rotate-mobile
Economia

Trappola precarietà: il tempo determinato è ormai la realtà

Nel corso del 2011, circa il 37,5 % dei rapporti a tempo determinato ha coinvolto persone che avevano già avuto rapporti di lavoro della stessa tipologia durante l'anno

Nel corso del 2011, circa il 37,5 % dei rapporti a tempo determinato ha coinvolto persone che avevano già avuto rapporti di lavoro della stessa tipologia durante l’anno. Rapporti di lavoro interrotti e subito dopo riaccesi. In altri termini, su tre nuovi rapporti a tempo determinato avviati,  uno ha interessato persone che già avevano avuto nello stesso periodo un rapporto di lavoro della stessa tipologia. E’ quanto emerge dall’analisi sul mercato del lavoro regionale presentata dalla Cisl Emilia Romagna.

Le province di Bologna, Modena, Ravenna e Forlì-Cesena, rispettivamente con 102.175, 70.141, 64.203 e 59.254 assunzioni, sono quelle che risultano più “sensibili” a tale tipologia di contratto, fanalino di coda, seppur in aumento di quasi ottocento unità rispetto all’anno precedente, resta Piacenza con 23.472 assunzioni.

“Tali dati, sebbene ridimensionati dall’efficacia dei primi risultati del “Patto per la crescita” – sottolinea Giorgio Graziani, segretario generale della Cisl regionale - pongono in primo piano un abuso strumentale della flessibilità (le stesse collaborazioni a progetto avviate nel 2011 sono  52.278  mentre i lavoratori effettivamente coinvolti sono circa 40.000, dunque nel 23,48% dei casi  i  rapporti di collaborazione avviati si ripetono), che prospera in un quadro generale di riferimento fortemente frammentato. Un quadro – continua il sindacalista - in cui l’apprendistato interessa solo il 4% delle forme di assunzione, dove i centri per l’impiego pubblici delle province avviano al lavoro solo il 4,5% dei lavoratori, a fronte del 3,6% delle agenzie di somministrazione. Di converso, il canale privilegiato per l’assunzione di personale da parte delle aziende resta quello della conoscenza diretta  (43,6%), seguito dalle banche dati aziendali, che si attesta intorno al 25,8%”.

“Un contesto – continua Antonio Amoroso, componente della segreteria regionale Cisl con delega al mercato del lavoro - in cui la disoccupazione giovanile resta in assoluto il dato più grave e crescente, assestandosi addirittura intorno al 22% nella fascia 15-24 anni, con punte drammatiche a Forlì-Cesena (34,2%) e Ravenna (25,4%), mentre scende al 6,8 tra i 25 e i 34 anni, seppure continui a mostrare picchi preoccupanti a Ferrara (9,6%), Forlì-Cesena (8,6%) e Ravenna (7,6%). Fattore, quello della disoccupazione giovanile – prosegue Amoroso-  che assume una valenza, se possibile, ancora più drammatica se si guarda alla sola disoccupazione femminile, che mediamente supera quella maschile ben del 2%”.

Ma l’analisi a tinte fosche dell’universo giovanile non si ferma alla sola disoccupazione, difatti pesanti sono anche i rilievi del tasso di inattività. Un indice elevato in ogni fascia di età, ma che colpisce in misura prevalente e crescente (+10% tra il 2004 e il 2011) i giovani fino ai 24 anni (15-24), soprattutto donne, con una differenza tra uomini e donne che tende a diminuire molto nel tempo per effetto della crescita progressiva dell’inattività maschile (15-24 anni). Difatti, dal 2006 al 2011 l’inattività maschile in età 15-24 cresce dell’8,8% contro un +2,5% di crescita dell’inattività femminile per la stessa fascia di età e periodo. Tuttavia l’inattività femminile resta sensibilmente più alta in età tra i 25 e i 34 anni (risulta maggiore di circa due volte e mezzo). Anzi, tra i 25 e i 34 anni l’inattività femminile arriva alla cifra record di oltre il 23%, aspetto tanto più preoccupante se si considera che proprio questa è una fascia di età nella quale l’inattività tende generalmente a flettere, per tornare poi a crescere tra gli over 50.

“Tassi di inattività così alti tra giovani donne (25-34 anni) – rincara la dose il segretario generale della Cisl - sono il chiaro indicatore di un mercato del lavoro che, purtroppo, resta incapace di risposte a sostegno della famiglia e a supporto di fasi di vita personale delicate e importantissime come la maternità”. In generale, tra le province in maggiore difficoltà con i giovani per tassi crescenti di inattività tra i 15-24 anni, nel periodo 2004-2011, troviamo Reggio (+20%) ma anche Modena (+13%), Piacenza (+12%) e Parma (+12%), anche essa al di sopra della media regionale.

“Una situazione esplosiva – prosegue il dirigente cislino - che istituzioni e forze sociali devono governare con grande senso di responsabilità, ponendo al centro delle proprie politiche, oltre inevitabili decisioni di natura economica, anche scelte indirizzate alla salvaguardia della coesione sociale. Per andare in questa direzione, occorre proseguire con decisione sulla strada tracciata dal “Patto perla crescita” siglato tra Regione e parti sociali”. Da questa premessa muovono le mosse alcune proposte della Cisl Emilia Romagna sulle politiche regionali del lavoro.

Difatti Graziani, dopo aver  sottolineato la necessità di efficaci politiche per la crescita e di ulteriori  forme di accesso al mercato del lavoro per i giovani, ha focalizzato l’attenzione sull’importanza cruciale che in questa situazione assume l’apprendistato, chiedendo alla Regione “di consolidare nel tempo l’impegno economico che la stessa Regione ha messo a disposizione per incentivare l’utilizzo di questa tipologia di contratto come forma prevalente di accesso al lavoro per i giovani, oltre naturalmente a tutte le altre forme di stabilizzazione del mercato del lavoro”.

Una richiesta a cui si è aggiunta anche quella superare la frammentazione degli attuali servizi provinciali per l’impiego attraverso la costituzione di un’unica agenzia regionale di coordinamento per il collocamento. "In coerenza con quanto previsto dal DDL Fornero sul mercato del lavoro – hanno aggiunto i due dirigenti sindacali -, in Emilia Romagna e' necessario costituire e promuovere un'agenzia regionale che ponga a sistema formazione professionale e collocamento. Ciò significa migliorare gli attuali servizi provinciali per l'impiego, rafforzandoli in un’azione di coordinamento in grado di garantire una maggiore efficacia del servizio offerto”.

In ultima analisi, tra le altre numerose proposte (l’attenzione ai lavoratori immigrati, il concorso degli enti bilaterali nelle politiche attive del lavoro, le reti di impresa per sperimentare il  modello del distacco di lavoratori in continuità di rapporto lavorativo o l’incrementare la formazione continua nell’ambito della contrattazione aziendale), un ruolo di primo piano riguarda i tirocini e il “libretto formativo individuale”. Tirocini che “non devono essere trasformati in una sorta di nuova tipologia contrattuale”, poiché si correrebbe il rischio di creare un istituto “sottopagato e precario e in concorrenza all’apprendistato”. Una modalità didattica, e non un contratto, che non può continuare ad essere il luogo della finta formazione, “piuttosto si deve promuovere la via curricolare, funzionale ad inserimenti lavorativi qualificati, limitando il tirocinio extra-curriculare alle aree di massimo svantaggio”. Infine, l’organizzazione sindacale cislina ribadisce l’utilità di istituire il “libretto formativo individuale”. Strumento “utile per certificare i percorsi formativi effettuati e le competenze acquisite dai lavoratori, non solo per evitare i casi di sottoinquadramento, ma anche come carta in più da spendere per i lavoratori, in particolar modo, nei passaggi di impresa”.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Trappola precarietà: il tempo determinato è ormai la realtà

RavennaToday è in caricamento