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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Da fortezza a 'miniera edile' per costruire altre opere, fino al salvataggio: la storia della Rocca Brancaleone

La famiglia Rava-Fagnocchi nel 1965 la vendette al Comune di Ravenna per 90 milioni di lire: ma quando il Comune di Ravenna ne divenne proprietario, la Rocca si trovava in totale stato di rovina

La Rocca Brancaleone costituisce il segno della dominazione durata settant’anni della Repubblica di Venezia sulla città di Ravenna. Fu collocata a est della città in posizione strategica tangente le mura esistenti e a pochissima distanza di quella che allora era la linea di costa. La sua costruzione fu iniziata nel 1457 dai Veneziani e durò circa 10 anni. Giacomo Corner e Vitale Lando furono incaricati di studiare il progetto dal doge Francesco Foscari. La costruzione fu diretta da Giovanni di Francesco da Massa. Essa si inserisce in un settore della città occupato dalla tarda antichità da strutture residenziali e da edifici ecclesiastici, legati in particolare alla presenza, nel V-VI secolo d.C., del gruppo etnico goto al seguito dei regnanti germanici. Eseguita in un luogo lontano da cave di pietra risulta realizzata quasi interamente in laterizio (salvo rare eccezioni limitate a soglie e conci litici) reimpiegando ingenti quantitativi di materiale di spogliazione prelevato da diversi edifici antichi come ad esempio dalla teodoriciana Chiesa dei Sant’Andrea Goti.

1500 posti al coperto per concerti ed eventi in un luogo del cuore: la rinascita della Rocca Brancaleone

La Rocca Brancaleone si poneva come il fulcro del sistema difensivo della città, essendo orientata verso due direttrici - a Nord Venezia e a Est il mare, dominato dalla Serenissima – dalle quali sarebbe stato più agevole ricevere soccorsi in caso di attacchi. Sapientemente collocata secondo le prescrizioni di Leon Battista Alberti a cavallo tra le mura cittadine, la fortezza non nacque per difendere la città: venne infatti progettata come strumento di controllo di Ravenna. Non a caso le mura contavano un numero di gran lunga maggiore di bombardiere rivolte verso l’abitato rispetto a quelle rivolte verso l’esterno: la sua presenza doveva incutere timore anche ai Ravennati.

Quando nel 1509 la Rocca Brancaleone fu espugnata dall’esercito di Papa Giulio II e i Veneziani furono costretti a restituire Ravenna allo Stato Pontificio, il fortilizio venne danneggiato, ancora prima della battaglia di Ravenna nel 1512 durante la quale resistette all’assedio dei Francesi solo quattro giorni. Successivamente a questa data la struttura cominciava a perdere la sua funzione strategica. Durante il dominio Pontificio venne meno la necessità di ripristinare con urgenza le funzioni del fortilizio che progressivamente andò in disuso, privo di manutenzione e adeguamento ai canoni della difesa militare.

Dal 1630 fino al 1771 la Rocca Brancaleone fu oggetto di una sistematica opera di spogliazione, per la quale da essa fu sottratto materiale per la costruzione di altre opere per la città come la Chiesa di S. Romualdo, il Teatro Comunitativo, la Chiusa S. Marco sul fiume Montone e il Ponte Nuovo. All’opera demolitrice pubblica si aggiunse il continuo prelevamento di materiali da parte dei cittadini fino a che, quella che fu considerata un capolavoro di architettura militare del XV secolo, divenne solo una miniera a cielo aperto di materiale edile. Diverse e influenti famiglie Ravennati ricevettero per enfiteusi, nei successivi tre secoli, la Rocca Brancaleone: prima i Lovatelli, poi i Guiccioli, infine i Rava. In ultimo passò alla famiglia Rava-Fagnocchi che nel 1965 la vendette al Comune di Ravenna per 90 milioni di lire. Nessuno di detti importanti e facoltosi enfiteuti si prese cura del complesso architettonico, tanto che quando il Comune di Ravenna ne divenne proprietario esso si trovava in totale stato di rovina.

01_07_1990_Muti_Montanari_Tazzari_3-2

Nell’intento dei suoi progettisti del passato la Cittadella costituiva uno spazio aperto a servizio della struttura difensiva e conteneva “gli alloggiamenti delle truppe di stanza della fortezza veneziana, le cavalcature, i depositi delle derrate e dei munizionamenti; che garantivano sia l’azione militare che la sussistenza dei soldati dell’avamposto veneziano. Serviva anche quale piazza d’armi" (Mauro M., La Rocca di Ravenna, Riolo Banca ed., Piediripa di Macerata, 1999). All’interno della Cittadella alla fine del 1600 vennero demolite tutte le costruzioni e al loro posto vennero ampliati gli orti e i frutteti; è in questo periodo che scomparve ogni traccia del fossato che correva lungo il lato sud est delle mura dell’Arce e che separava quest’ultima dalla Cittadella. A causa del successivo e progressivo abbandono per la perdita delle funzioni difensive e della sua importanza strategica, l’intera cinta muraria e il suo spazio racchiuso assumevano un aspetto da Grand Tour assomigliando sempre più a una rovina: il decadimento si protraeva, senza interruzioni, fino alla seconda metà del Novecento.

Il Giardino pubblico, ideato e realizzato dal Comune negli anni ‘60, ripristinava il decoro, rispecchiando l’idea dei giardini del XIX secolo con percorsi molto definiti, la vegetazione confinata e una fontana. Negli anni successivi l’Amministrazione ha aggiunto altri attributi dotando le piante esistenti di targhette, virando il carattere dello spazio verde pubblico verso quello del giardino botanico, realizzando una piscina (ora interrata), una pista di pattinaggio su ruote e una piccola struttura adibita a ristoro. Contemporaneamente a questi interventi sulla Cittadella il Comune avviava una prima campagna di restauri di alcune porte della fortezza. Successivamente intervenne la Soprintendenza che in dieci anni portò a compimento il restauro dell’Arce, durante il quale, nel 1973, tornava alla luce la bombarda ancora carica di palle di pietra oggi conservata presso il Museo Nazionale di Ravenna. Nel suo passato più recente, tra il 1971 e il 1990, nell’Arce è stato allestito un teatro all’aperto, divenendo la più qualificata e suggestiva arena di tutto il territorio e assistendo nel 1990, dall’impeto della bacchetta del Maestro Muti, al battesimo del Ravenna Festival.

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