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Cronaca

Dalla trafila garibaldina al plebiscito: la "ribelle Ravenna" che cambiò le sorti dell'Italia

Con l'aiuto dello storico Alessandro Luparini si riscoprono le grandi tappe e i personaggi fondamentali del Risorgimento ravennate a 160 anni dal Regno d'Italia

Intrighi, società segrete, moti rivoluzionari, reazioni durissime da parte delle autorità e poi fughe attraverso le valli e relazioni diplomatiche che avrebbero cambiato la faccia dell'intera Penisola. Tutto questo, che fa parte della storia del Risorgimento italiano, è racchiuso nelle pagine di storia del nostro territorio. Ravenna fu infatti luogo di grandi speranze di cambiamento, teatro di scontri e ribellioni. La nostra provincia diede ospitlità all'eroico Garibaldi ma fu anche terra natia di patrioti nazionali come Luigi Carlo Farini (nato a Russi il 22 ottobre 1812).

Insomma, la storia d'Italia non si può scrivere senza citare Ravenna e il 2021 è l'anno giusto per scoprire (o riscoprire) alcune vicende del periodo risorgimentale, visto chi il 17 marzo il nostro Paese compirà a tutti gli effetti 160 anni. Infatti il 17 marzo 1861 si tenne la proclamazione ufficiale del Regno d'Italia tramite l'approvazione da parte del Senato sabaudo del regio decreto con cui Vittorio Emanuele II assunse il titolo di Re d'Italia. 

Con l'aiuto di Alessandro Luparini, storico e direttore della Fondazione Casa di Oriani - Biblioteca di Storia Contemporanea, cerchiamo dunque di orientarci fra storie, luoghi e protagonisti del ricco Risorgimento ravennate in occasione di questo importante anniversario.

Nel libro "Storia di Ravenna. Dalla preistoria all'anno Duemila", scritto insieme a Paola Novara, lei definisce la nostra città "protagonista del Risorgimento italiano". In che modo la nostra città fu protagonista?
Il Risorgimento italiano è stato tante cose insieme; l’esito, per certi versi fortuito, di forze e di idee anche in acceso conflitto fra loro. Tra queste, quella repubblicana, che si riconosceva nell’apostolato di Giuseppe Mazzini e nella “spada” di Giuseppe Garibaldi, conobbe a Ravenna e in Romagna in generale la sua massima espressione, come testimoniato ad esempio dall’adesione appassionata alla Repubblica Romana del 1849, la cui memoria, non a caso, sopravvive ancora nel Ravennate a distanza di così tanto tempo.

Quali sono le tappe salienti del Risorgimento ravennate?
Inizierei senz’altro dalla celeberrima sentenza del 31 agosto 1825, con la quale il cardinale Agostino Rivarola, inviato da Papa Leone XII per cercare di domare la ribelle Ravenna, condannava oltre 500 persone a pene severissime. Un atto che, lungi dall’ottenere il risultato che si prefiggeva, ovvero stroncare la cospirazione “liberale” e carbonara, contribuì invece ad accrescere la già forte ostilità verso il governo pontificio, spingendo numerosi altri ravennati nelle file dei patrioti. Poi la già ricordata epopea della Repubblica Romana, iniziata simbolicamente con l’innalzamento dell’“albero della libertà” in Piazza Maggiore (l’attuale Piazza del Popolo) il 15 febbraio 1849. E ancora la leggendaria “trafila” garibaldina dell’agosto di quello stesso anno, segnata dalla tragica morte di Anita presso la fattoria Guiccioli a Mandriole. Infine, la partenza dell’ultimo cardinale legato, Achille Maria Ricci, il 13 giugno 1859, preludio ai plebisciti dell’11-12 marzo 1860 che sancirono l’annessione delle ex Legazioni pontificie al Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele II.

Chi sono i personaggi chiave del periodo risorgimentale a Ravenna?
Sono davvero molti. Per necessità di sintesi ne indico due, espressione delle due principali anime del movimento risorgimentale, quella democratico/repubblicana e quella monarchico/moderata. Sono, rispettivamente, Primo Uccellini (1804-1882), animatore della prima Carboneria ravennate, poi fondatore della locale sezione della mazziniana Giovine Italia e protagonista della stagione della Repubblica Romana; e Luigi Carlo Farini (1812-1866), nativo di Russi, uno dei maggiori artefici dell’indipendenza italiana, intimo e fedele collaboratore del conte di Cavour, al quale, come “dittatore” delle cosiddette Provincie provvisorie (che riunivano gli ex Ducati emiliani e le ex Legazioni romagnole), toccò di guidare la transizione dal vecchio al nuovo regime.

All'indomani dell'Unità d'Italia come era cambiata la vita dei ravennati?
Sul piano strettamente politico, lasciando stare i nostalgici (non molti in verità) del governo papalino, la proclamazione del nuovo Regno d’Italia suscitò l’entusiasmo dei moderati mentre deluse profondamente gli esponenti dell’ala democratica, che si sarebbero aspettati un esito diverso, in senso repubblicano, e la cui corrente sinistra, negli anni successivi, avrebbe dato vita al movimento internazionalista, anarchico e socialista. Sul piano economico/sociale, le condizioni generali della città (che al primo censimento post unitario del 31 dicembre 1861 contava appena 55.973 abitanti) e più in generale del territorio sarebbero cambiate in meglio sì, ma assai gradualmente e in mezzo a molte difficoltà, scontando un’arretratezza di lunga data che la tendenza accentratrice e la forte imposizione fiscale del nuovo ordinamento non contribuirono certo ad attenuare. 

Quali sono oggi i luoghi simbolo della città per "rivivere" le vicende del periodo risorgimentale?
Nell’attesa che si inaugurino gli attesi Musei Byron e del Risorgimento, direi due su tutti. Il monumento a Luigi Carlo Farini, proprio dinanzi alla stazione ferroviaria (eretto nel 1878, distrutto durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale e riedificato nel 1995), opera dello scultore ravennate Enrico Pazzi (autore, fra le altre cose, della famosissima statua di Dante in Piazza S. Croce a Firenze), raffigurante il grande patriota nell’atto di strappare il testo dell’armistizio di Villafranca dell’11 luglio 1859. E, appena fuori della città, nello splendido scenario naturalistico delle valli, il suggestivo Capanno di Garibaldi, che dette rifugio al Generale e al fido “Leggero” (al secolo Giovan Battista Culiolo) durante i giorni concitati e drammatici della trafila, gestito ancora oggi da una benemerita Società Conservatrice.

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