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Quarant’anni fa moriva il Generale Dalla Chiesa, le commemorazioni dei carabinieri

Il comando generale dell’Arma dei carabinieri ricorda l’ufficiale ucciso dalla mafia il 3 settembre del 1982

Sono diverse le iniziative per commemorare il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nel quarantesimo anniversario dall’attentato in cui trovò la morte insieme alla moglie Emanuela Setti e all’agente di scorta della polizia Domenico Russo. A promuoverle, il Comando generale dell’Arma dei carabinieri che, per rendergli omaggio, ha realizzato una particolare locandina. Nell’immagine riprodotta, oltre alle sue sembianze, anche la bandiera tricolore e il suo pensiero che recita: “Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli”. 

Figlio d’arte (suo padre, Romano, era già ufficiale dell’Arma dei carabinieri), frequentò la Scuola allievi ufficiali di complemento di Spoleto, in seguito prestò servizio in fanteria come Sottotenente nel 120° Reggimento Fanteria “Emilia”, partecipando per dieci mesi all’occupazione del Montenegro. Operazione, per la quale ricevette due croci di guerra al valore. Nell’ottobre del 1942, transitò nei carabinieri Reali.

Nel dicembre 1942, nella città rivierasca di San Benedetto del Tronto, il suo primo incarico da giovane ufficiale, quando gli venne assegnata la guida dell’allora Tenenza e dove rimase fino alla proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Trovandosi nella provincia di Ascoli Piceno, venne affrontato dai partigiani comunisti della zona che temevano che fosse il responsabile del blocco dei rifornimenti di armi che gli Alleati di tanto in tanto riuscivano a spedire via mare. Alla domanda “Lei con chi sta, Tenente, con l’Italia o la Germania?”, Dalla Chiesa rispose offrendo la sua collaborazione, ma a causa del suo rifiuto di collaborare nella caccia ai partigiani, fu preso di mira dai nazisti e fu costretto a fuggire.

Entrò quindi nella resistenza italiana, operando in clandestinità nelle Marche, unendosi alla “Brigata Patrioti Piceni”, di stanza nella località montana di Colle San Marco di Ascoli Piceno. In seguito, divenne uno dei responsabili delle trasmissioni radio clandestine di informazioni per gli Americani.
Da lì, un seguito di successi, ma anche di fatica e sacrifici: impegno contro il banditismo in Campania ed in Sicilia, sostegno alle popolazioni del Belice colpite dal terremoto del 1968, lotta alle Brigate Rosse, smantellando diverse cellule terroristiche e poi lotta senza quartiere contro la mafia in Sicilia che, purtroppo, gli risultò fatale. Fu anche Vicecomandante dell’Arma dei carabinieri, come lo era stato il padre. Una delle più alte cariche raggiungibili per un ufficiale dei Carabinieri. All’epoca, infatti, il Comandante Generale dell’Arma proveniva, per espressa disposizione di legge, dalle file dell’esercito. Rimase in tale incarico fino al 5 maggio 1982 dopodiché, nominato Prefetto da pochi mesi, venne assassinato a Palermo, il 3 settembre del 1982.
 

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