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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Deve assistere un familiare malato grave, le Poste le negano i giorni

Il giudice del lavoro, del tribunale di Ravenna, Roberto Riverso ha riconosciuto a una lavoratrice di Poste italiane il diritto ad assistere un familiare affetto da grave malattia, come indicato dalla legge

Il giudice del lavoro, del tribunale di Ravenna, Roberto Riverso ha riconosciuto a una lavoratrice di Poste italiane il diritto ad assistere un familiare affetto da grave malattia, come indicato dalla legge (n° 53/2000) che prevede che un lavoratore abbia diritto, per tre giorni all’anno, di rimanere a casa per assistere un familiare affetto “da grave infermità”. La sentenza, emessa alcune settimane fa, conferma quanto già il giudice Riverso aveva espresso nel 2011 quando la stessa lavoratrice si era rivolta alla magistratura per vedersi riconoscere il diritto ad assistere il familiare.

La Slc Cgil esprime soddisfazione per il nuovo pronunciamento del giudice e pesanti riserve sull'atteggiamento di Poste Italiane nei confronti dei propri dipendenti e del riconoscimento dei loro diritti. “La lavoratrice in questione - spiega Susanna Ponti, segretaria provinciale della Slc Cgil - per la seconda volta è dovuta ricorrere alle vie giudiziarie per vedersi riconosciuto un diritto. Poste Italiane in merito a questa vicenda ha perso anche l'appello nel 2013, e ora torna a soccombere di fronte alla legge”. La lavoratrice da anni assiste un familiare in una difficile battaglia contro una grave malattia. Confortata dai certificati medici, la donna ha chiesto di usufruire dei tre giorni già nel 2009. Al rifiuto di Poste italiane, la donna si è rivolta ad un avvocato per fare valere i suoi diritti. Il giudice del lavoro del tribunale di Ravenna le ha dato ragione (sentenza del marzo del 2011) e il parere è stato confermato in secondo grado, il 26 settembre del 2013 dalla Corte di appello di Bologna, con una sentenza passata in giudicato, dando così nuovamente torto a Poste Italiane che contesta il fatto che nei certificati rilasciati dai medici non ci sia scritto “grave infermità”. Di fronte alla gravità della malattia, i giudici hanno ritenuto ininfluente il fatto che non sia stata indicata la dicitura in questione.

La donna per poter di nuovo seguire il familiare, per una ricaduta della malattia, ha dovuto di nuovo richiedere i tre giorni nel 2013 ed altri tre nel 2014 e con grande sorpresa si è trovata di fronte a un nuovo rifiuto dell’azienda. “Confidiamo che la nuova sentenza - dice Susanna Ponti - induca Poste Italiane a modificare la propria normativa interna che con ogni evidenza è peggiorativa rispetto alla legge. Non da meno, vogliamo far riflettere sul fatto che a fronte di tre giorni di assistenza negati a una dipendente ora Poste Italiane si trova ad affrontare l'ennesima spesa processuale per il caso. Oltre a non riconoscere un diritto, l'azienda si trova così a dovere sostenere spese per rivendicazioni che ancora una volta vengono considerate prive di fondamento”.

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