Processo Cagnoni, colpi di scena: la madre non si presenta, l'amica nega la telefonata registrata
Com'era previsto - e nonostante la pioggia - l'aula della Corte d'Assise è pienissima, con persone in piedi appoggiate alle pareti
Com'era previsto - e nonostante la pioggia - l'aula della Corte d'Assise è pienissima, con persone in piedi appoggiate alle pareti. Quella di venerdì, infatti, è stata un'udienza importante: fra i testimoni chiamati dall'accusa ci sono infatti madre, padre, fratello e zio di Matteo Cagnoni, l'imputato accusato di avere ucciso la moglie Giulia Ballestri lo scorso anno nella villa disabitata di famiglia.
Ma l'udienza inizia subito con un testimone "mancante": Vanna Costa, madre di Cagnoni, ha infatti presentato dei certificati medici in cui viene riportato che la donna soffrirebbe, da circa un anno e mezzo, di deficit cognitivi. E così la famiglia Cagnoni viene messa da parte per un paio d'ore e il turno passa a Carla Chiesa, che in breve - seppur con difficoltà, visti i suoi problemi di vista e udito - spiega l'amicizia che la lega a Vanna Costa e a Mario Cagnoni, padre di Matteo.
Il vero colpo di scena, però, arriva con la testimone successiva: Adriana Ricci, che ogni tanto si occupava delle pulizie nella villa di via Padre Genocchi, dove è stato ritrovato il cadavere di Giulia. Il pm Cristina d'Aniello cerca di capire se la tanica d'acqua distillata trovata sul luogo del delitto potesse essere stata portata lì dalla donna per le pulizie: "I detergenti li portavo io, ma non ho mai portato acqua distillata nè l'ho mai vista in quella casa", spiega la donna. In aula viene poi riprodotta l'ormai nota intercettazione telefonica tra la donna delle pulizie e la madre di Matteo Cagnoni, che al telefono con l'amica avrebbe detto "Matteo diciamo che l'ha fatta grossa, ma ha avuto un trauma talmente grosso per la distruzione della sua famiglia che non ci ha visto più".
"Eh quello si, penso anch'io", risponde la donna alla madre dell'imputato. E qui la donna lascia tutta l'aula a bocca aperta, dicendo di non aver mai parlato dell'argomento con Vanna Costa. "Ma come, non è sua la voce nella telefonata?", chiede stupefatto il Pm. "No", risponde decisa il testimone. Il presidente della Corte Corrado Schiaretti ricorda alla donna che la falsa testimonianza è un reato che prevede dai 2 ai 6 anni di carcere, cercando di condurla a quella che sembrerebbe l'unica risposta possibile, vista la telefonata registrata. Ma la donna è inamovibile, tanto che a fine esame viene richiesta la trasmissione degli atti per falsa testimonianza alla Procura.