rientrata dopo aver assunto altro caffè o una bevanda energetica". Il processo riprenderà venerdì 4 maggio con l'audizione degli ultimi testimoni.