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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Alfonsine

'Indiana Jones ad Alfonsine', l'antica fornace ritrovata durante gli scavi del gas: "Ma nessuno la vedrà mai"

Parla l'anziano che è riuscito a fotografare la scoperta del sito: "Altrimenti, ora che il tutto è stato ricoperto, quasi nessuno saprebbe di questa importantissima scoperta archeologica"

Lui, sul suo blog 'Alfonsinemonamour', la definisce 'la Pompei di Alfonsine'. Di sicuro è una scoperta molto interessante, che ha richiamato l'attenzione anche della Soprintendenza e dell'amministrazione comunale. A maggio Luciano Lucci, 76enne alfonsinese, si è imbattuto nel ritrovamento di una vecchia fornace per mattoni e laterizi a Fiumazzo, durante lo scavo per l'installazione di tubi per il trasporto del gas.

La zona del ritrovo
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"Si vedono nello stesso lato nord-est le due entrate per il grande forno centrale, dove veniva posto il combustibile (legname vario) e da cui si avviava il fuoco con successiva chiusura - spiega l'"Indiana Jones" di Alfonsine, come ama definirsi lui stesso - Quasi sicuramente la fornace era di tipo verticale, cioè i fumi e il calore salivano passando in una camera superiore dotata di fori, dove erano stati posti i mattoni da cuocere. Poi il tutto saliva all’esterno attraverso un buco a camino. Si vede il pavimento orizzontale bello liscio, mentre il piano superiore con i fori su cui venivano posti i mattoni da cuocere è andato sicuramente distrutto, come accadeva normalmente, per usura, anche durante l’attività della fornace".

La fornace di Fiumazzo ritrovata

Ma a quale epoca risale questo reperto storico? "Per determinare a quale epoca risalgono i resti di questa fornace occorre tener conto che il livello della base è circa due metri sotto il livello dell’attuale terreno - continua il 76enne - La fornace fu costruita su una zona valliva già bonificata o comunque fuori dall’acqua, lungo la prode di Fusignano: “prode” era detta la linea di contatto tra la terra e l’acqua della valle. Queste zone ebbero i primi interventi di bonifica alla sinistra del Senio nella grande valle Liba con i conti Donigallia e poi con i Conti Cunio, che avevano creato il loro porto detto "della Liba"(o Libba o Loibe), compreso un castello, utilizzando mattoni d'argilla cotti in varie fornaci alimentate a legna. La zona valliva spostò la linea di contatto tra terra e acqua ("prode") più verso nord, nord-est, ancora col nome Valle Loibe (o Libba) lasciando verso sud una zona valliva che prese il nome di Valle Dana. Una fortissima esondazione del Senio nel 1257 decretò la fine di tutte le loro opere, e cent'anni dopo nel 1359 i Conti Cunio vendettero tutto ai Polentani di Ravenna, a cui poi  subentrarono i Veneziani. La fornace potrebbe essere stata costruita quindi già verso la prima metà del 1200 d.C. dai Conti Cunio, per fare mattoni per il loro castello e il Porto della Liba".

L'anziano azzarda però anche un'altra ipotesi: "Alla destra del Senio verso la fine del 1300 governava John Hawkwood (Giovanni Acuto), un "capitano di ventura", che servì francesi, milanesi, papalini e fiorentini, offrendosi con le sue “lance” ai vari signori e principi e re dell'Europa. Questi aveva dominato e bonificato le zone da Bagnacavallo a Glorie e alla destra del fiume Senio fino ad Alfonsine, attivando il porto detto “La Predosa”, proprio dove sorgerà Alfonsine. John Hawkwood vendette tutta la parte a destra del Senio agli Estensi, che così iniziarono ad inserirsi nel dominio di queste terre.  Alla metà del ‘400 i Calcagnini, ebbero in feudo (Feudo di Fusignano) da Borso d'Este tutte queste terre (che gli Estensi di Ferrara avevano acquisito e spesso occupato, vista la labilità nel definirne i confini). Così parte dei terreni e delle valli alla destra e alla sinistra del Senio furono registrate sotto la loro proprietà, la qual cosa li mise in continuo contrasto con i Veneziani dato che pure questi avevano allungato le loro intenzioni di controllo fino qua. Infatti i Veneziani nel 1458 avevano venduto a un tal Pietro Piemontese tutte le terre e valli a destra del Po di Primaro, quindi anche le varie valli che erano sull'attuale territorio alfonsinese. Però ora anche gli Estensi vantavano diritti su questi territori. Nacque una feroce disputa fra Pietro Piemontese e Teofilo Calcagnini su quei territori poiché ognuno ne reclamava la proprietà. Le parti si accordarono e, dietro pagamento, Pietro cedette in toto i diritti su quei territori e così Teofilo Calcagnini divenne pienamente proprietario di dette terre e continuò nell’opera di bonifica. I Calcagnini continuarono l’opera di bonifica creando argini successivi, per tenere le acque vallive sempre più a Nord-Est; via Borse fu uno di quegli interventi, come pure l’inalveamento del Senio sempre più avanti lungo la linea su cui si formò poi la via detta Stradone della Chiesa (oggi Corso Garibaldi). La fornace in questione potrebbe essere stata costruita quindi nella metà del ‘400 dai Calcagnini per i loro porti sulle varie valli e per le Torri di guardia o le case dei guardiani della valle, le pievi etc".

Lucci fa notare un altro aspetto interessante: in un dipinto murale del '700 è riprodotta la fornace scoperta. "Si tratta di uno dei dipinti murari di casa Samaritani, che era in via Mameli ad Alfonsine, e oggi custodito a Casa Monti e attribuito a Giovanni Monti, nipote del poeta alfonsinese. Qui si vede inquadrata proprio la ‘nostra’ fornace con in lontananza la torretta (oggi perduta), di cui rimane il toponimo. Questi dipinti risalgono probabilmente alla fine del ‘700, e non sempre erano disegni dal vero, ma ad antica memoria, cioè mostravano situazioni storiche precedenti o antichi ricordi. Ciò induce a credere quindi che nel ‘700 non si vedesse quello che è qui disegnato. Qualche cenno sulle fornaci della valle lo si trova nella “Storia di Fusignano” di Leone Vicchi edita nel 1876 a pagina 12: I Fusignanesi ottennero pure l'esenzione dall'obblighi di scaldare quattro volte ogni anno le fornaci de’ Calcagnini e di trasportare i raccolti dei medesimi al palazzo marchionale. Attestavano poi diritto i fusignanesi ad esser sollevati dallo scaldare le fornaci, perché prima e dopo la donazione a Teofilo del feudo, essi, come tutti i romagnoli sudditi del duca di Ferrara, erano stati obbligati a prestarsi per la parte loro alla fabbrica e fortificazione della cittadella di Lugo, ma l'obbligo era di una volta tanto, ossia finché non era finita essa cittadella. Quindi nel territorio di Fusignano e della valle le fornaci esistevano già da quando gli Estensi se ne erano appropriati, nonostante nel 1359 i conti Cunio avessero venduto le loro proprietà ai Polentani di Ravenna. Gli Estensi di Ferrara, con Borso d’Este, assegnarono a Teofilo Calcagnini il feudo di Fusignano, con annesse valli.  Si era nel 1464".

Il dipinto murale che riproduce la fornace
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I resti recentemente venuti alla luce della fornace di Fiumazzo si trovano due metri sotto il livello dell’attuale terreno. "Ciò significa che essa fu coperta progressivamente dai depositi argillosi portati da acque fluviali, che depositavano progressivamente le particelle fini arrivate fin qui (acque torbide per la sospensione di minute particelle di argilla) - analizza il 76enne - Ma quando successe tutto questo? La zona valliva in questione si chiamava “Dana”, ed era a sud dell’altra valle detta Liba o Libba o Loibe, che era già stata bonificata. In questi ambienti si alternavano strisce di terre a zone paludose, tra tentativi di arginature dei fiumi e canali per procedere a bonifiche, che poi in caso di esondazioni incontrollate, portavano alla perdita delle opere attuate, ma nello stesso tempo anche alla possibilità di bonificare le valli con “cassa di colmata”, cioè lasciando scorrere le acque torbide e depositare l’argilla, per poi arginare i fiumi o deviarli in altre zone. In una mappa della fine ‘600 si legge “Valle Dana perduta” con sopra la scritta “prati”, quasi a significare che la valle Dana era sparita (“perduta”) sostituita da zona prativa. Nel 1632 una strabocchevole piena del Senio aveva infatti rotto l’argine sinistro alcune miglia inferiormente a Fusignano. Le acque si formarono un nuovo alveo in mezzo a valli e campi, che con un giro tortuoso andava a perdersi nelle "valli Bresciane", in un fondo detto “la Bassa” e nella Valle Dana. Questo nuovo corso del Senio è quello che fin dalla fine del ‘700 diede il nome alla zona detta “Fiumazzo”. Ancora oggi è questo il nome con cui viene chiamata questa frazione del Comune di Alfonsine. La popolazione danneggiata dal furioso straripamento portò molti e replicati ricorsi alla Congregazione delle Acque in Roma. Ma passarono trent’anni (sia per la difficoltà e i costi dell’opera e forse perché ciò creava vantaggio per le Alfonsine, andando a riempire di terreno la valle Dana). Comunque dal 1662 al 1664 fu chiusa la rotta del fiume e fu creato un nuovo corso che incanalò il fiume Senio nelle Valli del Passetto. Così la valle Dana andò perduta e si trasformò definitivamente in zona prativa e coltivabile. Rimase di tutto ciò un’antica orma di quel fiume disegnata in una mappa che taglia le strade di San Savino e Valeria oltre che prolungarsi oggi all’incrocio delle “cinque vie” di Fiumazzo".

L'intervento del sindaco e della Soprintendenza

Dopo il ritrovamento, il sindaco di Alfonsine Riccardo Graziani ha preso contatti con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini. "A lato dello scavo per il metanodotto è emersa una struttura che è stata dapprima vagliata nella sua materialità dal ridetto nucleo; poi i dati ricavati saranno oggetto di ulteriore approfondimento - spiega il primo cittadino - Ci viene riferito che si tratta di una struttura piuttosto amplia (fornace per laterizi), ma costituita da un rinvenimento singolo ossia non immediatamente collegato a un contesto urbanistico ulteriore; del resto la fornace, come spesso accadeva, anche per immaginabili emissioni, era sovente posta in luogo isolato rispetto a zone abitate. La fornace in questione è databile, in linea di prima approssimazione e salvi ulteriori approfondimenti, tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600. Potrebbe risultare controintuitivo, ma mi è stato spiegato che, dopo i rilievi del caso, data la fragilità strutturale della fornace la soluzione tecnica più idonea a garantirne la conservazione sia costituita proprio dalla sua copertura. Alla luce di questi rilievi effettuati e anche per l’isolamento rispetto a contesti abitati, non pare, ad avviso degli studiosi che l'hanno esaminata, che la struttura possa avere un rilievo storico e archeologico tale da sottoporla, ad oggi, a specifiche attività di valorizzazione: tuttavia, saranno effettuati ulteriori approfondimenti sulla stessa. Proprio per questo, si è chiesto alla Soprintendenza di tenere aggiornata l’amministrazione comunale sulle risultanze di questa ulteriore attività".

Tutto è stato quindi ricoperto con un telo protettivo e ricoperto di nuovo di terreno. Il metanodotto è stato leggermente deviato per non passare sopra la struttura. "Nessuno mai più la potrà ammirare, per anni e anni - commenta Lucci - Fortuna ha voluto che io abbia fotografato il tutto pochi giorni dopo la scoperta del sito altrimenti, ora che il tutto è stato ricoperto, quasi nessuno saprebbe di questa importantissima scoperta archeologica. Ma nessuno la vedrà mai. Gli unici alfonsinesi che da oggi ai secoli a venire avranno avuto il privilegio di vedere dal vivo la fornace antica di Alfonsine siamo io, mia moglie e le mie due nipotine, oltre a un vicino che, abitando lì a due passi, mi ha portato nel posto preciso per vederla". Un tesoro destinato, dunque, a rimanere nascosto.

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