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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

La Camera Penale con Poggiali: "Tre assoluzioni in Appello e 18 giudici coinvolti: no all'ergastolo processuale"

Duro attacco del Consiglio Direttivo della Camera Penale di Bologna alla Procura Generale della Corte d'Appello sulla vicenda processuale infinita dell'infermiera Daniela Poggiali

Duro attacco del Consiglio Direttivo della Camera Penale di Bologna alla Procura Generale della Corte d'Appello sulla vicenda processuale infinita dell'infermiera Daniela Poggiali, accusata per le morti sospette avvenute all'ospedale di Lugo e più volte assolta. "La vicenda è molto nota, avendo suscitato grande interesse, a tratti morboso, da parte dei media locali e nazionali. Una vicenda che ha trovato già diversi esiti processuali, con tre diverse sentenze assolutorie emesse dalla Corte di Assise di Appello di Bologna, che però, a quanto pare, non saranno sufficienti a mettere fine ad un processo durato diversi anni, avendo appreso di un ennesimo ricorso in Cassazione preannunciato da parte della Procura Generale", dice la nota firmata dal presidente Roberto d’Errico. e dalla segretaria Chiara Rodio.

Un ping-pong giudiziario che per la rappresentanza degli avvocati rappresenta "un incubo che sembra immune da qualsiasi pacificante risveglio". ed ancora: "Dopo l’ultima sentenza, emessa pochi mesi fa, con la più ampia formula assolutoria per l’insussistenza dei fatti, la signora Poggiali avrà pensato di essersi finalmente ridestata da quell’ incubo in cui era scivolata nel lontano 2014. Un incubo processuale che è stato inesorabilmente accompagnato da una brutale gogna mediatica, che assume la colpevolezza quale presunzione assoluta, tanto da averle da subito cucito addosso la spregevole definizione di “angelo della morte”. D’altra parte, questa è la drammatica realtà che segna ormai troppe vicende di cronaca in questo paese: la costruzione mediatica del “mostro” da mettere sul banco degli imputati di un processo popolare spettacolarizzato, in cui la sentenza deve essere immediata, e deve essere inesorabilmente di condanna. Ovviamente senza ristori o scuse se si scopre che il “mostro” è innocente. Questa triste constatazione può valere quando la si applichi ad una opinione pubblica formata e intrisa della cultura del sospetto, che non si è ancora del tutto scrollata di dosso quei primordiali istinti vendicativi".

Ed ancora: "Ma se al popolo difficilmente può chiedersi di prendere atto che la “verità” la si costruisce nell’ambito di un giusto processo regolato dalle norme delle Costituzione e del Codice, ecco che invece questo lo si può, e lo si deve, chiedere a chi si proclama, quotidianamente, custode e tutore della “cultura della giurisdizione”. Cultura della giurisdizione significa ossequiare il principio del ragionevole dubbio, che al cospetto di tre sentenze assolutorie, emesse da ben diciotto giudici, dovrebbe imporre una presa di coscienza che rifugga da personali convincimenti su dove stia la verità, che si affranchi da logiche di vittoria e di sconfitta, che non possono appartenere ad una parte pubblica, e che rischiano di conferire al processo più l’immagine di un duello che quella, voluta dalla Costituzione, di una confronto dialettico incentrato sul contraddittorio".

Ed ancora: "Cultura della giurisdizione significa rispetto per il principio di ragionevole durata del processo, che costituisce uno dei valori fondanti del Giusto processo consacrato nell’art. 111 della Costituzione. Per la Pubblica accusa questo principio non può non essere declinato senza considerare l’esposizione dell’imputato al rischio di un processo sine die, tanto più quando esso è accompagnato da una gogna mediatica che ha, letteralmente, già fatto a pezzi la dignità di questa donna. Cultura della giurisdizione è saper comprendere il momento in cui l’esercizio di pur legittime facoltà rischia di trasformarsi in accanimento processuale, trascinando una persona in quello che è stato efficacemente definito un ergastolo processuale”.

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