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"Troppi chiudono, nessuno apre": la crisi dei centri storici mette in ginocchio i negozianti

Il Presidente di Confcommercio: "Se guardiamo ai territori della provincia, risultano tutti in flessione tranne Cervia: nell’area di Ravenna -118 imprese, nella Bassa Romagna -106 unità e nella Romagna faentina -104 unità"

“I dati definitivi del 2017 non lasciano spazio a dubbi: lo scorso anno le imprese in provincia di Ravenna, secondo i dati del Registro Imprese della Camera di Commercio, hanno registrato un saldo negativo pari a -328 unità. Di positivo c’è che le cessazioni si sono attestate ad un livello molto basso rispetto agli anni scorsi, ma di negativo c’è il livello minimo raggiunto dalle nuove iscrizioni". Così Paolo Caroli, Presidente Confcommercio provincia di Ravenna, commenta la triste situazione delle attività commerciali, soprattutto per quanto riguarda i centri storici. "In sostanza, ci sono state meno chiusure di attività, ma di nuove aperture ce ne sono state poche e quindi il tasso di variazione è rimasto negativo, attestandosi ad un meno 0,29% - spiega Caroli - Se guardiamo ai territori della provincia, risultano tutti in flessione tranne Cervia: nell’area di Ravenna -118 imprese, nella Bassa Romagna -106 unità e nella Romagna faentina -104 unità. Purtroppo da questi dati generali non emergono segnali incoraggianti per le imprese ravennati, confermati anche dall’ultimo trimestre del 2017 che si chiude negativamente. Anche il tasso di crescita regionale rimane negativo seppur più contenuto, attestandosi nel 2017 al -0,14%. Al contrario, a livello nazionale il tasso di variazione nell’anno è pari al +0,75%, quindi una crescita".

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"In questa situazione è chiaro dunque la reale e attuale sofferenza dei negozi di vicinato, che sono l’anima di una città e che prima di altri risentono dell’incertezza economica - prosegue il presidente - Il commercio al dettaglio purtroppo non ha agganciato la piccola ripresa che pure c’è stata nel corso del 2017, ha scontato la crisi dei consumi interni, della scarsa fiducia, dell’eccesso di tassazione verso le famiglie e le imprese. A ciò dobbiamo sommare anche lo spauracchio delle clausole di salvaguardia con possibile aumento Iva già dal 2019 che sarebbe una sciagura per tutti. Salvaguardare le piccole attività significa presidio del territorio, dare occupazione reale, reinvestire gli utili del territorio, salvaguardare le periferie e i centri storici, avere coesione sociale. Ma serve anche un microcredito agevole e semplice per supportare le aggregazioni di negozi, meno burocrazia con lo snellimento delle procedure, occorre ripensare alcune leggi (come la 41) perché diano aiuto vero ai piccoli imprenditori, servono benefici fiscali a favore delle imprese disposte ad investire nel meglio e lungo periodo. Da ultimo vogliamo sottolineare i forti timori per il Pair 2020 che di fatto chiuderà i centri storici: su questo delicatissimo argomento serve molto buon senso, collaborazione delle amministrazioni locali e sensibilità che non sempre denotano, in sintonia con le associazioni di categoria. Le Pm10 (polveri sottili, ndr) non vengono prodotte solo nei centri storici, ma di più nelle periferie e nei grandi centri commerciali (che sono esenti da controlli), nelle strade di grande comunicazione, dai riscaldamenti domestici, dai mezzi pubblici fortemente inquinanti. Ecco allora che è necessario davvero senso di responsabilità da parte dei nostri amministratori, perché se le cose non cambieranno le uniche ad essere penalizzate saranno le piccole e medie imprese, i piccoli negozi di vicinato che vivono (e sopravvivono) nei centri storici. Perché non mettere a loro disposizione, come compensazione, gli oneri di urbanizzazione delle Gdo e delle medie strutture? Già nella nostra regione, città come Parma la stanno attuando dimostrando lungimiranza rispetto al problema".

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