Processo Cagnoni, la difesa cerca di smontare le prove: "Matteo quell'omicidio non l'ha commesso"
Matteo Cagnoni è tornato in aula, dopo l'assenza delle due scorse udienze - le uniche nel giro di otto mesi in cui il dermatologo ravennate, accusato di avere ucciso la moglie Giulia Ballestri
Matteo Cagnoni è tornato in aula. Dopo l'assenza delle due scorse udienze - le uniche nel giro di otto mesi in cui il dermatologo ravennate, accusato di avere ucciso la moglie Giulia Ballestri, non si è presentato - lunedì mattina ha fatto la sua comparsa nell'aula del Tribunale di Ravenna. Elegante come sempre, prima dell'inizio dell'udienza avvista tra il pubblico qualche conoscente, che saluta da lontano sorridendo. Oggi è il suo giorno, il giorno in cui dovrà dimostrare - tramite l'arringa difensiva del suo avvocato Giovanni Trombini - di non essere lui l'assassino della moglie, brutalmente assassinata nella loro villa di via Padre Genocchi il 16 settembre 2016.
"Per me non è facile oggi, per tante ragioni - attacca Trombini, amico da sempre dell'imputato che difende - Come disse De Gasperi, prendendo la parola, sento che tutto tranne la vostra stima personale è contro di me". L'avvocato sa benissimo, infatti, che non sarà semplice smontare la stringente requisitoria del pubblico ministero, dalla quale è emerso un Matteo Cagnoni "violento, possessivo, manipolatore: una figura di un uomo di altri tempi, che avrebbe ucciso la moglie per non lasciarla libera", insiste Trombini, che si pone esplicitamente come obiettivo quello di spostare l'attenzione dall'emotività e riportarla su dati oggettivi. Perchè se Cagnoni verrà considerato colpevole, "dovrà esserlo al di là di ogni ragionevole dubbio; perchè con le prove non si bara, con le prove ci si confronta". Il legale torna poi a puntare il dito contro i media locali, che a suo dire avrebbero inscenato una campagna di stampa "che ha rappresentato Cagnoni come unico responsabile fin dall'inizio" e che, in questo modo, avrebbero potuto influenzare - oltre che la pubblica opinione - anche i testimoni che hanno dato la loro versione dei fatti negli scorsi mesi.
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Secondo Trombini, durante questo processo sarebbe stato poco esplorato il rapporto tra Giulia e Matteo - anche se gli amici e i parenti che hanno cercato di ricostruire questo rapporto, in otto mesi, sono stati tanti. "Due persone - un uomo affermato e di buona famiglia verso i 40 anni e una donna che ha lasciato gli studi e lavora nell'azienda di famiglia verso i 30, che si incontrano e si innamorano dopo un corteggiamento da parte di Matteo" secondo quello che Trombini definisce "lo 'stile Cagnoni', ossia con garbo, eleganza, gentilezza e riserbo. Si sposano, nascono tre figli di cui si occupa Giulia mentre Matteo lavora. E così per 11 anni: 11 anni di matrimonio senza lamentele, perchè non vi è la prova di lamentele rispetto al modo di essere di Matteo - puntualizza Trombini - Non c'è nessun elemento che faccia pensare che Matteo sia stato violento, prevaricatore, aggressivo, possessivo al limite dell'intollerabilità in questi 11 anni", e questo al di là di quanto raccontato al contrario dai migliori amici di Giulia e dal nuovo compagno Stefano Bezzi - che, sottolinea Trombini, "potete chiamarlo come volete ma non era il compagno di Giulia, una volta si diceva "amante". La personalità di Cagnoni non è quella di un uomo che tratta le donne come un oggetto, tanto che il movente è cambiato durante il processo: prima era l'uomo che uccide la donna perchè per lui è un oggetto – e si è quindi parlato di femminicidio, una parola che non esiste nel codice penale – poi, in un secondo momento, la uccide invece per non lasciarla libera".
Le prove insomma, secondo la difesa, dicono che per tanti anni il matrimonio tra Giulia e Matteo funziona: poi arriva la crisi del 2015, "forse perchè Cagnoni picchia la moglie o le impedisce di andare in giro? No - argomenta Trombini - ma perchè Giulia non si ritrova più nel ruolo di madre, di moglie, in una vita fatta di cene, di viaggi all'estero e di incontri con gli artisti: si sente costretta e cerca una libertà, forse provando nostalgia per la giovinezza". E il marito a quel punto cosa fa? "Matteo è un medico, e quindi la vede oltre che con un occhio da marito anche con un occhio da medico - spiega l'avvocato - Lui, che non è mai cambiato e diversamente da lei in quella situazione ci sta ancora molto bene, quando vede che la moglie è in difficoltà pensa a una depressione, quindi le consiglia di farsi aiutare dallo psicologo amico di famiglia, che conferma il bisogno di antidepressivi". Uno psicologo al quale Giulia non avrebbe mai raccontato di avere una relazione extra-coniugale (gli amici di Giulia dissero che non lo fece perchè sapeva che lo psicologo avrebbe poi raccontato tutto all'amico Cagnoni): "E' una cosa strana questa, quasi come se nascondendo la sua relazione clandestina a lui volesse nasconderlo anche a se stessa - azzarda Trombini - Lo psicologo consiglia poi a marito e moglie di intraprendere una terapia di coppia: ed è con la testimonianza di questo terapista, secondo l'avvocato, che il pubblico ministero prende "un grande abbaglio sulla ricostruzione della pretesa personalità di Cagnoni". Il terapista disse infatti che Cagnoni era "un uomo all'antica e dalla personalità narcisistica" e che quella con Giulia era "una famiglia sbilanciata". Per il pm, spiega Trombini, è la "prova del nove: uomo all'antica uguale uomo padrone, ma non è così". L'avvocato chiede alla Corte di non valutare Cagnoni per i momenti d'ira o gli scatti che ha avuto in aula, "perchè si trova in una posizione di cattività che non auguro a nessuno, e quando si è in carcere il processo cognitivo della memoria è difficile, ci si ricorda cose, se ne dimenticano altre. Valutatelo, invece, in base alle prove emerse".
Quando Cagnoni capisce che non c'è più nulla da fare e che la sua relazione è ormai agli sgoccioli, per il suo avvocato "non è angosciato per la perdita d'immagine, ma per la perdita della sua famiglia che lui cercava di salvare. Quindi fa due cose: una stupida - disfarsi delle proprie case vendendole al fratello - e una seria, ovvero rivolgersi a un avvocato a cui racconta tutto e che capisce ciò che Giulia ha sempre taciuto a tutti, ossia che aveva una relazione extra-coniugale. Così l'avvocato gli consiglia un investigatore, che Cagnoni assume scoprendo, ad agosto 2016, di Stefano: il momento più difficile per lui. E a quel punto è lui che vuole il divorzio". E per quel divorzio, la coppia avrebbe trovato un compromesso "particolare - spiega Trombini - un accordo unico quanto affascinante, che avrebbe visto i tre figli restare nella casa di via Giordano Bruno e i due genitori alternarsi nell'abitarci". Lo stesso accordo che, però, avrebbe impedito a Giulia di frequentare Stefano fino a separazione avvenuta ("un consiglio per evitare di gettare altra benzina sul fuoco, più che una clausola", spiega Trombini) e, soprattutto, avrebbe impedito a Stefano di mettere piede nella casa dove vivevano i tre figli. Un divorzio di cui parlerebbe Giulia a Stefano, in un sms, quando il 14 settembre (due giorni prima dell'omicidio) gli scrive "Matteo ha detto che mi lascia libera tra un po'" (per l'accusa, invece, Cagnoni con quella frase si sarebbe riferito all'omicidio premeditato).
Poi il legale dell'imputato si concentra sui giorni intorno all'omicidio cercando di smantellare l'accusa di premeditazione - cosa che, se riuscisse, potrebbe evitare l'ergastolo a Cagnoni. Il quadro che l'imputato fotografa l'8 settembre nella villa di via Padre Genocchi, per Trombini, è il Narciso, mentre quello che fotografa il 16 con Giulia - che per il pubblico ministero è stata attirata "nella trappola" con quella scusa - è un quadro diverso. Anche il disdire gli appuntamenti nello studio medico di Bologna del venerdì 16 (per l'accusa prova di premeditazione) sarebbe dovuto ad altro, ovvero all'incontro programmato con l'amica ed ex fidanzata che al telefono "aveva percepito un suo malessere e voleva vederlo". Per quanto riguarda il Chrysler Voyager che mercoledì 15 si vede fermo per 7 minuti in via Padre Genocchi - che per il pm sarebbe Cagnoni che prepara la scena del crimine portando il bastone, l'acqua distillata e tutto il materiale necessario - per Trombini "è impossibile capire se sia nero o sia blu dalle immagini delle telecamere, così come è impossibile definire se da quell'auto scenda qualcuno o meno". Poi l'avvocato ricostruisce la mattinata dell'omicidio, tirando di nuovo in ballo le chiamate alle quali, per l'accusa, Giulia non avrebbe mai risposto (in quanto stava venendo massacrata dal suo omicida), mentre per la difesa ricevono risposta, così come spiegato da Cagnoni durante la sua deposizione. E la merce che Cagnoni scarica nella villa dei genitori di Firenze - per il pm sacchi e borse che conterrebbero i vestiti di Giulia, i cuscini delle poltrone insanguinati, gli stracci usati per ripulire il sangue nella villa etc - per la difesa non sarebbe mai stata caricata nell'auto dopo l'omicidio, "come mostrano le telecamere di via Padre Genocchi: quindi tutto ciò che scarica – soprattutto i cuscini sporchi di sangue, che non avrebbe avuto senso portare via con sè - non proverrebbe dalla villa, o almeno non sarebbe stato caricato dopo l'omicidio. Perchè Matteo quell'omicidio non l'ha commesso”.