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Concessioni balneari, Guerra (Assoraro): "Si salvi un modello turistico che tutti ci invidiano"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di RavennaToday

In un Comune esteso come quello di Ravenna, l’istituto delle concessioni è di interesse diffuso sia per la frequenza e sia per i vari ambiti nei quali si presenta: dagli immobili alle aree portuali, dai terreni agli insediamenti, più o meno provvisori, che sorgono sopra o vicino agli specchi d’acqua.

Le regolamentazioni e le modalità per concedere la fruizione di questi spazi ai cittadini o alle imprese sono assai complesse e delicate e, quando una amministrazione interviene con ritardo nei confronti di una categoria di fruitori si creano inevitabilmente delle consuetudini. Ad esempio come accadde a livello locale per i capanni da pesca e da caccia nelle valli e sui fiumi con il Regolamento deliberato dal Comune di Ravenna nel 2014, oppure in ambito europeo sulle spiagge a fronte della Direttiva Europea sui servizi (a firma Bolkestein) emanata nel lontano 2006 e sulla quale ancora oggi non è stata trovata una soluzione ragionevole.

Le recenti statistiche prodotte da Legambiente e riprese dall’OCPI indicano che nel 2021 in Italia sono state rilasciate 12.166 concessioni balneari con un aumento del 12,5% in 3 anni. A fronte di ciò, nel 2019, vi è stato un introito di 115 milioni di Euro (di cui incassati 83 milioni). 

Alcuni stanno incoraggiando l’applicazione della direttiva Bolkestein al settore balneare accusando pretestuosamente gli imprenditori di beneficiare di scarsi controlli fiscali, oppure di godere di un diritto a tariffe basse (peraltro aggiornate negli ultimi anni). Anziché promuovere controlli fiscali nel rispetto della legge o rivedere le tariffe concessorie in termini equi, trovano più semplice minare le fondamenta di un modello turistico italiano ed in particolare romagnolo che tutti ci invidiano. 

La principale responsabilità del settore balneare è semmai quella di aver pensato, e talvolta sostenuto, coloro che ritenevano di poter evitare l’applicazione delle norme europee anziché lavorare in tutti questi anni per produrre una legge “filtro” credibile e consentire agli imprenditori di operare in uno scenario di mercato con meno incognite.

Speriamo che questo governo, forse più pragmatico dei precedenti, sappia modificare e adattare al nostro contesto economico questa direttiva che, tra le sue pieghe, non ha solo l’obbiettivo di semplificare l’accessibilità alle concessioni balneari (per le quali prevedere un tempo utile al rientro degli investimenti e una indennità di fuoriuscita sono il minimo sindacale), ma può provocare un ricambio di questo modello imprenditoriale composto da soci spesso legati al territorio in cui vivono, con proposte turistiche e gastronomiche prevalentemente locali ed anche conduzioni di tipo famigliare che la stessa Europa caldeggia in altri settori. Ed ancora, favorire l’acquisizione delle concessioni solo su base economica, senza considerare gli aspetti sopra richiamati, rischia di spalancare le porte di questo business alle grandi aziende e all’ingresso di imprenditori da altri Paesi. Ingressi che sono ben evidenti in altri settori economici dei servizi e che raramente portano gli imprenditori italiani (se non pochi grandi gruppi) verso l’estero, ma piu facilmente gli altri verso il nostro territorio.  

Il settore turistico balneare è una grande risorsa per diverse regioni italiane, un mestiere antico e una tradizione imprenditoriale che non solo va tutelata con una legge di recepimento ad hoc, ma che in Romagna meriterebbe addirittura una “academy”, una scuola di formazione professionale e di specializzazione da esportare in altre regioni e, perché no, in altri Paesi. Speriamo non accada il contrario. 

Paolo Guerra - presidente Assoraro 

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