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Cronaca

"La nostra costa? Era minacciata costantemente dai corsari": Eraldo Baldini racconta la Romagna al tempo dei pirati

Giunge in libreria un volume a più mani che racconta le incursioni corsare nel mare di Romagna. Baldini: "La pirateria del Mediterraneo è ben più datata di quella caraibica, ma ha ricevuto meno attenzione"

Siamo abituati a pensare alla costa romagnola come a uno spensierato luogo di vacanze estive, ma le cose non sono sempre state così. In un passato nemmeno troppo lontano la situazione era ben diversa: infatti i litorali romagnoli sono stati per secoli una pericolosa frontiera frequentata da pirati e corsari. Ad approfondire questo aspetto ci pensa il volume, fresco di stampa, "Pirati e corsari nel mare di Romagna (secoli XV-XIX)" (edito da Il Ponte Vecchio), scritto da Eraldo Baldini, Giancarlo Cerasoli, Oreste Delucca e Davide Gnola. Un affascinante viaggio indietro nel tempo che ci racconta di come le comunità costiere e portuali della Romagna dovettero per lungo tempo confrontarsi con le incursioni, le razzie e i rapimenti da parte di pirati dell'Adriatico e del Mediterraneo.

Una storia che ci tramanda anche la “guerra di corsa” che ha caratterizzato per alcuni secoli lo scontro tra l’Impero Ottomano e gli stati mediterranei ed europei. Un'epoca che viene ricostruita dagli autori attraverso un’ampia produzione documentaria che si ritrova negli archivi, oltre che con testimonianze materiali ancora visibili, in primo luogo le torri di guardia nei porti e lungo i litorali. A svelarci qualche curioso aspetto di questa ricerca è uno degli autori del volume: lo scrittore e saggista Eraldo Baldini.

Quando si parla di pirati l’immaginario comune riporta alla mente i corsari dei Caraibi resi popolari dalla letteratura e dalla cinematografia. Quali similitudini e quali differenze ci sono fra i pirati caraibici e quelli dell'Adriatico tra XV e XIX secolo?
La pirateria marittima è un fenomeno che esiste fin da quando l’uomo ha cominciato a navigare e, al di là delle suggestioni rese più forti e più note dalla della narrativa e dal cinema (certamente la pirateria nei Caraibi rientra in queste “major”), ogni mare ha visti pirati (equipaggi che agivano autonomamente al fine di procurarsi bottino e preda) e corsari (che facevano la stessa cosa, ma con l’avvallo di stati o potenze che concedevano loro la “patente” per danneggiare il nemico di turno) muoversi incessantemente e preoccupare le acque e le coste. Il fenomeno nel Mediterraneo è ben più datato di quello caraibico, essendo testimoniato dall’Antichità fino ai prime decenni dell’Ottocento, con un acme particolare dalla fine del Quattrocento alla fine del Settecento; però, in mancanza non solo di una eguale attenzione da parte della “fiction”, ma anche da una certa “perdita” della memoria storica (almeno qui in alto Adriatico), risulta oggi meno conosciuto rispetto a situazioni e vicende “esotiche”. Anche per questo direi che il libro che abbiamo scritto era “necessario”. In ogni caso ci sono poi differenze dovute alla morfologia dei mari, delle coste e delle realtà sociali che le caratterizzavano.

In questa sua ricerca storica quali sono gli aspetti che l'hanno maggiormente colpita?
Mi ha colpito, e spinto ad affrontare insieme ai co-autori questo lavoro (una ricerca lunga e paziente sui documenti cronachistici, d’archivio, ecc.), soprattutto il fatto, a cui ho già accennato, che la enorme trasformazione del nostro litorale, passato in poco più di un secolo e mezzo da plaga deserta ed evitata, insalubre, pericolosa perché minacciata costantemente dalle scorrerie di pirati e corsari che razziavano cose e rapivano persone, ad affollato comprensorio turistico in grado di rappresentare una “economia” di per sé e di essere assiduamente frequentato da comunità e società che sembrano avere operato la “rimozione” di una memoria così importante e in fondo così vicina nel tempo.

Edward Teach (Barbanera), Francis Drake, Henry Morgan... sono tanti i pirati dei mari “lontani” passati alla storia per le loro avventure e scorribande. Pensando all'Adriatico e al Mediterraneo, quali sono i personaggi da ricordare?
Alcuni personaggi appartenenti soprattutto alle marinerie corsare ottomane e “barbaresche” che hanno agito in Adriatico sono abbastanza noti (anche se non ai più), come Khayr al-Din (detto “il corsaro Barbarossa”) e suo fratello Aruj, Kemal Raìs detto Kamalì, o come Ulic Alì Pascia (noto da noi come “Occhiali” o “Ucciali”), un calabrese che, dopo essere stato catturato da corsari ottomani ed essersi convertito, era passato alle loro fila scalando le gerarchie. Ma al di là di questi, da noi era pressante lo stillicidio continuo di incursioni dovute non a grandi flotte condotte dai leader della pirateria, ma alla presenza e all’azione costante e rapida di piccole e agili imbarcazioni, che a volte non mancavano di risalire i fiumi per agire anche nell’immediato entroterra.

Come si difendeva la popolazione romagnola dell’epoca dagli attacchi dei pirati?
A partire soprattutto dal Cinque-Seicento venne elaborato e reso operativo un sistema di torri di avvistamento e difesa, poste a distanze regolari che consentivano un collegamento tra di loro. Le torri (diverse sono ancora esistenti e visibili, come le rocche e i fortilizi delle maggiori città costiere) ospitavano guarnigioni armate che, coadiuvate da contingenti di cavalleria e di guardie che cercavano di battere regolarmente i litorali, vigilavano e cercavano di opporsi alle scorrerie corsare insieme all’azione delle flotte militari degli stati litoranei adriatici (lo Stato Pontificio e la Repubblica di Venezia in primis). Ma per lungo tempo ciò non evitò che il pericolo si manifestasse frequentemente e crudamente.

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