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Cronaca

La strage di Porta Adriana e la Federazione delle cooperative in fiamme: 100 anni fa la violenza fascista a Ravenna

A un secolo di distanza si commemorano i dolorosi fatti del luglio del 1922: la morte di 9 manifestanti, la distruzione di un palazzo ravennate e le origini della ventennale dittatura fascista

Scontri, feriti, morti e un palazzo ridotto in macerie. Sono trascorsi 100 anni dall'assalto fascista alla sede della Federazione delle cooperative di Ravenna. Una pagina di storia che non va dimenticata e, proprio per ricordare la tragica importanza di quegli eventi, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, fa visita a Ravenna per commemorare questo drammatico centenario. 

Ripercorrere questa dolorosa memoria della città di Ravenna è importante per comprendere gli errori del passato e capire come si giunse a quegli eventi. A 100 anni da quei tristi giorni del 1922, si compie dunque un percorso a ritroso per riscoprire l'impetuoso sviluppo del mondo cooperativo, ma anche le violenze del fascismo alle origini della dittatura. Si commemora la distruzione di un palazzo che era emblema del mondo del lavoro e della democrazia, ma anche la strage che vide opposti forze dell'ordine, militanti fascisti e lavoratori.

La premessa

La nascita e il grande sviluppo del movimento cooperativo nel Ravennate è un processo lungo e costituito da varie tappe. Un punto d'inizio si può in qualche modo fissare con la data dell'8 aprile del 1883, quando un gruppo di braccianti dell’area ravennate si riunì in una casa di via Carraie a Ravenna per dare vita all'Associazione generale degli operai braccianti del Comune di Ravenna. Fu questa una novità incredibile, non solo per la Romagna, ma per l'intero Paese.

Nel corso dei primi 20 anni del Novecento, ai braccianti ravennati, impegnati nelle importanti opere di bonifica, furono poi affiancati da numerose altre realtà associative. Motivo per cui, il 25 maggio del 1902, era nata la Federazione delle Cooperative della Provincia per coordinare le varie cooperative sorte a cavallo dei due secoli sul territorio ravennate.

Lo sviluppo della Federazione fu per certi versi impetuoso e inaspettato, tanto che, nel 1919, su impulso Federazione delle Cooperative di Ravenna, Ferrara, Bologna e Milano, fu costituita anche una Federazione nazionale. Una crescita decisa che, tuttavia, non mancò di attirare critiche, alcune provenienti anche dagli ambienti fascisti.

La strage del 26 luglio

Con l'inizio degli anni Venti, l'Italia e anche Ravenna iniziano a sperimentare le crescenti pressioni e violenze da parte degli squadristi fascisti. Nel 1922 Ravenna si trovava ormai "isolata" nel contesto di una pianura padana caduta sempre più nell'orbita fascista. D'altra parte anche la situazione politica interna, con gli scontri fra socialisti e repubblicani, e le stesse divisioni interne al Pri, contribuivano a creare terreno fertile per un colpo di mano del partito di Mussolini.

Il piano di scontro non era però solo quello politico, era lo stesso mondo del lavoro e la forte realtà cooperativa del Ravennate a creare il terreno per un conflitto. L'occasione per un contrasto aperto si presentò infine la mattina del 26 luglio, davanti a porta Adriana. A causa di una dura vertenza sindacale, seguita all'assegnazione di un contratto di monopolio per i trasporti agricoli al sindacato autonomo fascista, migliaia di lavoratori proclamarono lo sciopero e si radunarono in borgo San Biagio.

Braccianti, operai e birocciai erano giunti da tutto il forese, ma ad aspettarli c'erano le guardie regie in assetto da battaglia e diversi fascisti ravennati. Come si può leggere nel libro Storia di Ravenna, degli storici Paola Novara e Alessandro Luparini, nello scontro che si scatenò quel giorno le forze dell'ordine "non solo non si opposero alle violenze fasciste, ma fecero causa comune con gli squadristi".

Venne aperto il fuoco sui manifestanti e si registrò anche il lancio di alcune bombe a mano nei pressi del circolo repubblicano "Vicoli". Alla fine il conto della battaglia fu di una trentina di feriti e di 9 morti tra i manifestanti (Gino Benzoni, Cesare Missiroli, Ersilio Pasini, Ulisse Raggi, Dino Silvestroni, Guglielmo Tumidei, Luigi Giovanni Balestra, Ugo Bustacchini e Stefano Ricci). Tra i fascisti cadde invece Giovanni Balestrazzi, capo del sindacato autonomo.

Fu proprio in nome del "martire" Balestrazzi che nel tardo pomeriggio la città fu invasa dai fascisti emiliani guidati da Italo Balbo, con gli squadristi che occuparono la Casa del Popolo repubblicana. Triste preludio a quello che sarebbe successo circa 24 ore dopo.

L'assalto alla sede della Federazione delle Cooperative

Nella notte tra il 27 e il 28 luglio del 1922 ebbe luogo quello che venne poi definito “l’incendio dell’ignominia”, ovvero l’assalto delle squadre fasciste capeggiate da Balbo al palazzo della Federazione, proprio dove oggi si trova la sede della Provincia, in piazza dei Caduti per la libertà. Come scrisse il Popolo d'Italia (giornale fondato da Mussolini nel 1914), il palazzo ravennate fu ridotto a "un voluminoso pacco di cartacce". E con eloquenza, le foto d'epoca di Ulderico David documentano la distruzione perpetrata dagli squadristi.

La sede della Federazione fu anche data alle fiamme. All'interno si trovava anche il presidente Nullo Baldini, personaggio fondamentale per il mondo cooperativo, che fu condotto all’esterno dai fascisti e, con le mani nei capelli, osservò la distruzione del palazzo. Ciò che restò alla fine, fu poco più di un cumulo di macerie.

I fascisti, con quell'atto, avevano raggiunto il loro scopo: smantellare l'organizzazione democratica che poteva interferire nei loro piani. Un piano di oppressione della vita pubblica che proseguirà quasi del tutto indisturbato nel corso del Ventennio della dittatura. Il giorno seguente i sindaci di Ravenna Fortunato Buzzi e di Forlì Giuseppe Gaudenzi incontrarono i capi fascisti per stipulare un "patto di pacificazione" con il quale si riconosceva al Partito nazionale fascista il "pieno diritto di svolgere la propria azione" nelle due province romagnole.

Siamo così alle porte, o per meglio dire all'anteprima, di quella che sarà la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922. E di lì a poco, anche a Ravenna l'imposizione del regime si fece sentire. A fine anno, infatti, il sindaco Buzzi lasciò il suo incarico e, dopo un periodo di commissariamento e una tornata elettorale alla quale furono ammessi in pratica solo esponenti fascisti, la carica passò a Celso Calvetti che, qualche anno più tardi, assunse il nuovo ruolo di podestà cittadino.

Le foto del palazzo al termine dell'assalto fascista (foto U. David da Archivio Federazione delle Cooperative)

assalto fascista alla sede della Federazione delle Cooperative di Ravenna (foto U. David da Archivio Federazione delle Cooperative) 2-2La devastazione della sede della Federazione delle Cooperative nelle foto di Ulderico David (da Archivio Federazione delle Cooperative) 1-2

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