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Cronaca

Omicidio Molducci, partito il processo per la morte del medico: alla sbarra il figlio e la badante

I due accusati, difesi dagli avvocati Claudia Battaglia e Antonio Giacomini, si sono sempre proclamati innocenti. Per l'accusa, invece, sarebbe chiaro l'omicidio messo in atto da figlio e badante della vittima

È partito il processo per la morte di Danilo Molducci, medico di Campiano deceduto a 67 anni il 28 maggio del 2021. Alla sbarra in Corte d'Assise del Tribunale di Ravenna, con l'accusa di omicidio pluriaggravato, sono finiti il figlio del defunto, il 40enne Stefano Molducci di Terra del Sole, e la badante 52enne romena Elena Vasi Susma. Nell'udienza di mercoledì la Corte, presieduta da Michele Leoni, ha fissato le prossime udienze e ridotto le liste di testimoni che verranno ascoltati in aula nelle prossime settimane. La sentenza è attesa per metà estate.

I due accusati, difesi dagli avvocati Claudia Battaglia e Antonio Giacomini, si sono sempre proclamati innocenti. Per l'accusa, invece, sarebbe chiaro l'omicidio messo in atto da figlio e badante della vittima. Stando alle indagini coordinate dalla Pm Angela Scorza e completate dagli accertamenti patrimoniali svolti da parte della Guardia di Finanza, il figlio Stefano avrebbe premeditato l'intossicazione del padre - già affetto da pregresse patologie - con un sovradosaggio dei farmaci che il 67enne doveva assumere.

Tutto con l'aiuto della colf, che avrebbe prima acquistato le medicine anche attraverso ricette contraffatte (ieri, come riportano i quotidiani locali, è emerso che, al momento della morte di Molducci, la donna era già indagata proprio per questo motivo), poi le avrebbe somministrate alla vittima. Secondo la consulenza tossicologia, nel sangue del defunto c'erano due tipi di benzodiazepine con concentrazioni tra tre e sette volte superiori a quelle medie post-mortali. E nel contenuto gastrico c'era un farmaco usato per le patologie cardiache a concentrazioni diverse volte (fino a 16) superiori al range terapeutico.

Il possibile movente delineato dall'accusa è di tipo economico. Secondo l'ipotesi investigativa, il figlio avrebbe cioè voluto impedire che il padre ritirasse le deleghe bancarie dopo avere scoperto cospicui prelievi. Dagli accertamenti patrimoniali delle Fiamme Gialle seguiti a quelli della squadra Mobile sul campo, è emerso che poco prima della morte il 40enne aveva prelevato circa 40-50mila euro dal conto. Mentre nei 4-5 mesi successivi aveva prelevato circa 450mila euro al bancomat a cadenza quotidiana, con prelievi sotto ai mille euro.

Tanto che, giusto poco tempo prima di morire, il 67enne aveva ingaggiato un investigatore privato di Trento per fare luce su eventuali ammanchi e aveva contattato un legale per fare causa al figlio. Ma il 40enne, sentito a suo tempo dagli inquirenti, aveva spiegato che aveva deleghe sul conto del padre perché "faceva investimenti finanziari di un certo rango". E aveva sottolineato che in passato il genitore "aveva in più occasioni abusato dei farmaci".

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